“Giorni di neve, giorni di sole”, di Fabrizio e Nicola Valsecchi – recensione di Marco Albeltaro

“Giorni di neve, giorni di sole”, di Fabrizio e Nicola Valsecchi – recensione di Marco Albeltaro

La protagonista del libro di Fabrizio e Nicola Valsecchi è, allo stesso tempo, la sua grande assente. Patricia Dell’Orto è, infatti, una dei trentamila desaparecidos argentini. Strappata dalla sua casa, dalla sua bambina di venticinque giorni, dai suoi genitori e legata nel destino al marito («I militari hanno rubato loro una vita felice insieme», dice il padre). Patricia e Ambrosio – questo il nome del suo compagno – avevano l’unica colpa di insegnare ai bambini poveri, per provare a dare loro un futuro, per provare ad aprirgli una porta sul mondo. Lo facevano al tempo della dittatura e ciò bastò a firmare la loro condanna a morte.

Partito dall’Argentina per ritornare un’ultima volta nel suo paese natale, il padre di Patricia si abbandona al flusso dei ricordi. Quei ricordi tanto frammentari e astratti che affiorano nella mente di Alfonso Dell’Orto come un fiume in piena che fatica a stare dentro agli argini spazio-temporali della narrazione.

Alfonso se ne sta seduto in aereo tenendosi stretta una valigia colma delle tracce fisiche di quei ricordi: fotografie, lettere, disegni, oggetti: quella valigia è il tabernacolo nel quale si sono stratificate negli anni le reliquie della tragedia che ha colpito i Dell’Orto. E proprio l’assenza della tomba sulla quale piangere la figlia uccisa viene colmata dalla raccolta di quegli oggetti che testimoniano il suo passaggio nel mondo.

Il viaggio di Alfonso ha uno scopo preciso che verrà esplicitato soltanto nelle ultime pagine del libro: portare la memoria della figlia nel luogo nel quale risiedono le memorie della famiglia. IN Italia, dunque, a Piazza Santo Stefano. Un ritorno alle origini, alla semplicità della vita di provincia per riallacciare con un ultimo atto quei fili della memoria che la migrazione, il passare degli anni, l’avvicendarsi di passioni, amori, tragedie e morti avevano spezzato.

Patricia avrà il suo monumento funebre nella patria d’origine: una fotografia appesa nella sala principale della cooperativa del paese. E una commemorazione. Anzi, un racconto pubblico della sua esistenza, ciò a cui il padre tiene particolarmente per lasciare una traccia della vita di sua figlia e dell’ingiustizia che l’ha spezzata: «è ingiusto, assurdo morire a ventun anni con un marito di ventitré e lasciare al mondo una bambina di venticinque giorni».

È come se Alfonso volesse sistemare le ultime cose per morire in pace, incasellare le ultime tessere della sua memoria per ricomporre, finalmente, il puzzle.

È così che il vuoto dell’assenza si riempie grazie alla socializzazione della memoria di un lutto e di una vita.

Il libro di Fabrizio e Nicola Valsecchi non è un romanzo, non è un saggio e non è nemmeno una raccolta di memorie perché a scrivere non è il protagonista. In fondo, non importa sapere di quale genere letterario si tratti. Perché in questo caso, come in altri, la scrittura fuori dagli schemi della ripartizione dei generi letterari, riesce a rendere molto meglio di eruditi saggi e di ponderosi volumi il significato della vicenda di cui tratta. E lo rende attraverso quella lente esistenziale che può far divenire strumento conoscitivo il flusso continuo di una memoria intima e personale.

Non è una storia quella che i gemelli Valsecchi hanno scritto. Si tratta, piuttosto, di una fonte per la storia di quella vicenda dolorosa e drammatica che vide protagonisti involontari tanti oppositori del regime dittatoriale argentino, ma anche tante persone che con la loro trasparenza, la loro determinazione, la loro opera quotidiana uscivano dallo schema totalizzante e freddamente calcolatore della dittatura.

La storia dei desaparecidos è anche la storia delle loro famiglie. E, paradossalmente, il racconto pubblico della storia di questi oppositori inizia nel momento della loro assenza. Si racconta di loro quando sono già stati rapiti, torturati e uccisi. La loro vicenda prende forma quando è stata archiviata da un atto definitivo come la morte. Gli oppositori della dittatura argentina acquistano – ed è un’amara costatazione – più forza da morti che da vivi. La stessa scelta di non farne ritrovare i corpi, di occultarli nell’oceano («La mente va a Pocha, una delle tante madri che non hanno più osato toccare l’oceano, sapendo che le sue onde si sono prese ciò che restava dei loro figli») o in fondo a profonde fosse, altro non è che il tentativo di farli scomparire dalla memoria pubblica del Paese e di occultarli agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

In realtà la giunta militare fece male i suoi conti. E proprio la ricerca di quei destini perduti e scomparsi alimentò quel movimento che col tempo sarebbe andato ad assumere sempre più un carattere di massa, fino a minare le basi stesse della dittatura. Non bastò la repressione a fermare la richiesta di verità, non bastarono le torture, non bastò nemmeno l’ostentazione di una maschera democratica con la quale la dittatura celò il suo orribile volto durante la propria esibizione sul palcoscenico dei mondiali di calcio.

I desaparecidos lasciarono un’eredità troppo gravosa ai loro famigliari da essere messa da parte per un’instante di euforia, per la vittoria della coppa del mondo di calcio. Un’eredità involontaria, ma non per questo meno impegnativa per chi la riceveva: cercare la verità, cercare una persona che poi diventava soltanto più un nome fra tanti.

L’assenza di tante donne e di tanti uomini è diventata la presenza delle loro famiglie, di madri e di sorelle, soprattutto, ma anche di padri, fratelli, mariti, mogli e figli che hanno circondato le mura del silenzio della dittatura e le hanno, infine, abbattute, in un lungo e tortuoso processo che nasce però a Plaza de Mayo.

Written by Marco Albeltaro (Università di Torino)

QUANDO LA STORIA INCONTRA LA STORIA

Periodi brevi e asciutti, quasi come battute musicali o versi di una lunga poesia, quella della vita (e una poesia di Mario Luzi, di fatto, conclude il libro): Giorni di neve, giorni di sole scritto a quattro mani dai gemelli Valsecchi, narra delle vicende di vita di un uomo che ha avuto la ventura di vedere la sua storia personale incontrare la Storia (con la maiuscola), cosa spesso sconvolgente.
Con una prefazione affidata volutamente al premio Nobel per la pace 1980 Adolfo Perez Esquivel, a sottolineare il senso racchiuso nell’intero volume, il libro, scritto in prima persona e con uso continuo dell’analessi, quasi a rimarcare che il racconto sgorghi vivo dal flusso di coscienza del protagonista, narra dell’italiano Alfonso Mario Dell’Orto che, a causa di sconvolgimenti finanziari, si trova a emigrare con la sua famiglia dalla natìa Piazza Santo Stefano alla remota Argentina.
Giorni di neve, tristi e bui, si susseguono a giorni di sole, felici e spensierati: il protagonista incontra Pocha, anch’ella di origini italiane, e la sposa; vive l’Argentina come tutti i suoi abitanti passando dalle speranze perdute della presidenza Pèron all’incessante susseguirsi di dittature. Tuttavia la sua vita è serena arricchita dai suoi figli.
L’eterna neve giunge da una tragedia vissuta da molti, troppi, e il libro è totalmente impregnato da questo dolore senza fine, fatto di incubi e di ricerche (che forse porteranno a uno spiraglio di giustizia): Patricia Dell’Orto e suo marito Ambrosio, genitori da soli venticinque giorni, scompaiono nel nulla un giorno del 1976, per entrare nella grande tragedia dei desaparecidos.
La storia diventa denuncia, angoscia, commemorazione nel nome di Patricia per sempre legato a una targhetta di una Cooperativa di Piazza Santo Stefano.
Tutto cambia, anche “Piazza”: ora visi ambrati passeggiano e abitano nel paese… la storia continua.
E a sottolineare il vincolo indissolubile tra storie piccole e Grande Storia, la postfazione spiega asciuttamente le grandi tragedie del mondo, dal massacro armeno ai desaparecidos in Guatemala, in Argentina, alle tante e troppe repressioni di questo mondo non ancora civile.
Non romanzo ma libro di denuncia e di una piccola e grande storia. Per non dimenticare

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto…storia contemporanea, storia dell’America latina

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Giorni di neve, giorni di sole di Fabrizio e Nicola Valsecchi

Posted on 19/06/2012 by Anna

Giorni di neve, giorni di sole di Fabrizio e Nicola Valsecchi è una lunga, dolorosa, poesia creata a quattro mani per ricordare, per dare voce a chi ha subito una delle peggiori ingiustizie umane della storia mondiale. Il libro parla di un ritorno, Alfonso torna in Italia spinto dal desiderio di far conoscere alla sua lontana famiglia chi era Patricia, perché nessuno dovrebbe dimenticare quel dramma.

L’argomento dei desaparecidos, delle morti inspiegabili avvenute in Argentina è oggi storia, tendenzialmente l’uomo dimentica le sue tragedie, Fabrizio e Nicola Valsecchi non vogliono che questo accada. Dobbiamo ricordare, Patricia e le migliaia di famiglie uccise, disperse, dopo aver subito il carcere e le torture. Sparivano i giovani, i bambini, famiglie intere, spariva Patricia assieme a suo marito.

Il libro riporta emozioni, parole, veloci sensazioni di ieri e di oggi, capaci di farci ricordare, di proiettare il lettore nella storia di Alfonso, nel suo passato e nel suo desiderio di vita che lo accompagna durante il lungo viaggio. Una storia di verità e giustizia, perché abbiamo il dovere di sapere.

Fisso per qualche istante ancora la foto di mia moglie, così determinata e dignitosa nel suo dolore sconfinato che è anche il mio.

La sua immagine si confonde nei miei occhi che luccicano.

Patricia…

Non c’è governo che possa impedirmi di sognarti.

Non c’è regime che possa impedirmi di pensarti.

Nessuno può impormi di scordarti.

E di amarti.

Sempre con te.

Ovunque tu sia.

Giorni di neve, giorni di sole

Fabrizio e Nicola Valsecchi

Editore Marna 2012

“Giorni di neve, Giorni di sole”

 

Consigli letterari
“Giorni di neve, Giorni di sole”
Un libro da leggere. Partorito dalla geniale scrittura di Fabrizio e Nicola Valsecchi, questo racconto è una testimonianza sui desaparecidos negli anni orrendi della dittatura argentina. Commovente, riflessivo e, a tratti, poetico la storia ripercorre la vita della famiglia Dell’Orto, emigrata a La Plata quando in Italia imperversava il fascismo e la fame annebbiava le menti e i cuori.
di Bruna Fiorentino
Come le rondini dopo l’inverno, a primavera” Alfonso Maria Dell’Orto, emigrato in Argentina, ritorna in Italia, a Piazza, suo paese d’origine, dopo 35 anni. Durante il viaggio, “verso un mondo di cose e persone che forse non esistono più”, porta con sé un fardello di pensieri, angosce e gioie vissute in terra straniera.
Quindicimila chilometri di distanza non potranno certo cancellare il dolore per la tragica scomparsa di sua figlia Patrizia, inserita tra gli elenchi sciagurati dei desaparecidos per mano della dittatura militare, anzi sono un viatico per ripercorrere gli anni del viaggio della speranza e la tragica morte della figlia.
E’ un libro forte, commovente, che si consegna alla necessità di un mondo migliore. Un libro ricco di sentimenti, quei sentimenti buoni che stringono la gola e riempiono gli occhi.
Gli autori Fabrizio e Nicola Valsecchi lo hanno titolato “Giorni di neve, giorni di sole”, ossia il tempo che suddivide e scandisce la vita dell’uomo, a tratti buia, a tratti illuminata.
La famiglia Dell’Orto, in fuga dalla miseria più nera per raggiungere il sogno americano da vivere a La Plata, rivive la sua storia attraverso le immagini del ricordo, forse comune a molti altri emigranti italiani che dal loro paese non si sono mai realmente allontanati.
I nostri protagonisti, però, scappavano da un regime, ma ne hanno trovato un altro. Inutili le differenze tra mostri che generano orrore.
Il racconto di Fabrizio e Nicola Valsecchi è simile ad un affresco dai tenui colori in cui un panorama, onirico e reale, ipnotizza il lettore dentro ogni particolare per non perdere le mille indelebili sfumature che trovano vita nei sentimenti di tutti i personaggi.
Ad uno ad uno sfilano come in un film i fotogrammi di una vita vissuta. I protagonisti sono il padre Augusto che, un anno prima, li aveva preceduti in terra argentina; i nonni che erano rimasti e per sempre al paese con i loro ideali di giustizia e la loro rassegnazione; gli zii che avevano accompagnato Alfonso, la sorella e la madre Regina alla stazione. E ancora Regina a marciare con le altre madres e Pocha, in silenzio ma con rabbia, nella Plaza de Mayo davanti ai cordoni della polizia, pretendendo giustizia per la scomparsa dei loro cari.
Pocha, moglie di Alfonso, non è partita con lui per l’Italia, è rimasta a casa ad aspettarlo, con il suo “dolore sconfinato”.
Durante il viaggio Alfonso pensa a lei, al loro amore e con i pensieri, i ricordi, le sensazioni, le emozioni accumulate negli anni, scrive il diario della sua vita di padre, marito, uomo, emigrante. Al paese natio vuole consegnare lo spirito della figlia per essere conservato e ricordato tra la sua gente.
Patrizia nella sua mente è viva ed esplode nei suoi pensieri come un incubo. Rivive quella orribile notte di quel tragico 5 novembre 1976 quando gli energumeni la strapparono per sempre, dalla sua casa, da Marianna, unica figlia che aveva appena venticinque giorni, e con lei anche Ambrosio, il marito.
Con questa disperazione Alfonso viaggia verso l’Italia. Sì, sono trascorsi tanti anni, ma certi ricordi non si cancelleranno mai. Il tormento anzi aumenta per non avere neanche una tomba dove pregare e per aver visto graziati tutti i carnefici delle trentamila vittime che si sono succeduti al comando degli orrori. Quello di sua figlia Patricia e del marito Ambrosio alla fine ha anche un nome: Miguel Osvaldo Etchecolatz.
Alfonso Maria Dell’Orto atterra in Italia con la figlia nel cuore. Pensa di averla portata con sé, è convinto che hanno solo ucciso il corpo.
Il suo spirito continuerà a vivere nelle testimonianze di chi le ha voluto bene.settembre 2010

 

IL GIORNALE D’ITALIA                                              

                                       il giornale del bello

 

Argentina, il cammino della speranza

Romina Orsini

 

Il dramma dei desaparecidos rivive in un romanzo scritto a quattro mani da due fratelli gemelli, Fabrizio e Nicola Valsecchi, giunti al loro terzo libro. Un’opera scritta per non dimenticare, che è anche un appassionante racconto
“Ci sono giorni di neve nella vita di un uomo. Giorni bui in cui ogni speranza è persa e tutto sembra inutile e vuoto in presenza del dolore. E ci sono giorni di sole in cui tutto invece risplende di una luce migliore e ogni ricordo triste svanisce come neve al sole”.

Ecco le prime righe dell’ultimo romanzo dei fratelli gemelli Fabrizio e Nicola Valsecchi (“Giorni di neve, giorni di sole”, edito da Marna), libro assolutamente da non perdere se dalla lettura cercate un piacere impegnato, non frivolo.
Infatti il romanzo è tratto dalla storia vera di Alfonso Mario Dell’Orto, italiano emigrato in Argentina durante il Fascismo, la cui figlia è una dei trentamila desaparecidos scomparsi durante i regimi militari degli anni ’70.
Gli autori hanno raccontato di aver appreso la storia del signor Dell’Orto per un caso fortuito: “Il presidente della Cooperativa del nostro paese (Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio) si è rivolto a noi. Aveva ricevuto una lettera dall’Argentina da un nostro compaesano, Alfonso Dell’Orto, con un sogno da realizzare: poter affiggere un quadro della figlia a uno dei muri dell’edificio sociale costruito un secolo prima anche da suo nonno Giovanni”.
Una prefazione da Nobel

Ecco come è nata l’idea di far conoscere una parte di storia di cui molti ignorano l’esistenza, nella speranza anche di scuotere le coscienze… Anche se questo tema scottante è costato agli autori la chiusura di molte porte nella grande distribuzione, nonostante la lusinghiera prefazione del premio Nobel per la pace 1980 Adolfo Perez Esquivel, con il quale gli scrittori sono entrati in contatto proprio grazie ad Alfonso Mario Dell’Orto. “Speravamo di ottenere una semplice frase – raccontano – per noi sarebbe già stato un successo! E invece Perez Esquivel ci ha fatto pervenire quattro pagine olografe, un riconoscimento davvero notevole per il nostro romanzo”.

Romanzo avvincente, emozionante e commovente, da leggere tutto d’un fiato, di cui colpisce lo stile asciutto e rapido degli autori, che ci confidano alcuni segreti della loro scrittura a quattro mani: “Certamente il fatto di essere fratelli gemelli ci aiuta tantissimo nello scrivere: si vive sempre ogni sensazione “moltiplicata per due” e “insieme”. Quando scriviamo riusciamo ad interagire in sintonia, anche perché abbiamo esperienze comuni che si protraggono da prima di nascere e tutte le diversità e le divergenze di opinione vengono facilmente superate, proprio perché – in quanto gemelli – si manifesta quella magia che consente di capire all’istante ciò che vuole dire l’uno o dove vuole arrivare l’altro, pur senza perdere le differenze”.
Quattro mani, una sola ispirazione

Un’occasione di buona lettura da non perdere, anche per conoscere questi due talenti emergenti, che sognano di conquistare un posto nel firmamento della letteratura italiana, senza fissarsi in un’etichetta, cercando la loro strada: “Per il momento siamo solo due che scrivono e che provano a vivere un sogno e a raccontare agli altri le storie che sentono. Ci piace sperimentare e cimentarci con gli stili letterari più svariati e non avere un genere fisso di riferimento talvolta anche nello stesso libro”. E ai giovani scrittori il loro consiglio è proprio quello di non smettere di credere nel proprio lavoro, di non arrendersi, di non scoraggiarsi, ma anche di cercare un altro lavoro per mantenersi nell’attesa del successo. Dunque “giorni di neve e giorni di sole” anche nel lavoro della scrittura.

Infine però un messaggio di speranza, nei giorni di sole appunto, che tornano sempre anche dopo una lunga nevicata. “Grazie ai desaparecidos e al percorso di ricerca della verità, di memoria e di giustizia, l’Argentina di oggi – pur con tutte le sue controversie – è un paese più libero e consapevole. Gli ideali dei desaparecidos possono vivere e tracciare un cammino di speranza universale che non può che parlare alle coscienze e far sì che l’uomo non ripeta più queste tristi esperienze“.

Messaggio giustamente universale, perché ancora oggi di “Argentine” ce ne sono moltissime, e speriamo che grazie a romanzi di spessore come questo di Fabrizio e Nicola Valsecchi qualcuno smetta di girare la testa dall’altra parte.

 

 

 

 

Ottobre 2010

18 Ottobre 2010

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Intervista: la tragedia dei desaparecidos argentini nelle pagine dei fratelli Valsecchi

di Marco Besana

«Che cosa può interessare al lettore? Omnium ignotum pro magnifico. Si legge per conoscere, per imparare, per crescere, per approfondire, per diletto, per non essere soli, per emozionarsi, per evadere dalla realtà, per vivere altre vite ed esperienze…»
Sono proprio altre vite ed esperienze quelle che Fabrizio e Nicola Valsecchi raccontano in Giorni di neve, giorni di sole, le vite di Alfonso dell’Orto, emigrante che si ritrova a fare i conti con un passato terribile, di Patricia, sua figlia, una delle tante vittime scomparse nella tragedia dei desaparecidos argentini, di un’intera generazione spazzata via dalla crudeltà di uno dei regimi più sanguinari della storia. Un’opera cruda, in cui la storia e la cronaca si fondono continuamente con il flusso di pensieri e di ricordi di Alfonso, vittima superstite di un assurdo piano di terrore.
I gemelli di Cernobbio, già autori di
La chiromante. Una profezia e B. e gli uomini senz’ombra, hanno raccontato a ¡No Más! il perché di questo libro, i passi che li hanno portati a raccontare un dramma che molti sentono ormai come lontano, ma che invece continua a vivere in storie come quella dei Dell’Orto, simboli sacrificali di un’intera pagina della storia contemporanea.

– Da dove è nata l’idea di trattare la storia di Dell’Orto?

Siamo venuti a conoscenza della storia che abbiamo raccontato per un caso fortuito. Il Signor Antonio Dotti, Presidente della Cooperativa del nostro paese – Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio – si è rivolto a noi.

Aveva ricevuto una lettera dall’Argentina. Da un nostro compaesano, Alfonso Dell’Orto, che aveva un sogno da realizzare: affiggere un quadro della figlia Patricia, desaparecida a 21 con il marito Ambrosio, a uno dei muri dell’edificio “sociale” costruito un secolo prima anche da suo nonno Giovanni.
In questo modo avrebbe potuto far rivivere la figlia e i suoi ideali di libertà, giustizia e equità sociale anche in Italia e, in particolar modo, nel paese natio, lasciato nel lontano 1935 a soli 7 anni e mai più ritrovato per sua scelta.

Il Presidente Dotti ci ha chiesto di attivare un contatto con l’Argentina e abbiamo sentito una storia particolare e commovente che ci ha toccato il cuore. Ci siamo messi al lavoro, consci che non si trattava più di scrivere un romanzo figlio della nostra fantasia, ma che ci accingevamo a scrivere la storia di un uomo e della sua famiglia all’interno della grande storia che ha determinato il problema dei desaparecidos e di quell’obediencia debida che ha provocato 30.000 vittime sulle quali è caduto il silenzio colpevole dello Stato e persino della chiesa.

– L’Argentina, “terra del sole e della speranza”, ha accolto molti italiani, ma la tragedia dei “desaparecidos” viene percepita come qualcosa di “lontano”… quanti “Dell’Orto”, cioè quanti emigrati italiani, a vostro parere, sono stati coinvolti in questa terribile pagina della storia?

Riteniamo che siano molti i nostri connazionali che purtroppo hanno avuto lo stesso tragico destino di Alfonso Dell’Orto. In Argentina infatti il 75% circa della popolazione è formato da Italiani emigrati in cerca di fortuna a partire dalla seconda metà dell’800. Nel nostro paese tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX il 30% della popolazione ha preso la via dell’Argentina. In ogni regione d’Italia ci potrebbero essere vicende analoghe perché in Argentina sono giunte persone dalle diverse regioni italiane, prova ne è che la moglie di Dell’Orto è di discendenza per metà abruzzese e per metà calabrese.

– Patricia non era una dissidente politica, eppure è stata vittima della dittatura di Videla, perché una maestra delle baraccopoli può essere un personaggio scomodo?

Patricia e tanti ragazzi impegnati come lei in lavori sociali sono stati vittime della dittatura militare perché, nel momento in cui il sogno argentino e Peron erano già stati soppiantati dal golpe, insegnavano a sperare, a riflettere e a pensare. Inoltre prestavano il loro aiuto ai ceti più deboli, attraverso l’alfabetizzazione e la cultura in ogni sua espressione. I desaparecidos rappresentavano l’idea di libertà da divulgare tra la gente al fine di divulgarla anche alle future generazioni, superando l’egoismo, il classismo, l’oppressione e il terrore incarnati da Videla e dalla giunta militare.
Il loro messaggio è ancora vivo e parla alle coscienze. Le Madres e le Abuelas de Plaza de Mayo, autentiche custodi della memoria, hanno fatto sì che il loro esempio e i loro ideali non fossero dimenticati, attraverso la loro marcia in un silenzio che parla e grida più di mille voci, continuando il cammino della speranza universale iniziato dai loro cari. Grazie ai desaparecidos e al percorso di ricerca di verità, di memoria e di giustizia, l’Argentina di oggi, pur con tutte le sue controversie, è un paese più libero e consapevole.

– L’opera ha uno stile quasi lirico, nonostante tratti una storia vera legata a fatti storici importanti. Perché avete scelto questa forma, che sembra quasi sospendere la tragedia di Dell’Orto in uno spazio senza tempo e senza luogo?

Abbiamo costruito la storia con periodi che seguono il principio della paratassi. Frasi corte. Quasi minime. A sincopare il ritmo. Perché lo scopo del romanzo, oltre che ad avvalorare la memoria di Patricia, era quello di far capire ai lettori che storie come questa sono successe, succedono e possono succedere ancora. Abbiamo provato a sospendere la vicenda umana di Alfonso Dell’Orto come in uno spazio senza tempo e senza luogo. Il 1935 e il fascismo in Italia, il 1976 e la dittatura argentina non sono tanto lontani se si guardano le immagini che arrivano dall’Ecuador o dall’Afghanistan, dall’Iran e dalla Somalia… Lo stesso dicasi per il problema dell’immigrazione e di quanto questo comporta, basti pensare a quanti Italiani sono emigrati e alle attuali politiche in fatto di emigrazione vigenti nel nostro Paese. Quello che volevamo esprimere è la pericolosità e il rigetto della dittatura in ogni sua forma, dovuta all’egolatria tiflotica dell’uomo, che sembra non voglia mai imparare dalle tragedie che puntualmente hanno i loro ricorsi storici.

– E voi, Fabrizio e Nicola, per cosa urlereste ¡No Más!?

A tante cose. Alle guerre. Alle dittature. Alla fame nel mondo. All’inquinamento e agli abusi ambientali. Tutte cose dovute all’egoismo dell’uomo. Crediamo che sia necessario ritrovare una dimensione più umana. Troppe differenze tra ricchi e poveri in tutto il globo. Troppa poca attenzione alle persone e ai diritti umani. Troppo poco rispetto dell’ambiente. Sono ancora troppi gli uomini che girano la testa davanti a quelli che ritengono fatti isolati, capitati altrove e ad altri e che non si potranno ripetere là dove essi vivono. Il macrocosmo può cambiare se siamo noi i primi a farlo nel nostro microcosmo. Ci sono molti esempi di persone « invisibili » che il mondo non vede e che con il loro contributo migliorano la vita degli altri : medici che salvano vite, insegnanti che formano le menti, volontari che si dedicano agli altri in tanti campi… Per dare un messaggio di speranza, basta soffermarsi a guardare il sorriso di un bambino che risplende anche là dove dominano miseria e dolore.

 

 

Dicembre 2010

Un romanzo della memoria per i desaparecidos italiani

Si può trovare il senso di una vita intera e insieme ripercorrere la storia del Novecento nel tempo di un viaggio di ritorno nel paese natale, sulle sponde del lago di Como. E’ la storia vera di Alfonso Dell’Orto, emigrato in Argentina ai tempi del fascismo e lì colpito dalla violenza del regime militare, che rapisce la figlia e il genero, persi per sempre tra i tanti desaparecidos. Dopo le due ‘favole noir’ La chiromante. Una profezia (Mamma, 2002) e B. e Gli uomini senz’ombra (Mamma, 2005), che hanno riscosso un grande interesse di pubblico e critica, con il romanzo Giorni di neve, giorni di sole (Marna, 2010), che vanta la prefazione del Premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, i gemelli Fabrizio e Nicola Valsecchi si dedicano ad una storia reale, in cui luci ed ombre si alternano tra le rive di Cernobbio e dell’Argentina. Il ritorno del protagonista alle proprie origini è il raggio di sole che illumina la memoria della figlia, dando nuova forza  agli ideali di libertà e giustizia per cui tanti desaparecidos hanno combattuto.

  • Come i vostri precedenti romanzi, anche questo è attraversato dal tema della parola e dalla capacità di comunicare la propria esperienza. Cosa ci insegna il silenzio dei desaparecidos e il racconto di chi svela questa tragedia?

Il silenzio ha caratterizzato l’intera vicenda dei desaparecidos: chi assisteva agli arresti era spesso messo in condizione di tacere in un clima intimidatorio dominato dalla paura, dai sequestri e dall’alienazione fisica che segnavano per sempre anche chi riusciva veramente a lasciare il paese; gli stati per ragioni politiche e commerciali ignorarono ciò che accadeva nell’«appetibile» Argentina della dittatura e neppure la chiesa intervenne se non con azioni di singoli che divennero vittime; le Madres e le Abuelas marciavano in silenzio nella Plaza de Mayo per avere notizie dei loro figli… Eppure questo silenzio, a distanza di oltre trent’anni, è una voce forte e chiara, paragonabile a quella di chi svela questa tragedia, voce mai assopita perché la memoria rimanesse viva e fosse di esempio alle generazioni future.

  • Dopo i giorni di neve, tornano i giorni di sole. Qual è il tratto di speranza che attraversa il romanzo? Cosa rende leggero il ritorno di Dell’Orto nel suo paese natale?

Questo è un romanzo di memoria. Alfonso Dell’Orto torna al suo paese per far rivivere sua figlia Patricia e i suoi ideali, volendo legarli con un fil rouge a quelli di suo nonno Giovanni. Lasciare un quadro della figlia nell’edificio della Cooperativa Operaia costruita dal nonno, dà ad Alfonso la consolazione che i suoi due cari possano essere uniti per sempre anche nel paese che lui ha lasciato a sette anni e che Patricia non ha mai conosciuto. Lasciare un ricordo della figlia gli dà la certezza che non sarà mai dimenticata.

  • Perché avete scelto di raccontare una storia reale? Che legame rimane, oggi, tra la frazione della ricca Cernobbio e l’Argentina degli emigranti?

Abbiamo deciso di raccontare la vera storia di Alfonso perché le sue esperienze ci hanno profondamente toccato e ci sembrava giusto raccontare la sua vita, fatta sì di grandi dolori, ma anche di una straordinaria forza morale e di un grande amore per la figlia, la famiglia, le proprie radici e gli ideali di libertà, uguaglianza e democrazia. Tra la ricca Cernobbio dei vip e i meeting di oggi, dove tutto è  immagine e apparenza, e l’Argentina della dittatura militare resta il legame di questo quadro, dipinto da un cugino di Alfonso, dove c’è il volto sereno di una ragazza che ha sacrificato la sua vita per la libertà, la giustizia sociale e la democrazia. Restano anche i legami tra parecchie famiglie cernobbiesi e i loro parenti che sono emigrati in Argentina in cerca, come Alfonso, di giorni di sole.

 

 

dicembre 2010
Sotto terra
Abigail, 14 anni, boliviana,
tutte le notti rischia la vita
in miniera. Per 2 euro

 

 

EXTRA

Incontri d’Autore
Fabrizio e Nicola Valsecchi

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‘Giorni di neve, giorni di sole’

un’emigrazione, una scomparsa, un ritorno

inserito da Redazione

Liberamente ispirato alla vita di Alfonso Mario Dell’Orto, ‘Giorni di neve, giorni di sole’, racconta la dolorosa storia di un’emigrazione, di una scomparsa e di un ritorno. Scritto da Franco e Nicola Valsecchi, gemelli che scrivono a quattro mani, il libro ripercorre il cammino di un uomo che nel 1935 emigra in Argentina con la sua famiglia e costruisce lì la sua vita e la sua famiglia fino alla dittatura del 1976 che le porta via la figlia e il genero, Patricia e Ambrosio. Desaparecidos come altri 30.000 argentini che dal 1976 al 1983 furono inghiottiti dal nulla nelle carceri clandestine del regime. Un viaggio in Italia, il ritorno dopo dopo una vita da emigrante, permette al protagonista di ripercorrere le tappe della sua vita in una sorta di sogno, che diventa spesso incubo e poi speranza. Sogni sono i ricordi dell’infanzia nel paese natale, i primi anni in Argentina e la spinta forte a costruire una famiglia. Gli incubi sono legati alla scomparsa della figlia e appaioni repentini e fortissimi, quasi reali nel corpo dell’uomo; una sofferenza fisica oltre che psicologica. La speranza è Marianna, figlia di Patricia ed Ambrosio, che non ha conosciuto i genitori, scomparsi quando aveva 25 giorni, che non li ha mai potuti chiamare mamma e papà. Poi l’orgoglio di dire che Patricia è sempre presente e non solo nel cuore di chi le ha voluto bene ma nella comunità che il padre ha lasciato bambini. Alfonso infatti ritorna a Cernobbio e scopre una targa dedicata alla figlia. Il gesto lo pacifica: “ Ho lasciato un ricordo della sua breve vita di cui, nonostante il dolore sempre presente, vado ancora fiero e mi sento orgoglioso”.

I Valsecchi vanno ad indagare un mondo vastissimo, quello dell’emigrazione italiana in Argentina, che spesso è stato colpito dalle atrocità della sanguinosa dittatura degli anni 76-83; ricordiamo i numerosi processi che si stanno svolgendo anche nel nostro paese per cercare verità e giustizia per quei ragazzi argentini, figli di italiani emigrati. Questo libro è importante anche perchè indaga il dolore di un padre, di uomo, quando invece siamo abituati a conoscere la storia dei desaparecidos attraverso lo strazio delle donne, delle madri, quelle eroiche della Plaza de Mayo. E finalmente è importante perchè aggiunge un tassello alle storie di chi il terrorismo di stato ha voluto far scomparire dalla storia e finanche dai ricordi, dalla memoria appunto.
Il libro conta con l’introduzione di Alfonso Perez Esquivel, Premio Nobel per la Pace nel 1980, anch’esso argentino e anch’esso passato per le carceri del regime, e la postafazione di Gianni Tognoni, Segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli; preziosissimi gli scritti della nota introduttiva di Mariana De Marco, figlia di Patricia e Ambrosio, e dello stesso Alfonso Mario Dell’Orto.

 

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“Giorni di neve, giorni di sole” – Fabrizio e Nicola Valsecchi

Venerdì 22 Aprile 2011 06:57 | Scritto da EBGraf – Emiliano Berardi | | |

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Fabrizio e Nicola Valsecchi, “Giorni di neve, giorni di sole” – Casa Editrice Marna – pp. 128, prezzo € 12,00

Un lungo volo è tempo sospeso, è spazio per il ricordo. Dai cieli dell’Argentina alla terra lasciata settant’anni prima: l’Italia così cambiata e così simile, alla quale riportare lo sguardo e le storie da non dimenticare.

Non c’è solo il dramma dei desaparecidos argentini e della dittatura militare di Videla nei pensieri del vecchio Alfonso Dell’Orto, e la memoria della figlia Patricia rapita ed uccisa col marito Ambrosio in una notte del 1976. Ci sono i ricordi di una terra perduta, di antenati e genitori, di un “viaggio della speranza” – come lo chiameremmo oggi – verso una terra piena di incognite e promesse.

C’è l’amore trovato e l’amore conservato ad ogni costo, la ricerca della verità, gli incubi e la speranza di una “memoria condivisa” che rasserena: Alfonso riporta Patricia alla terra dei suoi avi raccontandone la storia e consegnandola all’Italia ed al mondo.

I due autori scrivono – ed è in questo l’efficacia della narrazione – facendosi da parte, dando l’illusione che sia Alfonso e non altri a raccontare questa storia vera ed a riviverne ricordi: un flusso di coscienza che rapisce e coinvolge. Leggerlo è soffrire, soffrire è capire; pensare all’uccisione di Patricia, di Ambrosio e di tutti quelli che nessuno racconterà: “Nunca Mas”, che questo non accada mai più.

Il libro di Fabrizio e Nicola Valsecchi ha la prefazione del Premio Nobel per la Pace Alfonso Perez Esquivel, una preziosa nota introduttiva di Marianna De Marco (unica figlia di Patricia ed Ambrosio, aveva solo venticinque giorni quando li uccisero) ed una dello stesso Alfonso Dell’Orto, e la postfazione di Gianni Tognoni, Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

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Quando pensare è pericoloso: “Giorni di neve, giorni di sole”

17/05/2011, 23:15a cura di Valeria Nisticò0 commenti

 

In questo articolo voglio “parlarvi” di Giorni di neve, giorni di sole di Fabrizio e Nicola Valsecchi, già segnalato nelle news di Maggio.

Potrei iniziare con il sottolineare la scrittura semplice ed immediata dei fratelli Valsecchi, o descrivendovi brevemente la loro carriera letteraria.

Potrei anche soffermarmi sul periodo storico che fa da cornice… e carnefice.
Ma non parlerò di questo. Sento di dover parlare solo di lei: Patricia.

Quella di Patricia è una storia vera. Madre a 21 anni di una bimba di neanche un mese, diviene già “martire silenziosa”. Desaparecida in un’Argentina in cui era negato anche respirare. Ma è per essa, per i bambini e per gli ideali di libertà e solidarietà che ha rischiato e perso la vita. Per quei sogni in cui credere, benché considerati pensieri pericolosi.

Cosa rimane di un paese se anche il pensare è negato? Se aiutare gli altri è considerato “una sovversione”? Il terrore.

La storia è narrata dal padre, Alfonso dell’Orto. Nato in Italia, sotto il periodo fascista parte in Argentina con la madre e la sorella, per riabbracciare il padre, scappato in quel lontano paese per ricostruirsi una vita senza debiti e senza “duce”. Alfonso cresce, trova lavoro e sposa Pocha. Patricia è la loro primogenita. Erano sotto lo stesso tetto quando i militari presero sua figlia, con suo marito, per poi scomparire nel nulla. Né una prigione dove andare, né un corpo da seppellire. Corpo finito in una fossa comune, o nell’oceano, (come altre decine di migliaia) per non lasciare traccia di quello sterminio. Solo la loro nipotina di appena 25 giorni, Marianna, da proteggere. Dopo decenni hanno la conferma della morte di Patricia. Massacrata e uccisa perché osava credere in un futuro migliore e dare speranza.

La storia scorre vivida nei ricordi di Alfonso che, ottantenne, prende un volo per rivedere il suo paese natale. Non si riesce a rimanere insensibili all’evidente dolore di un padre che non cessa di pensare a sua figlia e che decide di onorarla e renderne eterno il ricordo rompendo il silenzio e dar voce a coloro la cui voce è stata spezzata. Denunciare l’afflizione delle tante madri che, come Pocha, non hanno più osato toccare l’oceano, sapendo che le sue onde si sono prese ciò che restava dei loro figli…

Valeria Nisticò

 

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Giorni di neve, giorni di sole di Fabrizio e Nicola Valsecchi

       di Gian Carlo Zanon

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ROMA – La prima cosa rara di questo libro la si trova nella quarta di copertina in cui viene reso noto che gli autori sono due gemelli che scrivono a quattro mani. Il lettore, leggendo questo lungo racconto, non se ne renderà conto, anche perché, il narratore è anche il protagonista e quindi questa polifonia non si ‘sente’.

Le virgolette sul verbo sentire sono state poste appositamente per due motivi essenziali: il primo è per distinguere bene il verbo ‘sentire’ dal verbo ‘udire’. Nella lingua castigliana non c’è la confusione che invece esiste nell’italiano in cui i due verbi si sovrappongono: noi diciamo comunemente “hai sentito?” intendendo “hai udito?” gli ispanici no. Nella lingua usata dai popoli di lingua spagnola, il verbo ‘sentir’ ha un significato univoco ed esprime un moto interno, una sensazione intima capace di decifrare la realtà umana invisibile.
Il secondo motivo è che questo ‘sentire’ , che appartiene esclusivamente agli individui della specie umana che hanno saputo, nonostante i naufragi della vita, mantenere un’umanità di fondo, si avverte molto nel romanzo. Il protagonista di ‘Giorni di neve, giorni di sole’ è senza dubbio uno di questi individui che ‘sentendo’ l’umanità e la disumanità le sa distinguere, e quindi separare nettamente, quando le incontra. Vi sono alcuni paragrafi in cui il protagonista osservando il comportamento di alcune persone sa ‘vedere’ i loro sentimenti celati. Ad esempio stando in aereo egli nota l’anaffettività di un uomo nei confronti dell’anziano genitore perché, nell’udirlo dire “papà”, ‘sente’ il suono della parola “vuoto e impersonale”.
Verrebbe da dire che questa sensibilità nel ‘sentire’ vale anche per chi ha scritto questo libro commovente che sa far vibrare corde profonde. Scriveva Erich Auerbach nel suo studio sul realismo nella letteratura occidentale, ‘Mimesis’, che pochi passi dell’Amleto, della Fedra o del Faust dicono molto di più sulla personalità di Shakespeare, Racine e Goethe, che non interi corsi universitari monografici che trattino in modo sistematico la loro vita e le loro opere. E questo vale anche per alcuni passi di questo libro in cui l’umanità degli autori tinge le pagine che appaiono scarne solo perché è stato tolto il superfluo.
La storia narrata in questo libro mostra un italiano ottantenne che lotta perché il ricordo della figlia, uccisa crudelmente insieme ad altri trentamila desaparecidos argentini, rimanga vivido e serva da monito e da insegnamento alle generazioni future. Per far questo percorre la strada del ritorno dove i ricordi vengono limati dal divenire dell’umano sino a divenire memoria affettiva lasciando la tirannia della realtà obiettiva nell’ombra.
I libri di Horacio Vertbinsky ‘Il volo’, citato nella postfazione di questo volume, e ‘L’isola del silenzio’, narrano la cronaca oggettiva della tragedia dei desaparecidos durante la dittatura militare finita nel 1983. Il grande giornalista argentino racconta come questo genocidio sia stata preparato, dice chi furono i mandanti, i complici, gli esecutori delle torture e degli omicidi, ma , necessariamente, si ferma al confine del dolore.
Il protagonista-voce narrante oltrepassa quel confine facendoci ‘sentire’ tutta l’angoscia e il dolore di un padre al quale una notte gli viene sottratta la luce dei suoi occhi: la figlia Patricia, una ragazza di ventun anni. Al padre della ragazza paralizzato dall’orrore gli aguzzini lasciano la nipotina Marianna di pochi giorni che diventata adulta saprà cantare il suo amore per la madre perduta nelle splendide poesie che scriverà ogni anno nel giorno della scomparsa per trasformare la sua assenza in presenza: “Sono un’assenza che ritorna/ogni volta profonda e presente. /Sono un vuoto che riempie di voglie./Sono una voce che non grida;/parla pian piano all’udito,/che accompagna/ e che guida”.
Per poter recuperare la vitalità psichica perduta nella sua tragedia personale, il protagonista ritorna nel luoghi della sua nascita, in un paesino sul lago di Como dove rincontra gli occhi neri di sua figlia incastonati nel viso d’ambra di una bambina che parla italiano con accento straniero. Li aveva tanto cercati quegli occhi elemosinandoli nei palazzi del potere oligarchico e teocratico: questure, commissariati, parrocchie, vescovado. In quei luoghi non aveva trovato quegli occhi. In quei luoghi aveva trovato solo orbite vuote e maschere che rappresentavano falsamente lo stato di diritto e ‘l’amore cristiano’.
Come racconta anche Vertbinsky nei suoi libri, la Chiesa cattolica non fu solo complice ma artefice di quel genocidio che fece impazzire di dolore le madri dei desaparecidos che scrissero questa famosa lettera a Woytjla protettore di iene voraci dello stampo di Pinochet e di Videla, : “Noi, la Associazione Madres de Plaza de Mayo supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si estenderà per il mondo, che non perdoni Lei signor Giovanni Paolo II, che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle mani dei responsabili di genocidio che Lei difende e sostiene, diciamo: No lo perdone, Señor, a Juan Pablo Segundo”.
Il dio evocato dal protagonista, nel quale egli aliena la propria speranza di una vita migliore, non è lo stesso di quei cappellani militari che convincevano i marinai reticenti e angosciati, a torturare e ad uccidere ragazze e ragazzi, dicendo loro che “separare l’erba buona da quella cattiva” era un precetto biblico da applicare senza nessun senso colpa.

Il dio immaginato da quel padre disperato non era lo stesso dio per il quale, secondo alcuni vescovi argentini, si doveva eliminare la parte migliore del paese che voleva: “…sovvertire l’ordine cristiano, la legge naturale o il progetto del Creatore”.

Il dio del protagonista, non può che essere come lui che lo ha creato, impotente di fronte a tanto orrore e determinato a conservare, per sé e per gli altri, l’immagine dell’umanità di Patricia.

Marna Editrice – pagg. 128 – Euro 12,00

                30/06/2010 – 14:00

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Fabrizio e Nicola Valsecchi
Giorni di neve, giorni di sole
Il viaggio di ritorno di un italiano d’Argentina
Casa Editrice Marna, 2010, 12 euro ISBN: 9788872034989

 

 

 

 

di Giovanni Ballerini

Fabrizio e Nicola Valsecchi – Giorni di neve, giorni di sole, 2010
Fabrizio e Nicola Valsecchi – B. e gli uomini senz’ombra, 2004
Fabrizio e Nicola Valsecchi – La chiromante. Una profezia, 2002

“Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina, ormai certa come il tempo che farà e abbiamo piste infinite, negli aeroporti d’Argentina, lasciami la mano che si va”. Cantava Ivano Fossati in “Italiani d’Argentina”. Dell’argomento trattano anche Fabrizio e Nicola Valsecchi nel loro “Giorni di neve, giorni di sole” pubblicato nel 2010 dalla Casa Editrice Marna. E lo fanno con una narrazione che strappa le lacrime, che lascia solchi profondi nelle coscienze, che fa sorgere interrogativi in chi legge e si trova a condividere idealmente con il protagonista il suo viaggio di ritorno verso una patria idealizzata, amata, anche se mai rimpianta.

Dopo due romanzi che si insinuavano con originalità nel mondo della fantasy (“La Chiromante” – 2002 e “B. e gli uomini senz’ombra” – 2004) i gemelli cernobbiesi Fabrizio e Nicola Valsecchi si concentrano su una storia vera e narrano con grande efficacia, con uno stile piacevolmente asciutto l’epopea di Alfonso Dell’Orto, emigrato nel 1935 in Argentina, che fa ritorno al suo paese natale, Piazza Santo Stefano (frazione di Cernobbio) dopo 70 anni. Non si tratta di un semplice tornare a casa, ma di un percorso iniziatico che lo fa sentire di nuovo accanto alla figlia scomparsa, come tanti nella sciagurata stagione dei desaparecidos Argentini, quello della dittatura, che dal 1976 al 1983 ha lasciato scomparire migliaia di giovani e altri individui (30.000 persone scomparse) invisi al regime. “Giorni di neve, giorni di sole” si apre con la prefazione del premio Nobel per la Pace 1980 Adolfo Perez Esquivel e la postfazione de segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli Gianni Tognoni.

Questo lavoro, scritto, come i precedenti, a quattro mani, non propone semplicemente una critica sferzante, stile “Garage Olimpo” alle vicende buie argentine, ma affronta le difficoltà (i giorni di neve) e i momenti di speranza (i giorni di sole), analizzando in qualche modo la nostra emigrazione, facendo riferimento all’Italia del passato, che sembra così lontana dal nostro presente di paese poco tollerante verso chi viene da noi in cerca di fortuna o solo per tentare una vita meno grama. Al centro del racconto c’è il valore della famiglia e, alla fine la voglia, dopo una vita felice (fino a un certo momento) in un altro paese, di ritrovare le proprie radici, di riscoprire i profumi, i colori della propria terra. Un viaggio nella memoria, emozionante, commovente e ricco di sincero pathos.

di Marco Cambiaghi

«Ci sono giorni di neve nella vita di un uomo. Giorni bui in cui ogni speranza è persa e tutto sembra inutile e vuoto in presenza del dolore. E ci sono giorni di sole in cui tutto invece risplende di una vita migliore…». Comincia così l’ultimo libro dei gemelli Fabrizio e Nicola Valsecchi, uscito in questi giorni per la casa editrice lecchese Marna. Quasi come per uno scherzo del destino, se si volge lo sguardo fuori dalla finestra, il libro si intitola «Giorni di neve, giorni di sole». Il sottotitolo chiarisce come la vicenda sia liberamente tratta dalla vita di Alfonso Mario dell’Orto, che a soli 7 anni è partito da Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio, (dove vivono i due autori) per l’Argentina, alla ricerca di quella fortuna che non trovava in Italia.
Alfonso racconta, tramite la penna dei due gemelli, il suo ritorno in Italia, dopo più di 70 anni, a commemorare la figlia, desaparecida all’età di 21 anni col marito, lasciando ad Alfonso la responsabilità di crescere una bimba. «Ci ha colpito molto la vicenda umana – spiegano i gemelli – e la voglia di vivere di quest uomo, che oggi ha più di ottanta anni e non si è mai fermato, pur dovendo fare molti sacrifici». «Tutto è nato – continuano – quando, circa 4 anni fa, Alfonso ha chiesto al presidente della cooperativa di Piazza di poter affiggere un quadro della figlia, in ricordo di quel luogo, fondato dal nonno di Alfonso. Da qui l’idea di scriverne un libro». Durante il periodo in cui avveniva lo scambio di informazioni con Dell’Orto, Adolfo Perez Esquivel, Nobel per la pace nel 1980, ha letto il manoscritto e ne è rimasto entusiasta, decidendo di inviare agli autori quattro pagine olografe, che si trovano allegate al testo. «La corrispondenza con l’Argentina è stata fittissima e gli interscambi hanno consolidato rapporti umani e trasmesso sensazioni difficilmente immaginabili» è il commento. Quella che viene raccontata è una storia sull’emigrazione, sulla ferocia che solo la verità, a volte, può avere ma anche sulla speranza, la fiducia, sul «guardare avanti e mai indietro», concetto tanto caro agli autori. Sulla difficoltà di essere scrittori in Italia i due autori, sebbene siano al loro terzo libro (il primo nel 2002, il secondo nel 2004), ammettono i problemi incontrati per la pubblicazione di quest’opera: «non è facile poter essere pubblicati se si è giovani e poco conosciuti, ma noi continueremo a scrivere».

Fabrizio e Nicola Valsecchi, «Giorni di sole, giorni di neve», Marna, 127 pagine, 12 euro

 

 

 

La Repubblica -30/01/2010

Il Corriere di Como – 07/02/2010

 

Nel volume dei gemelli Valsecchi il dramma dei desaparecidos

 

Domenica 07 Febbraio 2010

Libri lariani

Il dramma dei desaparecidos è al centro del nuovo libro di Fabrizio e Nicola Valsecchi, gemelli cernobbiesi noti per la loro scrittura a quattro mani caratterizzata da una prosa asciutta ma notevolmente espressiva ed introspettiva. Il loro nuovo volume Giorni di neve, giorni di sole (Marna, 127 pp., 12 euro) è basato sulla vita di Alfonso Mario Dell’Orto, nativo di Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio, partito con i genitori per l’Argentina nel 1935, alla ricerca di condizioni economiche migliori. Il libro sarà presentato venerdì 19 febbraio, alle 20, al ristorante “Il Glicine” di Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio (ingresso libero). Scritto in prima persona, il libro ripercorre la storia di Alfonso Mario Dell’Orto, che durante un viaggio di ritorno dall’Argentina a Cernobbio, ricorda gli episodi salienti della sua vita: la sua dipartita da Como, la nuova vita in Argentina, l’incontro con la moglie, la nascita dei suoi figli. Ma uno è in particolare l’episodio che l’uomo non può dimenticare, ovvero la sparizione della figlia Patricia, socialmente impegnata e per questo vittima della dittatura militare imposta in Argentina dal 1976 al 1983, rapita insieme con il marito Ambrosio e di certo uccisa e gettata nell’oceano come gli altri desaparecidos. Un racconto commovente che porta alla luce tutta la dualità della vita di un uomo, continuamente attraversata da gioie e dolori e vissuta attraverso due paesi e due periodi storici complessi, quello del dopoguerra e quello argentino delle violente e repressive dittature militari.
Il viaggio di ritorno è presentato dai fratelli Valsecchi come il momento di revisione di un’esistenza, alla ricerca di una riappacificazione interiore. È nel ricordo, deposto a Cernobbio per Patricia, che Dell’Orto trova la sicurezza che il sacrificio di sua figlia resterà come esempio e monito per le generazioni future, nella speranza che la storia non si ripeta.
Il libro contiene anche la prestigiosa prefazione di Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la Pace nel 1980, per il quale il libro «illumina il cammino della vita di chi ha lottato per un mondo più giusto».

Chiara Favero

 MAG de La Provincia di Como

Il Corriere di Como 17/03/2010

 10 3 30 “GIORNI DI NEVE, GIORNI DI SOLE”
Non è ancora tempo di andare…

Nello Colombo

Desaparecidos. Siamo tutti desaparecidos in questa valle di lacrime. Siamo tutti figli di un dio minore, dimentico a volte dei propri figli, precipitati dall’alto in un gorgo senza fine. Senza pace e senza amore. Talvolta senza regole. Se non quelle del più forte in nome di un’assurda violenza paludata da nefasta dea di una truce giustizia malfida e assassina. E non ci sono lacrime per un padre che possano lenire il dolore per una figlia privata dalla violenza del figlio dell’uomo. Né giorni di neve, né di sole che risvegliano nuove sofferenze agonizzanti nel cuore di tenebra ancorato al ricordo.

Fabrizio e Nicola Valsecchi hanno rivissuto fino in fondo il dramma mai sopito d una terra martoriata da inquietudini incoscienti svuotate da avversi di vuoti di potere camuffati nell’ispido pelo da tenero manto d’agnello. Quasi protagonisti di una tragedia che si è consumata sotto gli occhi di muti spettatori senz’anima, fantocci inanimati mossi dai fili di un eterno burattinaio che in nome del libero arbitro ha lasciato la vindice mano abbattersi sul capo di innocenti e reietti.

“Giorni di neve, giorni di sole”, il testo-testimonianza di Fabrizio e Nicola Valsecchi, diventa così un affresco insidioso e lancinante che spossa l’animo nel tormento di un caleidoscopio di cupe vertigini infinite, è l’imago mortis di un’epoca caduca, malsana, piagata e piegata al potere, è il diario di una vita intera spesa a inseguire un sogno mai sognato, per svegliarsi sul nudo assito di un palcoscenico sempre più patibolo delle intenzioni pure e più sacre soggiaciute al luciferino assedio di miscredenti e dissacranti teorie. Se non fosse per quella lucida, tenue certezza che in fondo al buio lascia ancora intravedere un lucore lontano. Patrizia vive nella sua immortalità di vergine dell’innocenza quotidiana, martire dell’ottusa acquiescenza di chi non ha osato ribellarsi per paura, di alzare il capo contro la protervia dell’arroganza e della barbarie di un potere cieco e assoluto. Vive nelle pagine di chi canta i suoi giorni e nella la sua uscita di scena sul postribolo di una vita cancellata come l’identità stessa di chi grida al mondo libertà e dignità calpestate.

Eppure verrà un giorno in cui le colombe si faranno beffe delle aquile altere, verrà l’ora in cui miseri e oppressi si faranno paladini dei loro carnefici con il loro intollerabile perdono che brucia. E quel che resterà non sarà soltanto il mesto ricordo di un padre defraudato di tutto, una vuota conchiglia in cui soffia forte la velata rimembranza di vestigia lontane sfocate in uno specchio franto nelle lacrime di ognuno dei suoi giorni passati, ma il segno, quella traccia sicura di un cammino tra i rovi e le spine che insidiano il passo. E insegna.

E’ sempre duro il sentiero che conduce alla libertà dall’incubo dei propri sogni bui e tempestosi. Alfonso Mario Dell’Orto diventa così l’aedo errante di un’epica funebre dissacrata da chi ha steso un velo impietoso sulla nuda verità, diventa l’eroe silenzioso di una tragedia annunciata, di un dolore disumano che si consuma ai piedi del Golgota di una spianata di acque purulente che tutto cancella. Ma che non va dimenticato. Come la promessa di un domani migliore. Il riscatto del sole che torna e spazza via le nevi della iverna quiete.

NELLO COLOMBO

www.gazzettadisondrio.it n. 9/2010, anno XIII° del 30 III 30

 

 

12/04/2010

El Ghibli – rivista online di letteratura della migrazio

El Ghibli
http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/

giorni di sole, giorni di neve – fabrizio e nicola valsecchi

sabatino annecchiarico

Giorni di sole, giorni di neve – Fabrizio e Nicola Valsecchi
Casa editrice Marna – 2009
pp. 128, 12 €

Quando la memoria quasi secolare di Alfonso Dell’Orto è in grado di raccontare nel breve tempo che dura un volo tra Buenos Aires e Milano il proprio vissuto, iniziato da migrante italiano in pieno Ventennio fascista quando partì assieme a sua madre e sorella da Genova, sull’Augusta, “in terza classe perche la quarta non c’era” (p42); mescolata a quell’altra storia argentina vissuta durante gli anni bui in cui s’imponeva sulla popolazione del paese sudamericano il terrore militare; il lettore, portato dalla penna a quattro mani di Fabrizio e Nicola Valsecchi, autori di questo singolare caso letterario biografico, assorbirà ognuna di queste emozioni tra “angoscia e felicità, due sentimenti marcati a fuoco nella vita”, come lo stesso Dell’Orto rileva di se stesso nelle note introduttive dell’opera (p.9).

 

Un racconto vivo e reale. Fonde i propri sentimenti del passato nella contemporaneità di un ritorno per rivedere il suo paese natale, Piazza Santo Stefano in provincia di Como, dopo oltre settant’anni di vita all’estero portandosi con sé solo la valigia dei ricordi. Una valigia appesantita da quel filo di sole per Patricia, sua figlia desaparecida nel 1976 e introdotta nella prefazione da Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980, come “la giovane assente, sempre presente, perché vive nel ricordo dei suoi cari e della gente” (p13).

 

Il 24 marzo del ’76 con un colpo di Stato i militari argentini s’impossessarono del paese per sette anni consecutivi impadronendosi di tutto l’esistente, compreso le vite umane. In quella tragica storia, che coprì l’Argentina con le notti più buie del terrore di Stato, furono circa trenta mila le persone, neonati e di ogni età, scomparse nel nulla. Una tragedia che trascinò nell’incubo la maggior parte della popolazione. Patricia, aveva appena ventun’ anni quando una notte di novembre del 1976, militari in borghese al comando del generale Miguel Etchecolatz, uno dei tanti squadroni della morte, irrompono nella sua abitazione nella città di La Plata, portandosela via davanti agli occhi dei suoi cari. Assieme a lei, scomparse nel nulla anche suo marito Ambrosio De Marco, di ventitré anni, anche lui desaparecido. Patricia e Ambrosio erano i genitori di Mariana che quella tragica sera aveva solo venticinque giorni di vita e che fu stranamente risparmiata dai militari, padroni della vita e della morte.

 

“Trent’anni sono passati. Enormi muri di silenzio, menzogne, omertà, speranza, paura, angoscia, amarezza. E disillusioni. Rivivo tutto questo in un semplice istante”(p.57/58). E lo rivive Alfonso in ogni istante della vita, dove la memoria, sempre ostinata, non gli darà tregua, mescolando ai ricordi d’angoscia, quegli altri pieni di felicità. “Era il 29 dicembre 1935. Uno splendido giorno di sole illuminava il nostro primo incontro con la realtà argentina. Papà ci ha abbracciati e i nostri volti brillavano di gioia in quella stretta festosa e agognata. Ci ha portati in un ristorante italiano per celebrare la famiglia di nuovo riunita. |…| Allora l’Argentina mi era apparsa subito diversa dall’Italia. Nel nostro paese c’era il duce. Si respirava aria pesante. Si cantava ‘Faccetta nera’ |…| Ci sarebbe stata una tessera per tutto. Per il lavoro. Per il pane. Per la farina. Per lo zucchero. E anche per non pensare”(p.44/45).

 

Gli autori presentano tutta questa storia con una scrittura leggera e scorrevole in superficie accompagnata da una buona dose poetica; ma acuta in profondità, man mano si cala nella memoria del protagonista, caricandosi d’intensità a ogni giro di pagina, al punto che il lettore non potrà sottrarsi da una costante riflessione della e sulla vita di quel passato ma oggi ancora attuale che coinvolge tutti, migranti e no, vivi e morti.

20 Aprile 2010

quotidiano La Notte

 

 

 

Libri

 

“Giorni di neve, giorni di sole”, i fratelli Valsecchi raccontano l’Argentina dei desaparecidos

“Ci sono giorni di neve nella vita di un uomo. Giorni bui in cui ogni speranza è persa e tutto sembra inutile e vuoti in presenza del dolore. E ci sono giorni di sole in cui tutto invece risplende di una luce migliore e ogni ricordo triste svanisce come neve al sole”. Inizia così l’ultima fatica letteraria di Fabrizio e Nicola Valsecchi. I gemelli cernobbiesi raccontano, attraverso gli occhi e gli sguardi dell’emigrante Alfonso Dell’Orto, con eleganza e stile la storia della figlia Patricia, e di suo marito Ambrosio, desaparecidos ed assassinati nell’Argentina della dittatura.

 

Un elogio alla Verità ed alla ricerca della Verità. Un elogio alla perseverenza, alla voglia di non mollare mai, alla sete di Giustizia per una giustizia che, anche se tardi, alla fine arriva. E’ anche un elogio alla famiglia, al senso della famiglia, al senso di appartenenza verso la propria terra, lasciata per cercare fortuna altrove ma sempre nel cuore. Questo ed altro è “Giorni di neve, giorni di sole”, edito da Marna e scritto a quattromani dai gemelli cernobbiesi Fabrizio e Nicola Valsecchi che racconta la storia del ritorno in Italia di Alfonso Dell’Orto, andato in Argentina da emigrante a cercare fortuna ma che proprio in Argentina ha conosciuto la sofferenza di veder rapiti, divenuti così desaparecidos, ed uccisi la propria figlia Patricia ed il genero Ambrosio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Puglia         cultura      pagina 11

mercoledì 21 aprile 2010

 

Nel libro di Nicola e Fabrizio Valsecchi (con prefazione del Nobel Perez Esquivel) la vita vera di Alfonso

La storia di un italiano in Argentina alla ricerca dei suoi ‘desaparecidos’

 

“Giorni di neve, giorni di sole”, di Fabrizio e Nicola Valsecchi, prefazione di Adolfo Perez Esquivel (premio Nobel per la pace 1980); edito dalla Casa Editrice Marna, 2009; copertina morbida; 127 pp. cm 14 cm x 21.

Il romanzo tratta la difficile, ma reale, vita di Alfonso Mario Dell’Orto, un italiano che da piccolo emigra insieme alla sua famiglia in una terra lontana. Suo padre Augusto, partito prima, li aspetta ansioso di riavviare una vita insieme piena di speranza  e felicità.

Con loro, un bagaglio pieno di illusioni, basato su lavoro, famiglia e progresso. Il protagonista, Alfonso, allora ragazzino, parte da Como insieme a sua mamma e sua sorella nel 1935. Obiettivo: tornare a essere una famiglia in una terra lontanissima  da Piazza Santo Stefano. Sono costretti a partire a causa della miseria e con le ambizioni di trovare una vita migliore.

Dopo un interminabile viaggio in nave, arrivano finalmente al porto di Buenos Aires. Era trascorso un anno da quando la famiglia si era abbracciata per l’ultima volta. E adesso erano di nuovo tutti insieme, ma in una nuova terra, nella terra promessa: l’Argentina. Insieme per aspettare con speranza una nuova alba.

Nonostante il piccolo Alfonso cresca in un’epoca politicamente difficile per l’Argentina, già adolescente, cerca sempre di amare questa terra come fosse la sua. E proprio in questo Paese lontano, getta le radici dalle quali nasceranno i suoi figli.

Negli anni successivi, come sperato, la famiglia cresce unita e felice. Ben presto, però, il percorso cambia e non si sviluppa così come si auguravano.

A partire dal 1930, per diversi fattori nazionali e interessi stranieri, cominciano i colpi di stato. I militari, alternandosi al potere, cercano sempre di proseguire con un modello di diseguaglianza.

Un’epoca violenta per la nazione sudamericana, lontana, ma così legata all’Italia. Una vita marcata dalla tragedia familiare, che trova la sua stessa motivazione nella ricerca dei suoi cari, della libertà di sentimenti e pensieri, della pace e della giustizia.

Alfonso all’ epoca studente conobbe “Pocha”, la futura moglie che vivrà nel suo cuore e sarà da lui sempre ricordata instancabilmente anche dopo la sua prematura scomparsa. Con lei metterà al mondo Patrizia, poi fatta“desaparecir”(scomparire, ndr) dai militari golpisti.

Idealista, lotta contro la diseguaglianza sociale e la miseria e resiste alla dominazione  e alle ruberie.

Aiuta la gente più povera ed indigente, insegnando, costruendo, portando solidarietà. Rappresentatutti i “desaparecidos” in un’epoca buia per l’intero continente. É il reflesso di anni di orrore, specchio di una generazione eliminata, di una ferita che non si chiuderà mai.

Insieme a suo marito, Ambrosio, vengono sequestrati, torturati e fatti scomparire dai militari golpisti.

Miracolosamente la loro figlia Mariana, di appena 25 giorni di vita al momento del sequestro, esce indenne dalle azioni dei militari.

Da grande, però, potrà solo immaginare i suoi genitori, tramite parole, foto, pensieri e racconti. La mamma Pocha, con il caratteristico foulard bianco, insieme alle altre mamme e nonne dei desaparecidos, in segno di protesta contro chi ha fatto sparire i loro familiari, gira per anni intorno alla piazza principaledi Buenos Aires (Plaza deMayo) in segno di protesta.

Dopo poco più di settant’anni, Alfonso, ormai anziano, ritorna al carissimo paese che lo vide partire tanti anniprima: l’Italia.

Portando con sè il ricordo di Patricia e condividendolo con i suoi cari non emigrati, riuscirà ad attenuare la sua sofferenza.

Torna a rivedere la sua Piazza Santo Stefano dopo una vita lunga e pienadi lotta.

I gemelli Fabrizio e Nicola Valsecchi, scrittori cernobbiesi, nati a Como nel 1976, hanno pubblicato altre opere con la stessa casa editrice: La Chiromante, Una Profezia (2002) e B. e gli uomini senz’ombra (2004), oltre al racconto Il Semedella Discordia (2006). Nonostante le oggettive difficoltà di una scrittura a quattro mani, i Valsecchi non sembra si ripartiscano i compiti, dando vita ad una scrittura asciutta e innovativa.

Raccontano con molti dettagli i sentimenti, anche in prima persona, assecondando il desiderio di Alfonso, e ci fanno partecipi

del suo difficile percorso di vita. La storia di un padre che ha fatto dei valori della famiglia e della ricerca dei propri cari, il

fondamento della propria esistenza.

Un libro stracolmo di emozioni, che ci fa riflettere su come nella vita di un uomo ci sono giorni di neve, giorni bui dove ogni speranza è persa e tutto sembra inutile, vuoto e doloroso.  Ma ci sono anche giorni di sole, in cui tutto invece risplende di una luce migliore e ogni ricordo triste si scioglie svanisce come neve. Alfonso, inseguendo per tutta la vita i giorni di sole, decide di ritornare nel luogo della sua infanzia, portando con sè almeno il ricordo della sua adorata figlia affinchè, parlandone, non sia mai dimenticata.

Il libro porta un messaggio di speranza, di non rassegnazione nella instancabile ricerca della verità e della giustizia anche molti anni dopo. E’ un libro che cerca di non lasciare morire la memoria di giovani come Patricia e Ambrosio, simboli di una generazione che lottava per un mondo più giusto. Solo non lasciandone assopire il ricordo nei popoli, sarà possibile “elnunca mas”, il “mai più”.

Víctor A. Liotine

 

 

 

 

 

Letteratura / Recensioni libri

“Giorni di neve, giorni di sole” di Fabrizio e Nicola Valsecchi

 

Giorni di neve, giorni di sole è il terzo romanzo di Fabrizio e Nicola Valsecchi: gemelli, classe 1976, di Cernobbio, scrivono a quattro mani procedendo insieme nella stesura. Un caso autoriale davvero curioso e intrigante, come la copertina stessa, che ricorda un po’ quelle atmosfere surreali tipiche di Magritte. Giorni di neve, giorni di sole prende le mosse da una storia vera, quella di Alfonso Dall’Orto, fuggito dal regime fascista nel 1935 in direzione dell’Argentina. Nel corso degli anni, Alfonso riesce a ricostruirsi una vita, si sposa e dal matrimonio nascono quattro figli. Tutto procede, benché tra sforzi e sacrifici, finché l’avvento del regime militare dei generali e di Jorge Rafael Videla nel 1976 provoca la scomparsa della figlia maggiore di Alfonso, Patricia, e di suo genero Ambrosio, che lasciano sola al mondo una figlia neonata cui l’uomo farà da padre: la piccola Mariana. Quando, nel 1999, vengono riaperti i processi, la speranza di Alfonso si spegne con la ratifica della morte di Patricia: l’orrenda tragedia dei desaparecidos diventa realtà. Ma c’è un’ultima possibilità per tenere in vita la memoria di Patricia: dopo 70 anni Alfonso ritorna nel proprio paese natale, lasciando un quadro di sua figlia nella Cooperativa Sociale locale alla cui costruzione aveva partecipato anche il nonno Giovanni. E’ questo l’ultimo atto che affermerà idealmente i principi di libertà, verità, giustizia e democrazia, valori traditi dall’orrore della dittatura e del clima della obediencia debida.

         Cesare Mascitelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le librerie invisibili

22 ottobre 2012 · 16:34

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Giorni di neve, giorni di sole

Quando Fabrizio e Nicola Valsecchi mi hanno inviato Giorni di neve, giorni di sole per una recensione, non potevano sapere che tra due settimane mi laureo con una tesi sulla letteratura dell’emigrazione. L’ho trovata una curiosa coincidenza ed ovviamente non potevo esimermi dalla lettura di un romanzo sul tema che ha occupato i miei studi negli ultimi mesi. Sento, in questo caso, che potrei offrire qualcosa di più di una valutazione d’istinto.

La letteratura sull’emigrazione è un mondo davvero poco esplorato dagli scrittori italiani. Tanti critici hanno parlato di una sorta di “rimozione di massa” che ha coinvolto anche gli intellettuali. Emigrare era una colpa, una vergogna, soprattutto in un paese come l’Italia che continua a vivere sulle rovine di un passato glorioso. Dal 1870 al 1985 gli emigrati italiani nel mondo sono stati circa 27 milioni. Ad oggi, al netto dei rimpatri, la presenza italiana nel mondo è pari alla popolazione nazionale. Un fenomeno macroscopico che è stato taciuto da un’intera generazione di scrittori: qualche nome, anche celebre, ma per una produzione che si riduce a un paio di romanzi d’appendice, qualche poesia e alcune novelle. Questo per quanto riguarda il periodo storico che io ho analizzato, tra la fine dell’Ottocento e gli anni del Fascismo. Poi per mezzo secolo una “cortina di silenzio” che è approdata negli anni 80 ad una riscoperta del tema. Oggi, trascorso quasi un secolo dalla “grande emigrazione italiana” si scrive molto più di allora su questo tema.

Il romanzo di Fabrizio e Nicola Valsecchi è davvero interessante perchè racconta una vera storia di emigrazione. Nel 1935, in pieno regime fascista, Alfonso Dell’Orto abbandona l’Italia per cercare fortuna in Argentina. Lì sposa una connazionale e costriusce un futuro per i suoi quattro figli. Quello che è un aspetto ignorato da tanta letteratura sull’emigrazione è la tragedia duplice che colpisce tanti emigrati rifugiatisi nel sud America: le lotte di potere che attraversano il continente non risparmiano gli stranieri che si sono integrati nel tessuto sociale del luogo che li ospita. I figli di Alfonso Dell’Orto sono cittadini argentini e come tali si battono per la libertà di quella terra. Nel 1976 il regime militare dei generali e di Jorge Rafael Videla apre il periodo del terrorismo di stato, che ha provocato 30.000 desaparecidos, tra i quali Patricia, la figlia maggiore di Alfonso, e suo marito Ambrosio. Alfonso si ritrova padre della piccola Mariana, di soli 25 giorni. La verità sulla sorte di Patricia emergerà solamente nel 1999, con la riapertura del processo ai generali. Julio Lopez, testimone della sorte di tanti desaparecidos, è scomparso a sua volta nel 2006 dopo aver cominciato a fare il nome dei colpevoli.

Il romanzo è completamente costruito sul flusso interiore di Alfonso, che compie un duplice viaggio: verso l’Italia, per riportare Patricia nel luogo della sue origini, e dentro di sè per accettare la morte di sua figlia e riuscire a dirle addio. Ai “giorni di neve” possono seguire dei “giorni di sole”.

«La famiglia fatta parole.
L’identità espressa alla distanza. Una distanza non del tutto
d’altri, non del tutto propria.
Mani sconosciute che apprendono e narrano la propria storia,
gli ideali e i sogni più profondi e li fanno frasi, li fanno eterni, li
espongono in pagine, affinché nessuno li ignori. Li inquadrano
nella riva di quel lago, rispecchiando i visi nell’acqua: visi che
brillano e splendono per sempre».
Mariana De Marco
(figlia di Patricia Dell’Orto)

Il perchè leggere questo libro lo lascio alle parole di Alfonso Perez Esquivel, premio Nobel per la Pace nel 1980 e autore della prefazione:

«Patricia e Ambrosio e tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà rimangono nella memoria e nella resistenza. La testimonianza di Giorni di neve, giorni di sole, di Fabrizio e Nicola Valsecchi, illumina il cammino della vita di chi ha lottato per un mondo più giusto e più umano per tutti. I loro figli e i figli dei loro figli hanno nell’esempio dei loro cari qualcosa in cui specchiarsi nella vita e nella speranza».

 

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