“Non sono Giuda di Falcone”. Magistrato querela giornalista del Fatto

Il magistrato di Cassazione Vincenzo Geraci, ex pm di Palermo, ha chiesto i danni  a Rino Giacalone

OSSIGENO – Roma, 27 marzo 2013 – Il giudice Vincenzo Geraci, ha chiesto un risarcimento danni per diffamazione, per un importo da definire, al giornalista siciliano Rino Giacalone, per un articolo in cui si parla di lui come della persona che, dopo la Strage di Capaci, fu indicata spregiativamente dal giudice Paolo Borsellino come il “giuda” che tradì Giovanni Falcone.Borsellino indicò genericamente il giuda, non pronunciò il nome di Geraci, ma da allora numerosi amici e colleghi di Falcone hanno sostenuto che si riferiva proprio a lui. L’articolo di Giacalone è stato pubblicato dal “Fatto Quotidiano” il 22 maggio 2012. In esso il giornalista ricostruisce la storica riunione del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura del 19 gennaio 1988 convocata per nominare il nuovo capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. In quel ruolo (poi abolito da una riforma) che si era rivelato decisivo per la ripresa dei processi contro la mafia, dopo l’assassinio, il 25 settembre 1979, di Cesare Terranova, il titolare non ancora insediatosi, c’erano stati Rocco Chinnici (da ottobre del 1979 al 29 luglio del 1983, quando fu assassinato con un’autobomba) e poi Antonino Caponnetto, il creatore del pool antimafia. Rocco Chinnnici creò il pool antimafia, chiamando a farne parte fra gli altri, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Giovanni Falcone e Leonardo Guarnotta.

Caponnetto sancì il ruolo di primus inter pares di Giovanni Falcone, indicandolo di fatto come il suo successore. In quegli anni furono arrestati oltre 400 mafiosi e i magistrati istruirno il primo maxi processo.

Quindi nel 1987, quando Caponnetto, a 67 anni, decise di lasciare la guida dell’Ufficio Istruzione di Palermo, per tornare nella sua Firenze, secondo tutte le aspettative e in base ai pronostici basati su varie prese di posizione, si prevedeva che il successore di Caponnetto sarebbe stato proprio Falcone. Invece, a sospresa, il 19 gennaio 1988, il CSM nominò Antonino Meli, il candidato che aveva i titoli ma era estraneo al lavoro del pool ed era il meno gettonato. Fra i voti che vennero a mancare a Falcone, pesò in modo determinante quello di Vincenzo Geraci, sostituto procuratore di Palermo, eletto al CSM nel …, il pm che accompagnò Falcone a Rio De Janeiro al primo interrogatorio di Tommaso Buscetta che si conclusse con la sua decisione di collaborare con la magistratura.
Fu grande l’amarezza degli amici e dei sostenitori di Falcone per la mancata nomina a capo dell’Ufficio Istruzione. Quella decisione di votare Meli e non Falcone, è stata rinfacciata infinite volte a Geraci dagli amici e dai sostenitori di Falcone, da tutti coloro che continuano a considerare quella mancata nomina di Falcone nel ruolo di riconosciuto successore di Chinnici e Caponnetto l’origine di tutte le manovre che successivamente indebolirono il pool antimafia e spinsere Falcone a lasciare Palermo.

Lo sfogo pubblico più amaro rimane quello di Paolo Borsellino che, il 25 giugno 1992, a un convegno organizzato a Palermo da Micromega e dal movimento di Leoluca Orlando “La Rete”, disse una frase che è stata citata una infinità di volte:
“Quando Giovanni Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli”.

Borsellino non fece pubblicamente il nome di Geraci, ma da allora molti hanno identificato in lui la persona a cui si riferiva (Leggi). Fra gli altri, nel 2009 il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, in una intervista al Corriere Canadese, ha sostenuto che il riferimento era proprio a Geraci.

Da tutto ciò sono nate infinite polemiche e amarezze per il magistrato che ha sempre confutato quella identificazione e i riferimenti spregiativi alla sua persona difendendo la piena legittimità di esercitare il suo voto in seno al CSM come riteneva più giusto.

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