Emil Cioran è stato uno dei pensatori più originali e controversi del ’900, definito un “ateo-credente” che con la sua scrittura tagliente e profonda sapeva unire acume filosofico e slancio lirico. Nato in Romania, Emil Cioran è però conosciuto per essere uno dei più brillanti filosofi di lingua francese del secolo scorso, fondatore di una personalissima filosofia lirica che superava qualsiasi velleità pedagogica scardinando tradizioni millenarie. Una filosofia che non si lasciava ingabbiare in schemi e scuole, una riflessione che è quasi l’esplorazione degli abissi più remoti della sua esperienza personale e proprio per questo degli abissi del pensiero dell’umanità tutta.
E’ questa la cifra espressiva del suo “Breviario dei vinti” (Edizioni Voland, 148 pagine, 13 Euro), tradotto in italiano da Cristina Fantechi, cura e postfazione di Roberto Scagno. Il libro è un compendio, un ibrido tra le lucide formulazioni del francese e la magmatica e tellurica radice balcanica; Emil Cioran passa in rassegna in forma aforistica una serie di questioni nodali della sua riflessione, dalla religione al rapporto con la patria, dal suicidio alla conoscenza, riuscendo attraverso i suoi frammenti a costruire un sistema di pensiero che rompe con i formalismi della tradizione filosofica anche grazie a una scrittura profondamente poetica. Scritto tra il 1941 e il 1944, il “Breviario dei vinti” rappresenta un momento di passaggio e un tratto di discontinuità con il suo pensiero degli anni precedenti, con le sue simpatie per il primo nazismo hitleriano e con i suoi forti richiami antisemiti, tutti fattori che furono causa della perdita della cittadinanza rumena e quindi dell’esilio in Francia con lo status di apolide. Isolato per gli stessi motivi anche dall’ambiente intellettuale francese, fortemente caratterizzato a sinistra, Emil Cioran aveva frequentazioni esigue, tra cui quella con il suo connazionale Mircea Eliade, la cui amicizia di sicuro avrà influenzato la sua ricerca spirituale e metafisica. Nelle pagine del “Breviario dei vinti”, Emil Cioran descrive se stesso come il superstite di una violenta epidemia che gli ha strappato affetti e amicizie, un’ombra che vaga solitaria attraversando il tempo, incerta se affogare nelle acque della Senna o nella musica dei caffè: l’idea del suicidio serpeggia lungo tutta la sua opera, solo morendo il mortale non mente a se stesso e afferma la verità, il destino come perpetuo rinvio al suicidio. La consapevolezza di questo destino è la radice dell’orrore per la sedentarietà e del bisogno di errare, di fuggire dalle pesanti mura delle abitudini e che lo trasforma nel filosofo viandante ed errabondo, l’apolide che vive la sciagura della conoscenza. Ma il male dell’anima è un male spirituale, la consapevolezza che dal mondo del pensiero scende a quello del cuore e ci rende consci che non abbiamo modo di scegliere perché alle nostre inclinazioni si oppone la vista assoluta dello spirito. La decadenza è il frutto di questa comprensione, la stessa che secondo Emil Cioran permise al cristianesimo di penetrare nella Roma che non si bastava più fino a provare disgusto per il lusso, la moda, le spezie e le trasgressioni raffinate. Il filosofo dei vinti è spirituale e ateo allo stesso tempo, consapevole fino in fondo di essere stato escluso dalle vie dell’Onnipotente che, come racconta la Genesi (3,24), mise cherubini armati di spada a difesa dell’albero della vita, pianterà egli stesso un altro albero per farne un paradiso al riparo dai tormenti, un paradiso popolato da angeli di una perfezione effimera.
Questo “Breviario dei vinti”è un’opera che ci permette di comprendere l’evoluzione e il pensiero dello scrittore, di approfondirne il linguaggio tellurico e oscuro, a volte illuminato da improvvise accensioni, sprezzante delle contraddizioni fino all’insolenza, intollerante dei limiti della ragione, fra echi dell’antica scuola cinica e accenti di religiosità che lasciano intravedere i colori della gnosi.
Massimiliano Palmesano