Secondo il racconto che forniscono i Vangeli sinottici di Marco e Matteo, seppur con versioni leggermente differenti, Gesù il giorno successivo al suo ingresso trionfale a Gerusalemme era in cammino sulla strada verso Betania. Qui dopo aver passato la notte cercò dei fichi da mangiare tra le fronde di un albero rigoglioso e, non trovandone nemmeno uno, condannò la pianta alla sterilità eterna e dopo pochi istanti l’albero seccò. L’episodio è conosciuto come “la maledizione del fico”.
Partendo dal racconto evangelico Alberto Garlini, nel suo romanzo “Il fico di Betania” (Edizioni Aboca, 150 pagine, 14 Euro), ricostruisce la vicenda attraverso la figura immaginaria di Simone figlio di Taddeo, uno zelota che si nascondeva sotto falso nome in un casolare di campagna. In gioventù Simone si era macchiato di numerosi crimini a causa della sua appartenenza alla setta messianica degli zeloti che si opponeva con la forza alla dominazione romana. Una mattina si trovò di fronte il fico incenerito nel suo podere e lo interpretò come un segno di sventura, fatto che lo costrinse a fare i conti con il proprio passato tenebroso.
Il racconto ha come colonna portante il complesso rapporto tra uomo e Dio. Simone è attratto dall’autorevolezza e dal fascino di Gesù e, forte della sua consuetudine con la violenza, ne percepisce la morte imminente e l’afflato verso una salvezza venata di disperazione. Alberto Garlini nelle pagine del libro sembra affermare che uomini e dei non vivono in sfere differenziate ma sono accomunati da un fragile destino. Di fronte al fico incenerito lo zelota rivede il simbolo della sua rinascita dopo una vita di efferati crimini e la fuga in clandestinità, nella pianta vede il cambiamento e getta il suo sguardo verso il futuro, condanna il suo passato e come un albero cerca di germogliare di nuovo. La simbologia del fico è centrale già a partire dall’Antico Testamento e, insieme alla vite, era uno dei simboli di Israele; i suoi frutti rappresentavano gli uomini buoni e la parabola evangelica sta proprio a rappresentare il destino salvifico di Gesù che sacrificò sé stesso per l’assenza di frutti dalla pianta di fico e cioè di uomini buoni sulla terra.
“Il fico di Betania” fa parte di una collana ideata da Aboca dal titolo “Il bosco degli scrittori” in cui ogni autore proposto si cimenta con un lavoro il cui soggetto principale è un albero. Secondo l’editore da sempre le piante esercitano una profonda fascinazione sull’attività creativa degli scrittori.
Massimiliano Palmesano