“Il grande racconto del favoloso Oriente” di Attilio Brilli (il Mulino, 480 pagine, 48 Euro) è un libro che ci proietta fin da subito in un’atmosfera magica. Sotto un cielo stellato di cui solitamente le luci della città non ci permettono di godere, con andamento ondulante portati da un cammello; davanti a noi l’infinito del deserto: è così che potrebbe iniziare il nostro viaggio verso Oriente. Accompagnati da una carovana, in cammino verso fantastiche città, paesaggi meravigliosi e animali strabilianti; alla scoperta del mondo arabo, e poi in fondo, ancora più ad est, passando per le caotiche e colorate città dell’India, assaporando spezie rarissime, a fare la conoscenza di società poco note e culture millenarie, fino ad arrivare agli altopiani del Tibet e nelle terre dove “sorge il Sole”. Andare nel deserto, a quanto pare, porta davvero lontano; secondo un proverbio arabo addirittura “più ti addentri nel deserto più ti avvicini a Dio”.
È così che da sempre l’uomo europeo immagina il suo cammino verso Oriente: esotico, misterioso, pieno di meraviglie, a tratti magico. Questa immagine “favolosa” si sedimenta tra XVII e il XIX secolo grazie ad una serie di diari di viaggio che dipingono l’Oriente come un mondo fermo nel tempo, che profuma di aromi perduti ma che in sostanza è rimasto indietro: una visione figlia dell’epoca in questione, colonialista, che rimarca il senso di superiorità di un Occidente alla conquista del mondo.
Attilio Brilli sarà per noi il “primo dragomanno”, come se fosse appunto un interprete al servizio delle ambasciate europee ai tempi della corte di Costantinopoli durante l’Impero Ottomano: ci accompagnerà in questa avventura traducendo la visione occidentale dell’Oriente illustrata dalle tante testimonianze raccolte. Il volume, molto ben strutturato, è diviso in due parti principali: la prima è dedicata all’Oriente più vicino, perlopiù arabo e ottomano; la seconda si concentra su quello più profondo, fino a portarci in Cina, Giappone e nel sud-est asiatico.
Le numerose immagini presenti nel libro ci aiutano a costruire il nostro quadro personale del “favoloso Oriente”, dandoci la possibilità di avere una finestra da cui guardare luoghi lontani. Secondo Alexandra David-Néel (esploratrice e scrittrice francese) gli indigeni del Tibet asserivano che gli occidentali sapessero “guardare attraverso le montagne” (espressione che molto probabilmente si riferiva alla grande capacità topografica europea); avevano forse ragione se ancora oggi dai nostri divani possiamo, grazie a questo libro, andare alla scoperta di territori sconosciuti; senza escludere che leggere il libro di Attilio Brilli potrebbe far affiorare in noi lo spirito di questi stessi viaggiatori: mercanti, archeologi, naturalisti, antropologi. Convincendoci ad allacciare un buon paio di scarpe e metterci in cammino, trasformandoci in esploratori o esploratrici, proprio come Alexandra David-Néel, la quale attraverso la ricerca di “filosofie, religioni elette o puerili, turlupinature dei maghi, astuzie degli stregoni, estasi dei mistici” stava “cercando di penetrare il mistero del mondo e di acquietare la paura davanti alle sofferenze e alla morte”.
Non resta che leggere il bel libro di Attilio Brilli per rendersi conto in quanti e quali modi è stato dipinto il “favoloso Oriente”. A pagine 182, per esempio, John Lloyd Stephens: “Trascorsi metà della notte a riflettere sulla strana serie di circostanze che avevano interrotto la tranquilla esistenza di un giovane avvocato e, dalla terra degli affari e dei guadagni, l’avevano spedito a meditare sulle rovine di antiche città e a dormire su un pavimento di fango, in mezzo ai turbanti turchi”. Anche noi potremo trovarci – pagina dopo pagina, foto dopo foto – nella stessa atmosfera da favola.
Dario Palmesano