Un libro di Antonio Musarra: come “Prendere il mare nell’Italia medievale”

Un libro di Antonio Musarra: come “Prendere il mare nell’Italia medievale”

Il libro di Antonio Musarra, “Medioevo marinaro” (il Mulino, 304 pagine, 22 Euro), racconta che all’epoca il Mediterraneo era un mare malnoto e inquietante; nondimeno, gli uomini ne costeggiavano le sponde e lo attraversavano in ogni direzione: un mondo viveva su e per il mare. Ma in che modo – come recita il sottotitolo – “Prendere il mare nell’Italia medievale?”. Con la sua documentata narrazione, Antonio Musarra riporta in luce ogni aspetto di quel Medioevo marinaro: la rete diffusa dei porti e degli attracchi; i mestieri centrati sull’attività portuale, pesca compresa; i diversi tipi di naviglio, la formazione degli equipaggi in pace e in guerra, l’organizzazione della vita quotidiana a bordo, le tecniche di navigazione e gli strumenti per orientarsi, la legislazione marittima, le battaglie, la pirateria. Per concludere con una panoramica della conflittualità mediterranea e un approfondimento sulle navigazioni esplorative compiute nell’Atlantico. Antonio Musarra insegna Storia medievale alla Sapienza Università di Roma; con “il Mulino” ha pubblicato “Genova e il mare nel Medioevo” (2015), “Acri 1291. La caduta degli stati crociati” (2017), “Il crepuscolo della crociata” (2018) e, con Franco Cardini, “Il grande racconto delle crociate” (2019).
Siamo certi che i nostri affezionati lettori andranno a cercare soprattutto le notizie sui porti del nostro Sud e in particolare su quello di Napoli. “Nel corso del tempo, il Meridione – scrive tra l’altro Antonio Musarra – avrebbe visto crescere, dunque, porti importanti, utilizzati dalle stesse marinerie settentrionali quali scali obbligati nella navigazione di cabotaggio. E’ il caso, ad esempio, del porto di Napoli, edificato per volere dei monarchi angioini a partire dal 1302, con la costruzione d’un grande molo adatto ad accogliere natanti imponenti. Com’è noto, i lavori di sistemazione dell’area portuale avrebbero subito gli effetti disastrosi del maremoto del novembre 1343, sì che solo nel 1384, a seguito della realizzazione d’un ampio frangiflutti, l’opera poté considerarsi compiuta. Negli anni Cinquanta del secolo successivo, Alfonso d’Aragona avrebbe ordinato di ampliare e fortificare il molo grande mediante l’apposizione di grosse intelaiature in legno, ‘calafatate et impechate’, volte a rinforzare la struttura”.
Molto interessante anche il tema della pesca. “Alla pesca solitaria – riferisce Antonio Musarra – andò affiancandosi l’impresa commerciale, costituita da vere e proprie compagnie, sorte, in genere, attorno a un patrono esperto, proprietario della nave. Iniziò a essere praticata anche la pesca d’altura; oltre a ciò, non erano pochi coloro che s’impegnavano in una sorta di transumanza del mare, migrando verso specchi d’acqua notoriamente redditizi per lunghi periodi. Il tutto non senza conflitti tra gruppi concorrenti, perennemente oggetto, peraltro, delle attenzioni di corsari e pirati. Porti come quelli di Taranto e Gaeta facevano dell’attività ittica la propria prima risorsa”.

Red. Cro.

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