Il libro di Paolo Rossi, “Meglio dal vivo che dal morto” (Solferino, 224 pagine, 16 Euro), è stato apprezzato – fa sapere scherzosamente il comico – soprattutto da William Shakespeare, che avrebbe dichiarato: “Non avrei potuto scriverlo meglio”. Non appena sarà possibile, da parte nostra, faremo sapere ai nostri pochi ma affezionati lettori se questa recensione è stata ugualmente lodata dal suddetto illustre personaggio. Intendiamo Shakespeare, perché sappiamo che Paolo Rossi è molto più severo nelle sue critiche giornalistiche e letterarie. L’unico che riesce ad ammansire Paolo Rossi è proprio lui e a lui si confessa, a quella divinità molto particolare: il dio dei ladri, appunto il Bardo William Shakespeare.
Ritiene infatti paolo Rossi che tutti gli attori, i commedianti, i contastorie sono infatti ladri: di aneddoti e di idee, di verità e anche di menzogne. Per questo, la “versione di Paolo” è una storia rigorosamente apocrifa e anarchica, disseminata di occasioni e tentazioni, botte date e prese, donne amate e lasciate, poco venerati maestri e pessime compagnie di giro, ideologie e avventure di una sera o di una vita annaffiate da sobrie acque toniche corrette gin. Dal ricordo tragicomico delle serate alle Feste dell’Unità al dialogo in sogno con Berlinguer e alla difficoltà di ritrovarsi proprietario di un cane lupo antidroga, dagli incidenti di scena recitando Beckett con Gaber e Jannacci all’ineffabile pranzo con il poeta comunista cubano, ogni capitolo mescola l’alto e il basso, il cabaret del Derby e il “Riccardo III”, in un monologo che ha il tono della commedia dell’arte e la velocità delle montagne russe. E che conclude, tra sorriso e nostalgia: “Per mettere ordine nella mia vita ci vorrebbe un governo tecnico”. Qualche notizia della vita di Paolo Rossi: oltre che comico, attore e cantautore, ha cominciato la sua carriera a Milano. Ha fatto teatro con Giorgio Strehler e Dario Fo, canzone d’autore con Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, cinema con Gabriele Salvatores, in televisione ha ideato la trasmissione spettacolo “Su la testa!” e ha cantato al Festival di Sanremo. Tra le mille altre cose, ovviamente.
Un pensiero in più va rivolto – in chiusura – naturalmente a William Shakespeare, con le parole di Paolo Rossi: “O gran bastardo, gran bel bardo, continua a lasciarci rubare le tue idee, come tu non puoi fotterci le nostre, e non prendertela, dài, su, che l’importante in teatro non sono le idee, le messe in scena: l’importante, in teatro, è non cadere dal palco (che a me, tra l’altro, è già successo una volta, e fa’ che non ricapiti più). O, William, rimetti a noi i nostri debiti, così come noi non li rimettiamo ai nostri creditori. Ripetiamo: rimetti a noi i nostri debiti, così come noi non li rimettiamo ai nostri creditori. Siano essi il ministero, l’INPS, l’affittacamere, la zia, l’amico, la fidanzata, l’Agenzia delle Entrate, che poi riperde nelle uscite dei cessi del Parlamento, in puttane, cocaina, armi, e appalti. Quegli appalti da scranno, che da sotto lo scranno la capra trucca, sniffa e si ribalta”. Un libro spettacolo, insomma.
Red. Cro.