Un libro del “Comitato di redazione della Collezione ‘Storia moderna della Cina’”, “La guerra dell’oppio” (O barra O Edizioni, 128 pagine, 14 Euro, traduzione di Maurizio Gatti), contiene “La lettura cinese del conflitto”. La Guerra dell’Oppio (1840-1842) rappresenta una svolta nei rapporti tra Oriente e Occidente: dà inizio a quello che in Cina è considerato “il secolo della vergogna”, il drammatico ingresso nell’era moderna attraverso regole scritte da altri, quei “trattati ineguali” che sancirono la supremazia delle potenze coloniali. Molte pagine sono state scritte dagli storici occidentali, ma quasi nulla sappiamo del modo in cui gli storici della Repubblica Popolare cinese hanno interpretato tali eventi; questo libro consente di colmare le lacuna. Sotto la lente della dottrina maoista la Guerra dell’Oppio assurge a evento fondatore della Cina contemporanea: il conflitto è visto come “l’inizio della rivoluzione democratica messa in atto dal popolo cinese contro l’imperialismo e il feudalesimo”, quale “testimonianza dell’indomabile spirito di resistenza del popolo cinese” che ha rifiutato di inchinarsi davanti agli “invasori britannici, rapaci insaziabili”. Una lettura certamente di parte, senza sfumature, ma che offre spunti per capire l’odierno orizzonte ideologico cinese.
Questo interessante saggio, redatto in francese nel 1979, è una delle monografie storiche curate dai docenti della facoltà di Storia dell’Università di Fudan e della Scuola Normale Superiore di Shanghai e pubblicate dalle Edizioni del Popolo di Shanghai nella collezione “Storia moderna della Cina”. Nel volume si sottolinea, tra l’altro: “Il Trattato di Nanchino è stato il primo Trattato Ineguale imposto dagli imperialisti britannici al popolo cinese, la prima gogna straniera. E’ stato l’inizio dello svuotamento della sovranità cinese e della forzata apertura del suo mercato. Ha avviato il passaggio da una società feudale cinese, che godeva dell’indipendenza, a una società semicoloniale e semifeudale. Da qui in poi, l’imperialismo e il feudalesimo collusero per controllare e sfruttare più a fondo il popolo cinese, che ingaggiò, da allora, una lunga ed eroica lotta contro i nemici interni e stranieri”.
L’introduzione della sinologa Alessandra C. Lavagnino permette di ben comprendere il contesto sociopolitico in cui è nato il testo. Scrive tra l’altro: “Nell’agosto nel 1839 Lin Zexu, Commissario imperiale della dinastia Qing incaricato di sopprimere il traffico internazionale dell’oppio, che in maniera sempre più rigogliosa fioriva lungo le coste della Cina meridionale, così scriveva alla Regina Vittoria: ‘Il Vostro paese è molto lontano dalla Cina. L’obbiettivo delle Vostre navi che giungono in Cina è di realizzare ampi profitti: dato che tali profitti sono conseguiti in Cina e sono di fatto tolti al popolo cinese, come è possibile che gli stranieri in cambio dei benefici avuti portino un simile veleno che arreca danno ai loro benefattori? Probabilmente non lo fanno con intento cosciente, ma resta il fatto che sono così ossessionati dai guadagni materiali da non avere alcun riguardo per il danno che possono causare agli altri. Mi è stato detto che avete severamente proibito l’uso dell’oppio nel Vostro paese, e ciò indica senza dubbio che la Vostra consapevolezza di quanto dannoso esso sia. Voi non volete che l’oppio arrechi danno al Vostro paese ma scegliete di portare un simile danno ad altri paesi come la Cina? Perché?’”.
Red. Cro.