“Beppe Fenoglio e la Resistenza” in un libro del partigiano Pietro Chiodi

“Beppe Fenoglio e la Resistenza” in un libro del partigiano Pietro Chiodi

Cinquant’anni fa, il 22 settembre 1970, moriva Pietro Chiodi, docente di Filosofia della storia all’Università di Torino. Nel 1939 aveva ottenuto una cattedra di storia e filosofia del liceo classico “Giuseppe Govone” di Alba, nel quale insegnò per 18 anni. Qui divenne intimo amico del collega di lettere Leonardo Cocito, ucciso dai nazifascisti nel 1944, ed ebbe tra i suoi allievi il futuro scrittore Beppe Fenoglio. Pietro Chiodi è autore del diario partigiano “Banditi” (la cui prima edizione uscì nel 1946) e la sua visione filosofica è ora raccolta in “Esistenzialismo e filosofia contemporanea” (2007). Tra i suoi scritti più belli, i tre che ora sono riproposti nel libro “Beppe Fenoglio e la Resistenza” (edizioni dell’asino, 80 pagine, 10 Euro): appunto su Beppe Fenoglio (“Quando io entrai in classe notai subito uno studente nel primo banco con le braccia incrociate che guardava annoiato il foglio bianco. Era Beppe Fenoglio. Lo invitai a scrivere, ma scuoteva la testa”); su Leonardo Cocito e sull’orgoglio dello stesso Pietro Chiodi per aver partecipato alla Resistenza. “Forse – scrisse il filosofo – per vivere bisogna dimenticare, ma certamente per capire bisogna ricordare”.
“Beppe Fenoglio e la Resistenza” è pubblicato a cura di Cesare Pianciola, prefazione di Alberto Cavaglion e con un saggio di Gabriele Pedullà. Sulla propria partecipazione alla Resistenza, Pietro Chiodi scrisse tra l’altro: “Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando dico quello che penso, senza preoccuparmi di chi mi possa sentire, ma sopratutto quando qualcuno sostiene liberamente il contrario di ciò che io penso e dico: perché so che la libertà di pensiero è la sostanza stessa dell’uomo. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando vedo un democristiano che legge l’Unità o un comunista che legge il Popolo Nuovo: perché so che la libertà di stampa è la condizione fondamentale per l’educazione d’un popolo civile. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando i lavoratori scendono in sciopero per difendere il pane dei loro figli e la loro dignità di uomini: perché so che l’educazione alla tutela dei propri diritti ed il riconoscimento di quelli altrui si ottiene solo attraverso la libertà. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando incontro l’Ebreo senza triangolo giallo ed il negro a braccetto con una bianca: perché so che gli uomini, a differenza dei cavalli, non si dividono in razze. Sono orgoglioso d’aver fatto il partigiano quando vedo le fotografie dei campi di Dachau e di Buchenwald: perché so di aver contribuito a cancellarli dalla faccia della terra. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando tocco con mano che i nemici della nostra causa coincidono coi nemici della libertà umana, dell’elevazione degli umili e dei poveri, con gli esaltatori della violenza e dell’oppressione. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando penso che coloro che ci vilipendono hanno avuto anche da noi la possibilità di stampare liberamente i loro giornali e di scegliersi non più obbligatoriamente i loro padroni. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando mi accorgo che alcuni partigiani hanno compiuto azioni indegne della causa per cui combattevano: perché so che questo non tocca né la validità della causa né la gloria dei 70.000 che si immolarono per essa. Ma soprattutto sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando qualcuno mi dice che non dovrei esserne orgoglioso: perché penso che sono io che, combattendo per la libertà, gli ho conferito il diritto di dirmelo”.

Red. Cro.

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