Il libro di Paolo Morando, “Eugenio Cefis” (Laterza, 392 pagine, 20 Euro), racconta – come recita il sottotitolo – “Una storia italiana di potere e misteri”. Eugenio Cefis è stato per anni uno degli uomini più potenti d’Italia; secondo molti, il più potente: la politica al suo servizio, i rapporti con i servizi segreti, le accuse di progettare disegni eversivi, fondi neri, dossier e intercettazioni telefoniche. Un grande burattinaio della Repubblica, capace di nutrire per oltre mezzo secolo una inarrestabile leggenda nera. Ma che cosa c’è di vero? In questo libro c’è tanto materiale per farsi un’idea precisa.
Fare un sintesi dell’avventura di Eugenio Cefis è molto complicato. Tenente dell’esercito del Regno, capo partigiano in Val d’Ossola, braccio destro all’Eni di Enrico Mattei, di cui divenne successore; e poi la scalata a Montedison, fino al colpo di scena del 1977: le dimissioni da presidente del colosso chimico e l’espatrio in Svizzera, con un immenso patrimonio personale. Un improvviso abbandono della scena pubblica di cui era stato a lungo uno dei principali protagonisti. In mezzo, una miriade di polemiche giornalistiche, scandali e inchieste, da cui uscì miracolosamente indenne; una coltre di sospetti alimentati dalla sua leggendaria riservatezza: le sue interviste si contano sulle dita di una mano, rarissime le foto, inesistenti i filmati in cui compare. La leggenda nera, che da sempre lo avvolge, dopo la sua morte nel 2004 si è arricchita a dismisura, con Eugenio Cefis messo in correlazione con le morti di Mattei, del giornalista Mauro De Mauro e di Pier Paolo Pasolini che, nell’incompiuto “Petrolio”, scriveva proprio di lui. E poi la P2, di cui è stato indicato come il fondatore. Il libro di Paolo Morando, grazie a una documentazione inedita e sorprendente (compreso un clamoroso retroscena sulla morte di Mattei), è per la prima volta un profilo autentico e senza sconti; perché raccontare Eugenio Cefis oggi, nel 2021 in cui ricorre il centenario della sua nascita, significa raccontare l’Italia.
Si legge tra l’altro nel libro: “Anche questa sua inafferrabilità è parte della leggenda nera: se si nasconde certo ha qualcosa da nascondere, è il ferreo ragionamento. (…) E’ assolutamente vero che, comprovato dalle cronache di allora e dai racconti di molti testimoni autorevoli che all’Eni con lui lavorarono, che Cefis non sopportava la ribalta pubblica. Gli aneddoti sarebbero infiniti: basti quello relativo a ‘Il Giorno’, il quotidiano che era di proprietà dell’Eni, a cui Cefis praticamente ordinò di citarlo sempre e solo come ‘il presidente dell’Eni’ e mai con nome e cognome, come se si trattasse di un’entità ultraterrena”.
Red. Cro.