“Una poesia in tasca”: inchiesta su un sonetto in un libro di Héctor Abad Faciolince

“Una poesia in tasca”: inchiesta su un sonetto in un libro di Héctor Abad Faciolince

Il libro di Héctor Abad Faciolince, “Una poesia in tasca” (Lindau, 92 pagine, 12 Euro), è un’affascinante investigazione sulle tracce dell’autore di un sonetto, ma riesce a tenere desta l’attenzione del lettore come se si trattasse di un “giallo” dove un detective va a caccia di un assassino. La trama: 25 agosto 1987, sono circa le sei del pomeriggio quando Héctor Abad Gómez, medico, professore universitario e attivista per i diritti umani, viene ucciso a colpi di pistola in Calle Argentina, a Medellín. La famiglia lo trova riverso sul selciato. Suo figlio, Héctor Abad Faciolince (l’autore di questo libro), assalito da una tristezza che gli impedisce “di sentire la rabbia per intero”, gli fruga nelle tasche e trova un foglietto, sul quale il padre ha scritto a mano una poesia sulla morte e sull’oblio, misteriosa e struggente, firmata da tre iniziali, J. L. B. Il pensiero va immediatamente a Jorge Luis Borges, al cui stile il sonetto sembra effettivamente rimandare; eppure, in nessuna edizione dell’opera omnia del grande scrittore argentino compaiono quei versi. La curiosità di risalire al nome del poeta si trasforma presto in un’ossessione, inscindibilmente legata all’urgenza di far luce sulla morte del padre. L’autore intraprende così una ricerca al contempo intima e letteraria, cercando di ricomporre i tasselli di un’opera che sono, in realtà, i tasselli dell’anima e di un’intera esistenza.
Héctor Abad Faciolince è nato a Medellín, in Colombia;  è scrittore, giornalista e traduttore (tra gli altri ha tradotto Eco, Tomasi di Lampedusa, Voltaire, Sciascia, Calvino, Bufalino, Kipling). Ha vissuto in Italia per dieci anni, fra Torino, Milano e Verona. Nel nostro paese ha pubblicato il romanzo biografico “L’oblio che saremo” (Einaudi), il romanzo sperimentale Scarti (Bollati Boringhieri) e un libro di genere incerto, “Trattato di culinaria per donne tristi” (Sellerio). Ha ricevuto il premio della Duke University e del Wola Institute per i diritti umani. Ha dedicato tutta la sua vita ai mestieri del libro: correttore di bozze, editore, libraio, bibliotecario, traduttore e scrittore. Vive in montagna, in Colombia, ed è direttore, insieme alla moglie Alexandra Pareja, di una piccola casa editrice per giovani scrittori colombiani: Opera Prima.
Scrive tra l’altro Héctor Abad Faciolince: “Non avrei voluto che la vita mi regalasse questa storia. Non avrei voluto che la morte mi regalasse questa storia. Ma la vita e la morte mi hanno regalato, no, anzi, mi hanno imposto la storia di una poesia trovata in tasca a un uomo assassinato, e non ho potuto fare altro che prenderne atto. Ora la voglio raccontare. È una storia vera, ma ha così tante simmetrie che sembra inventata. Se non fosse la verità, potrebbe sembrare una fiaba. Se la vita è un originale, il ricordo è la copia dell’originale e un’annotazione è la copia del ricordo. Cosa rimane però della vita, quando uno non se la ricorda e nemmeno ne scrive? Nulla. Tanti pezzi della nostra vita non sono più niente per un semplice motivo: perché non li ricordiamo più. Tutto ciò che non ricordiamo è scomparso per sempre. La vita a volte ha la stessa consistenza dei sogni quando, al risveglio, svaniscono”.

Red. Cro.

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