PIGNATARO M. – La seconda Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dalla dottoressa Maria Alaia (giudice a latere Eleonora Pacchiarini), non ha fatto sconti ai vertici del clan Lubrano – Ligato coinvolti in uno dei filoni giudiziari nati dall’inchiesta “Caleno”. Anzi, per alcuni le condanne di primo grado sono state superiori alle richieste avanzate dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Liana Esposito.
Nel tardo pomeriggio di oggi, infatti, il presidente ha letto il dispositivo della sentenza (che sarà depositata entro 90 giorni) condannando: Pietro Ligato detto “Pierino” a 21 anni e 6 mesi di reclusione; il padre Raffaele a 15 anni; il fratello Antonio a 9 anni; Michele Lettieri a 9 anni e 6 mesi; Primo Letizia a 4 anni; Pietro Mercone a 9 anni e 6 mesi; Giuseppe Pettrone a 4 anni e 6 mesi. L’ultimo degli imputati, Maurizio Mauro (difeso dall’avvocato Luciano Polizzi), invece, è stato assolto.
A nulla sono valse le strategie del collegio difensivo – composto da Antonio Di Micco, Angelo Raucci, Mariano Omarto, Alessandro Barbieri, Giuseppe Romano, Carlo De Stavola, Nicola Filippelli, Emilio Martino – che fino all’arringa finale hanno cercato di alleggerire la posizione degli imputati. La Corte, con molta decisione, ha ritenuto provate le accuse stangando l’enclave dei Ligato, da decenni parte di quel clan familiare che comprendeva anche le famiglie mafiose dei Nuvoletta e dei Lubrano.
Giunge ad una prima importante tappa il lavoro della Direzione distrettuale antimafia e nello specifico dai valorosi sostituti Giovanni Conzo e Liana Esposito, che, nonostante i condizionamenti ambientali causati anche da pezzi delle istituzioni locali, hanno contribuito a scrivere una sentenza storica.
In queste ore è arrivato anche il comunicato stampa del giornalista Vincenzo Palmesano che commenta la sentenza:
“Grande soddisfazione per le condanne pronunciate dalla seconda Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti degli esponenti della potente e sanguinaria cosca camorristica Ligato di Pignataro Maggiore” viene espressa, in un comunicato stampa, dal giornalista Enzo Palmesano. “La decisione della Corte (presidente la dottoressa Maria Alaia, giudice a latere la dottoressa Eleonora Pacchiarini) – aggiunge Enzo Palmesano – è una ulteriore conferma dell’ottimo lavoro svolto dai valorosi magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, dottor Giovanni Conzo e dottoressa Liana Esposito, che, con l’‘Operazione Caleno’ del 23 febbraio 2009 contro il clan Lubrano-Ligato, portata a termine con gli investigatori dell’Arma dei carabinieri, dimostrarono che le cosche della città tristemente nota come la ‘Svizzera della camorra’ non potevano e non dovevano essere considerate intoccabili, nonostante i legami con i ‘corleonesi’ e le famigerate connivenze nel mondo politico, istituzionale e imprenditoriale”.
“La sentenza di condanna è stata possibile – sottolinea ancora il giornalista – grazie alle prove raccolte in una investigazione di eccezionale livello, che ha vanificato non solo le difese degli imputati ma anche il tessuto omertoso che fa da collante a Pignataro Maggiore tra i boss e la cosiddetta ‘società civile’. Nella palude pignatarese non era facile e non è facile colpire il potere dei clan. Il lavoro da fare per magistrati e forze dell’ordine è ancora lungo (si pensi, per esempio, a tutti gli esponenti della famiglia Lubrano che spadroneggiano a piede libero e ai loro numerosi affiliati e prestanome, alle collusioni politiche e al gravissimo condizionamento camorristico degli uffici comunali), ma questa sentenza mette un punto fermo nella battaglia anti-camorra e anti-mafia”.
“Per quanto riguarda i giornalisti – conclude Enzo Palmesano -, c’è chi come me è disposto a fare la propria parte. Anche se per l’informazione non asservita alle consorterie c’è un clima particolarmente difficile. E non bisogna assolutamente dimenticare che durante questo processo al clan Ligato certi giornalisti e certi editori, per coincidenza notoriamente amici dell’ex sindaco di Pignataro Maggiore, Giorgio Magliocca, hanno in maniera sintomatica dato man forte ai camorristi con cosiddette cronache giudiziarie improntate al più osceno pennivendolismo”.
Red. cro.