PIGNATARO M. – Saltato per lo sciopero degli avvocati l’appuntamento del 12 luglio 2013, si terrà il 18 ottobre 2013 davanti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, dottor Roberto D’Auria, la prossima tappa del processo con rito abbreviato a carico di Gabriele Capitelli, Antimo De Angelis e Arturo Gigliofiorito per lo scandalo relativo ai beni confiscati alla camorra e alla mafia a Pignataro Maggiore, città tristemente nota come la “Svizzera dei clan”. Nell’occasione dovrebbero prendere la parola gli avvocati difensori dei tre suddetti imputati per poi assistere alla lettura del dispositivo della sentenza.
Gabriele Capitelli, Antimo De Angelis e Arturo Gigliofiorito devono rispondere del delitto previsto e punito dall’articolo 328 del Codice penale (omissione di atti d’ufficio), con l’aggravante camorristica (articolo 7 della legge numero 203 del 1991), “perché – come si legge nel capo di imputazione – in concorso tra loro, unitamente al Magliocca quale sindaco del Comune di Pignataro Maggiore, Gigliofiorito quale presidente dell’associazione onlus Mondotondo, Capitelli quale presidente e De Angelis quale vice-presidente del Consorzio Icaro, incaricati della gestione di beni confiscati alla famiglia Lubrano a Pignataro Maggiore ed in tale qualità amministratori dei beni immobili confiscati alla famiglia Ligato-Lubrano, omettevano di compiere un atto dovuto in ragione del loro ufficio e precisamente l’immissione nel possesso dei beni e la conseguente amministrazione dei beni suddetti, consentendo che la famiglia Lubrano continuasse a gestire ed a percepire i redditi relativi a tali immobili. Con l’aggravante della commissione del fatto al fine di agevolare il clan dei casalesi operante in Pignataro Maggiore e Comuni limitrofi e in particolare il gruppo riconducibile alla famiglia Lubrano-Ligato. In Pignataro Maggiore con condotta sino all’anno 2011 (16 febbraio 2011)”.
Gabriele Capitelli è altresì imputato del reato previsto e punito l’articolo 476 del Codice penale (riguardante la “falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”), che recita: “Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”. A carico di Capitelli sono state anche formulate l’aggravante camorristica e quella descritta nell’articolo 61 del Codice penale, secondo comma: “Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti:
(…) l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato”. Si legge ancora nel capo di imputazione che Gabriele Capitelli è sotto processo “perché in qualità di incaricato di pubblico servizio, al fine di conseguire l’impunità per il reato che precede, attestava falsamente, con una relazione del 12 giugno 2007 indirizzata al Comune di Pignataro Maggiore, in qualità di presidente del Consorzio Icaro, di essere entrato in possesso dei beni appartenuti alla famiglia Ligato il 7 giugno 2007 e non il 18 ottobre 2005. Con l’aggravante della commissione del fatto al fine di agevolare il clan dei casalesi operante in Pignataro Maggiore e Comuni limitrofi ed in particolare il gruppo riconducibile alla famiglia Lubrano-Ligato. In Pignataro Maggiore il 12 giugno 2007”.
Antimo De Angelis è inoltre imputato dei reati previsti e puniti dagli articoli 476 (sopra riportato) e 479 del Codice penale (riguardante la “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”), che recita: “Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476”. Ugualmente con le aggravanti sopra meglio e più diffusamente descritte: quella camorristica e quella sancita dal secondo comma dell’articolo 61 del Codice penale. Si legge, infine, nel capo di imputazione che Antimo De Angelis è sotto processo “perché, in qualità di incaricato di pubblico servizio ed in particolare del Consorzio Icaro incaricato della gestione dei beni confiscati, falsamente attestava nel corpo del verbale datato 7 giugno 2007 reso al personale della Polizia Municipale del Comune di Pignataro Maggiore di essere entrato in possesso dei beni confiscati alla famiglia Ligato, in qualità di vice presidente del Consorzio Icaro, il 7 giugno 2007 e non il 18 ottobre 2005 al fine di conseguire l’impunità per il reato che precede. Con l’aggravante della commissione del fatto al fine di agevolare il clan dei casalesi operante in Pignataro Maggiore e Comuni limitrofi ed in particolare il gruppo riconducibile alla famiglia Lubrano-Ligato. In Pignataro Maggiore il 7 giugno 2007”.
Tenuta presente la scelta del rito abbreviato da parte degli imputati (che prevede la diminuzione di un terzo della pena), il valoroso pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, dottor Giovanni Conzo, al termine della sua requisitoria aveva chiesto nell’udienza del 27 maggio 2013 la condanna di Gabriele Capitelli e Antimo De Angelis a 6 anni di reclusione ciascuno; per Arturo Gigliofiorito chiesti 2 anni di reclusione. Nel procedimento penale il Comune di Pignataro Maggiore, parte offesa dal reato, si è costituito parte civile con l’assistenza dell’avvocato Carmine Di Rubba al fine di ottenere un risarcimento per i danni subiti.
Come sanno i nostri lettori, scenario dello scandalo furono la villa bunker e i terreni confiscati in via del Conte a Pignataro Maggiore al boss Raffaele Ligato (marito di Maria Giuseppa Lubrano e padre di Pietro Ligato), sulla carta acquisiti al patrimonio indisponibile del Comune e assegnati prima all’associazione Mondotondo e poi al Consorzio Icaro, ma in realtà rimasti nelle mani della camorra. Come ha sottolineato nella requisitoria il pubblico ministero dottor Giovanni Conzo – uno degli uomini di punta, a livello nazionale, della battaglia anti-clan – “non v’è chi non veda come il sostanziale mantenimento dei beni confiscati da parte della famiglia Ligato rappresentasse, al di là ed oltre l’immediato vantaggio economico, il visibile, pubblico riconoscimento di un potere che doveva soverchiare l’intervento dello Stato. La dimostrazione plateale che la giustizia si fermava sulla soglia della villa bunker e che nessuno osava contendere alla famiglia di camorra il dominio di un patrimonio accumulato in anni di delitti era già in sé un traguardo di vitale importanza. Così come fortemente simbolica era la ‘scientifica’ distruzione della casa che, per anni, aveva rappresentato, con il suo lusso e la sua impenetrabilità, il segno tangibile dell’esistenza e della forza dei Ligato. Una fortezza inespugnabile e grondante opulenza che non poteva essere consegnata al ‘nemico’. Meglio ridurla ad un rudere inutilizzabile, in barba alla legge. Dopo i Ligato, nessuno doveva fruirne. E – aggiungeva il Sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli -, grazie al Magliocca e alle dolose omissioni degli attuali imputati, il piano riesce”.
Nella requisitoria contro Gabriele Capitelli, Antimo De Angelis e Arturo Gigliofiorito – tutti e tre impegnati, con alcuni esponenti dell’associazione “Libera” della provincia di Caserta, a creare la falsa immagine di “Giorgio Magliocca sindaco anticamorra” – il pubblico ministero ha attaccato a fondo anche l’ex primo cittadino ed ex consigliere provinciale, arrestato proprio per lo scandalo dei beni confiscati l’11 marzo 2011 con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e omissione di atti d’ufficio con l’aggravante camorristica. Come si sa, Giorgio Magliocca è stato miracolosamente assolto in data 20 febbraio 2012 in primo grado, con il rito abbreviato, “perché il fatto non sussiste”, da un diverso Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli; ora è in attesa del processo d’appello (prossima udienza il 29 novembre 2013) chiesto appunto dal pubblico ministero Giovanni Conzo. Si legge nella requisitoria del dottor Giovanni Conzo contro Capitelli, De Angelis e Gigliofiorito, che “è dimostrato che Giorgio Magliocca chiese ripetutamente ai massimi esponenti del locale clan camorristico di impegnarsi per garantirgli l’elezione a sindaco. È provato che tale impegno venne garantito e quindi ampiamente spiegato, con risultati soddisfacenti. È provato che l’uomo politico, spontaneamente e senza alcuna sollecitazione, offrì, quale contropartita, la ‘benevola’ gestione dei beni di famiglia, già confiscati, oltre che un occhio di riguardo con riferimento agli appalti pubblici ed un diffuso atteggiamento di condiscendenza, contrapposto alla campagna anticamorra portata avanti dal suo avversario”. E ancora: “Tali e tante le illegalità commesse che basterebbero, esse sole, a rivelare un accordo complice tra il primo cittadino, i vertici delle associazioni onlus e l’associazione criminale. Magliocca favorisce l’inutile trascorrere di un tempo infinito, senza por mano seriamente ad alcuna delle iniziative che la sua posizione gli imponeva”.
Grande spazio hanno nella più volte richiamata requisitoria del pubblico ministero le inchieste dei giornalisti pignataresi sui beni confiscati e sui rapporti tra politica e camorra nella “Svizzera dei clan”. In particolare vengono riportati i verbali di interrogatorio dei giornalisti Enzo Palmesano e Davide De Stavola.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it