Pignataro Patrimonio srl: Giuseppe Rocco arrestato per spaccio di droga. Aveva 50 grammi di cocaina

Pignataro Patrimonio srl: Giuseppe Rocco arrestato per spaccio di droga. Aveva 50 grammi di cocaina

PIGNATARO M. – Torna all’attenzione delle cronache Giuseppe Rocco, capo-cantiere della municipalizzata per la raccolta dei rifiuti, “Pignataro patrimonio srl”, il carrozzone clientelare voluto dall’ex sindaco di Pignataro Maggiore, Giorgio Magliocca, e poi messo in liquidazione dall’attuale primo cittadino Raimondo Cuccaro. Questa volta Giuseppe Rocco – come riferito da vari organi di stampa, per esempio il 23 agosto 2013 dal sito www.caiazzorinasce.net – è finito nei guai per una storia di droga. “In Sessa Aurunca, località Campofelice – si leggeva appunto su www.caiazzorinasce.net – nel corso di un predisposto servizio antidroga, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta, in collaborazione con quelli della locale compagnia, hanno arrestato in flagranza per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti Rocco Giuseppe, classe 1976, del luogo. L’uomo è stato bloccato alla guida di un’autovettura e, a seguito di perquisizione personale, è stato trovato in possesso di grammi 50 (cinquanta) di sostanza stupefacente tipo cocaina. La droga è stata sottoposta a sequestro mentre l’arrestato è stato associato presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria”.

Seguiremo gli sviluppi in sede giudiziaria delle accuse dei carabinieri a carico di Giuseppe Rocco per droga. Quel che a noi qui interessa, invece, è ricordare ai nostri (pochi) lettori che la figura di Giuseppe Rocco – con il suo approdo a Pignataro Maggiore alla corte dell’ex sindaco Giorgio Magliocca – fu motivo di polemiche e di un’inchiesta giornalistica pubblicata oltre quattro anni fa dal blog del giornalista Davide De Stavola, all’indirizzo Internet http://davidedestavolanews.myblog.it/, in data 31 luglio 2009, a firma “Rosa Parchi”, con il titolo: “UN ASSO NELLA MANICA: ECCO CHI SONO I PERSONAGGI NELL’ORBITA DELLA TELEX COME BEN SA GIUSEPPE ROCCO”, sommario: “Da sindaco effettivo della società cooperativa di Teano colpita da interdittiva antimafia a responsabile tecnico della municipalizzata per la raccolta dei rifiuti Pignataro Patrimonio srl. Una storia lunga a partire nelle informazioni contenute in una sentenza del Tar”.

Riportiamo di seguito ampi stralci di quell’inchiesta giornalistica. Questa storia – la complessa storia della società cooperativa “Telex”, con sede legale a Teano – potrebbe raccontarla meglio di noi Giuseppe Rocco, 33 anni, residente a Sessa Aurunca, con l’autorevolezza di chi è stato nominato responsabile tecnico della municipalizzata per la raccolta dei rifiuti “Pignataro Patrimonio srl” ma soprattutto perché ha nel suo curriculum la carica di sindaco effettivo nel collegio sindacale dell’appena citata “Telex”. In questi giorni, a chi gli chiede notizie, Giuseppe Rocco dice di non sapere nulla dell’interdittiva antimafia, fa finta di cadere dalle nuvole; lui sicuramente c’era alla “Telex”, ma altrettanto sicuramente dormiva. Non ci resta che chiedere una raccomandazione al sindaco del Comune di Pignataro Maggiore, Giorgio Magliocca, socio unico della “Pignataro Patrimonio srl”, affinché convinca Giuseppe Rocco a raccontare tutta la storia. Nell’attesa, ci proviamo noi, avvalendoci di una sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania di Napoli che, nelle camere di consiglio del 5 luglio 2001 e del 4 ottobre 2001, respinse due ricorsi della “Telex” contro l’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Caserta.

Va ricordato che Giuseppe Rocco, nato a Napoli nel 1976, in possesso del diploma di maturità scientifica, era stato nominato sindaco effettivo nel collegio sindacale della “Telex” in data 6 aprile 1998, ad appena 22 anni di età; una carriera fulminante, come può sperare di ottenere solo chi ha alle spalle una famiglia potente o amicizie potenti, o tutte e due le cose. Potenza di cui deve aver tenuto conto, dieci anni dopo, nel 2008, il camerata Giorgio Magliocca, al momento della individuazione dei due responsabili tecnici della “Pignataro Patrimonio srl”: l’ingegnere Giuseppe Vitiello (presidente del consiglio d’amministrazione) e appunto Giuseppe Rocco.

La società cooperativa “Telex”, impegnata in attività radiotelevisive, in data 16 marzo 1998, presentò domanda al Ministero dell’Industria, commercio ed artigianato per la concessione di agevolazioni finanziarie ai sensi della legge 488/1992; il Ministero, con decreto numero 55943 del 14 agosto 1998 (notare la data: 14 agosto) aveva concesso un contributo in conto capitale di lire 1.371.780.000 da erogare in tre rate annuali subordinando l’efficacia del decreto all’acquisizione, da parte della banca concessionaria, della certificazione antimafia dalla quale non risultino cause di divieto o di sospensione previste dall’articolo 10 della legge 575/1965 e successive modifiche e integrazioni. Ma arrivò l’interdittiva antimafia della Prefettura di Caserta. Da qui il ricorso al Tar da parte della “Telex” e la conseguente sentenza, da cui si possono trarre importanti e inquietanti notizie.

“Il Collegio ritiene – scrivevano i giudici del Tar nel respingere il ricorso della ‘Telex’ – che la nota prefettizia impugnata, nel concludere per la presenza di cause interdittive di cui all’art. 4 del D.Lgs. 490/1994, pur in assenza di cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all’art. 10 della L. 575/1965 e, quindi, nel negare l’assenso all’erogazione del contributo pubblico alla ricorrente, non possa dirsi illogica. La decisione è stata assunta soprattutto in considerazione della relazione, datata 1° giugno 1999, della Questura di Caserta – Divisione polizia anticrimine in cui è stato espresso l’avviso di sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa mirante a condizionare le scelte e gli indirizzi della Telex s.c.r.l. in relazione ad informazioni assunte, in particolare, dalla stessa Divisione polizia anticrimine della Questura e dal Comando provinciale di Caserta dei Carabinieri, sugli attuali e sui precedenti componenti gli organi sociali. La Questura, a prescindere da informazioni che ai fini in questione risultano sostanzialmente irrilevanti, in quanto di scarso significato o in quanto indimostrate, fornite nei confronti del presidente del consiglio d’amministrazione sig. Carlo Gagliardo e di suoi familiari e del consigliere d’amministrazione sig. Marcello Rocco, ha trasmesso alla Prefettura informazioni sull’ex consigliere sig. Pasquale Manica e sull’ex sindaco sig. Ferdinando Terlizzi da cui emergerebbe, tra l’altro, che il primo è stato tratto in arresto da militari dell’arma dei Carabinieri in data 8.7.1996 in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Napoli “perché ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo camorristico ed altro” e che pende proposta a suo carico per l’applicazione della sorveglianza speciale di P.S. e che il secondo è stato destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 12.6.1998 dal Tribunale di Napoli “perché ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed altro nell’ambito della truffa perpetrata in danno dell’AIMA”. Sul punto, peraltro, la ricorrente, nel sottolineare che i due soggetti hanno cessato da tempo di occupare cariche sociali e di far parte della compagine societaria, ha sottolineato che l’autorità amministrativa non ha tenuto conto del fatto che la misura dell’arresto nei confronti del sig. Manica per il reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. è stata revocata dal Tribunale del riesame da oltre due anni, così come l’ordinanza di arresto per la medesima imputazione nei confronti del sig. Terlizzi è stata revocata dal Tribunale del riesame con decisione del 28 luglio 1998 per “insussistenza di indizi” e, successivamente alla nota informativa, quest’ultimo è stato assolto con formula piena dal Tribunale di Napoli con sentenza del 22.7.1999”.

La sentenza del Tar così proseguiva: “Ciò posto, con riferimento al sig. Manica, il Collegio, sulla base della documentazione versata in atti, osserva che, in data 26.2.1997, la sezione di riesame del Tribunale di Napoli ha revocato la misura degli arresti domiciliari e che con decisione del 18.5.1999 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato la proposta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per anni tre, oltre all’imposizione di idonea cauzione, avanzata, ai sensi della L. 575/1965, dalla locale Procura della Repubblica. In tale ultima decisione, sulla posizione personale dell’interessato, tra l’altro, è dato leggere “nel gennaio 1994 il Manica è stato soggetto ad avviso orale per sue frequentazioni con esponenti del clan dei “Muzzoni”; in particolare, nell’agosto del 1993 con Gallo Vincenzo, condannato per l’art. 416 bis c.p. nella sentenza relativa a tale “clan” ad anni 4 di reclusione; agosto del 1993 con Grimaldi Pietro condannato, sempre nella stessa sentenza, ad anni 3 di reclusione; così in un’informativa di pubblica sicurezza dell’agosto del 1993 il Manica è indicato dai Carabinieri quale soggetto, che per conto del clan dei “Muzzoni” sorveglia il centro di Sessa Aurunca” e poi “il più grave episodio di rilievo penale in cui il Manica è stato coinvolto si identifica nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, in seguito ad istanza della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, per il reato di estorsione, aggravata ex art. 7 della legge 203/91 …. in cui il proposto risulta in concorso con presunti esponenti del “clan dei Muzzoni” ….. “perché in concorso ed unione tra loro, valendosi della forza di intimidazione derivante dalla loro partecipazione, ad eccezione del Manica, all’associazione camorristica detta “clan dei Muzzoni costringevano …..” e ancora “in sostanza, i rapporti del Manica con gli esponenti di tale associazione di stampo camorristico si “limitano” ai contatti ed alle frequentazioni, di cui sopra si è riferito” ed inoltre “a carico del Manica, peraltro, risulta un grave ed unico precedente penale, ossia le lesioni cagionate al Varone Paolo, che certamente sono collegate con il “clan dei Muzzoni”, della cui attività criminale i genitori dello stesso erano stati vittime” anche se “le stesse frequentazioni del Manica con soggetti legati direttamente o indirettamente con il sodalizio criminale, di cui sopra, sono concentrate fra il 1991 ed il 1994; successivamente a tale data le informazioni acquisite non attestano rapporti con esponenti del “clan dei Muzzoni”. Con riferimento al sig. Terlizzi, nello stralcio dell’ordinanza di riesame versato in atti con cui è revocata, limitatamente al reato ex art. 416 bis c.p. (per il quale il Tribunale di Napoli ha poi emesso sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto con decisione del 22.7.1999), la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti dell’interessato, è dato leggere “se dà contezza dell’attività truffaldina svolta dal prevenuto nella indicata sua qualità nonché del necessario suo collegamento in tale attività con un’associazione quale l’ARPO pienamente partecipe del sistema e sotto la diretta influenza dei casalesi, non consente, tuttavia, di configurare su tali basi un’ipotesi di partecipazione penalmente rilevante del Terlizzi al nominato sodalizio criminoso” e poi “in assenza di più pregnanti elementi di riscontro …… il solo dato oggettivo del pieno inserimento del Terlizzi – in qualità di amministratore della Sam – nel sistema delle truffe AIMA e dei rapporti conseguentemente intrattenuti con Donciglio Giovanni – amministratore di fatto della fornitrice ARPO – appare avulso da ulteriori significativi riferimenti sintomatici della sussistenza di un vero e proprio legame associativo …… e risulta comunque compatibile in concreto con una condotta di necessaria e consapevole agevolazione, nel proprio interesse, del sodalizio criminale” ed ancora “le specifiche modalità e le circostanze dei fatti – con particolare riferimento allo stabile e risalente inserimento del prevenuto nel sistema truffaldino organizzato e gestito dal sodalizio criminoso ed alla pluralità degli episodi criminosi al medesimo ascrivibili – in uno alla personalità certamente negativa del Terlizzi, disvelata da tutti gli elementi evidenziati nella presente ordinanza, indicano positivamente ed in termini di attualità la pericolosità sociale dello stesso, a nulla rilevando, almeno allo stato delle acquisizioni, gli elementi addotti dalla Difesa a sostegno dell’asserito superamento della presunzione legale. Ed invero, la gravità dei commessi reati ed il contesto camorristico in cui essi sono stati consumati non consentono di valorizzare ai fini cautelari la sostanziale incensuratezza dell’indagato e l’epoca non più recente, ma neanche remota, di consumazione dei numerosi delitti al medesimo contestati e ciò anche in ragione della specifica competenza e continuativa operatività dello stesso indagato nella gestione delle aziende di trasformazione ….. certamente ostativo alla formulazione di un giudizio prognostico negativo in ordine alla commissione, nell’interesse del sodalizio dei casalesi, di ulteriori illeciti, soprattutto nel settore agricolo, dello stesso tipo di quelli per cui si procede”. In relazione a tutto quanto precede, ancorché, come correttamente rilevato dalla ricorrente, la relazione della Questura di Caserta a supporto della nota prefettizia impugnata non evidenzi l’evoluzione delle vicende giudiziarie in cui sono stati coinvolti il sig. Manica ed il sig. Terlizzi e benché la nota prefettizia sia alquanto scarna nella sua formulazione tanto che, sotto un profilo meramente formale, potrebbe apparire effettivamente carente di motivazione, non è illogica la determinazione dell’autorità amministrativa di considerare presenti tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Società in quanto sussistono elementi di fatto che se, da un lato, escludono allo stato l’appartenenza degli interessati ad associazioni di stampo camorristico o mafioso, dall’altro, rivelano obiettivamente la presenza di connessioni e collegamenti con la criminalità organizzata. In sostanza, atteso che anche dal provvedimento con cui è stata respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione nei confronti del sig. Manica e dall’ordinanza con cui è stata revocata, limitatamente al reato di cui all’art. 416 bis c.p., la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del sig. Terlizzi emergono connessioni con gruppi criminosi, occorre logicamente presumere che a tali collegamenti l’autorità amministrativa abbia voluto fare riferimento nel segnalare ai fini in questione le pendenze giudiziarie di entrambi. Né può rilevare quanto sostenuto dalla ricorrente in ordine al fatto che il sig. Manica ed il sig. Terlizzi, alla data del decreto ministeriale di concessione del contributo, non ricoprissero più cariche sociali né fossero più soci e ciò perché le loro dimissioni e la loro sostituzione, in epoca peraltro successiva alla domanda di contributo, non esclude la probabilità, soprattutto in un ambiente circoscritto in cui sussistono anche legami di parentela tra gli amministratori, che la loro fuoriuscita dagli organi sociali abbia solo carattere formale e non sostanziale, laddove la ratio della normativa de qua è proprio quella di oltrepassare le apparenze per evitare che il danaro pubblico sia indirizzato verso finalità diverse da quelle funzionali alla collettività ed allo sviluppo del Paese. Infatti, la circolare ministeriale del 12.11.1998, al punto 9, espressamente evidenzia che “le informazioni negative, ove risultanti, possono riguardare chiunque, convivente o meno nel territorio dello Stato, risulti possa determinare in qualsiasi modo scelte o indirizzi dell’impresa, in relazione agli immutati contenuti sostanziali dell’art. 4 del citato D.Lgs. e al criterio ispiratore della disciplina antimafia in materia (cfr. art. 10, comma 4, legge n. 575/1965), tendente a focalizzare l’attenzione più sui rapporti e sulle influenze di fatto (debitamente accertate), che non sugli aspetti formali della titolarità delle imprese”. In proposito, al presumibile fine di evidenziare l’attualità dei rapporti tra i soggetti indicati e la Società, la relazione della Questura di Caserta espressamente afferma, in relazione al sig. Manica, che “consta la sua frequentazione di Gagliardo Pasquale e di altri ….. Egli è cugino per parte di madre, dei germani Gagliardo medesimi” e, in relazione al sig. Terlizzi, il quale in epoca peraltro remota ha ricoperto anche la carica di Presidente della Telex (la cessazione dalla carica è stata comunicata con denuncia del 12.10.1990), che “il medesimo si vuole quale collaboratore dei germani Gagliardo”. D’altra parte, non sussiste nemmeno l’invocato contrasto con la richiamata circolare in quanto le informazioni più rilevanti ai fini in questione, o comunque molte di esse, sembrano essere state dedotte dagli atti giudiziari, indipendentemente dall’esito delle relative vicende. In definitiva, il Collegio è dell’avviso che il percorso argomentativo che, sia pure implicitamente, è stato utilizzato dalla Prefettura nella nota oggetto della presente impugnativa non sia né illogico né incongruo, avendo la stessa sostanzialmente dedotto dalla connessione con esponenti della criminalità organizzata (che, indipendentemente dalla presenza o meno di fattispecie penalmente rilevanti, per il sig. Manica ed il sig. Terlizzi emerge con una certa evidenza dalla documentazione agli atti del processo) la possibilità di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, sicché le ulteriori censure dedotte in merito dalla ricorrente si rivelano nel complesso infondate”.

Fin qui le notizie contenute nella sentenza del Tar. Ma bisogna fornire qualche ulteriore dettaglio, per spiegare meglio questo riferimento: “A carico del Manica, peraltro, risulta un grave ed unico precedente penale, ossia le lesioni cagionate al Varone Paolo, che certamente sono collegate con il ‘clan dei Muzzoni’, della cui attività criminale i genitori dello stesso erano stati vittime”. Paolo Varone è uno dei figli di un imprenditore di Sessa Aurunca, Alberto Varone, titolare di un negozio di mobili e di un’attività per la consegna dei giornali alle varie edicole. Il “clan dei Muzzoni” tentò di fargli cedere la sua attività commerciale e imprenditoriale, ma Alberto Varone si oppose e per questo fu assassinato dai killer della potente e sanguinaria cosca camorristica di Sessa Aurunca, a Francolise, sulla Statale Appia, in località “Acqua Calena”, alle ore 4,30 del mattino del 24 luglio 1991. La tremenda storia di Alberto Varone e della famiglia, vittime della camorra, è tra quelle raccontate nello struggente libro di Raffaele Sardo, “La Bestia”, editore “Melampo”(…). Nonostante l’assassinio di Alberto Varone, le minacce del “clan dei Muzzoni” continuarono ai danni della vedova, che sfuggì ad un tentativo di sequestro di persona, e ai danni dei figli rimasti orfani. Un commando di cui faceva parte anche Pasquale Manica, ex consigliere d’amministrazione della società cooperativa “Telex”, inseguì e fu protagonista di un’aggressione ai danni dei figli del defunto Alberto Varone. Altri dettagli sulla carriera di Pasquale Manica non li conosciamo, ma possono essere chiesti a Giuseppe Rocco (che ne sa di certo più di noi, perché è di Sessa Aurunca e perché ha nel suo curriculum la carica di sindaco effettivo della “Telex”), presso la “Pignataro Patrimonio srl”, Palazzo Scorpio, Comune di Pignataro Maggiore.

L’altro protagonista della ampiamente citata sentenza del Tar relativa alla “Telex”, Ferdinando Terlizzi, invece, giornalista pubblicista, è conosciuto pure per l’attività giornalistica, oltre che per vicende giudiziarie e per i rapporti con la famiglia Passarelli, quella del defunto capostipite Dante Passarelli (legatissimo al capo dei capi del “clan dei casalesi”, Francesco Schiavone detto “Sandokan”), dello zucchero della IPAM e dello zuccherificio “Kerò”, quest’ultimo per coincidenza approdato proprio a Pignataro Maggiore. Ferdinando Terlizzi adesso opera con i suoi editoriali nell’ambito del sito internet www.casertasette.com, di cui è direttore Biagio Salvati, il giornalista pubblicista al quale sia il “Mattino” sia il “Corriere del Mezzogiorno”, testate molto importanti, hanno appaltato quasi completamente la cronaca giudiziaria in un’area strategica, conferendogli quindi un enorme potere. (…) Tra i collaboratori di www.casertasette.com c’è pure Pietro Falco, ex candidato a sindaco di Sessa Aurunca (trombato), ex assessore provinciale di An, firmatario di entusiastici articoli a favore del sindaco Giorgio Magliocca e della “Pignataro Patrimonio srl” sul “Corriere del Mezzogiorno”, inserto campano del “Corriere della Sera”; per esempio in data 13 maggio 2008 articolo con il titolo “Il record – Pignataro come Viareggio, differenziata al 69 per cento”, con tanto di foto di Giorgio Magliocca e richiamo in prima pagina, e in data 27 febbraio 2009 con il titolo: “Gas e compost dai rifiuti – Il ‘miracolo’ di Pignataro” (…). Articoli-spot che hanno consentito al sindaco Magliocca di dire in Consiglio comunale, a proposito della “Pignataro Patrimonio srl”: “Siamo usciti sul Corriere della Sera”. Come è noto, da qualche giorno Giorgio Magliocca non parla più della “Pignataro Patrimonio srl”, per coincidenza da quando è esploso il “caso Giuseppe Rocco”. Se parlasse, Magliocca potrebbe spiegare il vero “miracolo”, quello della nomina di Giuseppe Rocco a responsabile tecnico della “Pignataro Patrimonio”. Ma forse Giorgio Magliocca non tacerà ancora a lungo perché, come dicono i buontemponi di Piazza Umberto I, il sindaco ha sempre “un asso nella manica”. In questo caso – ovviamente, a differenza della rocchiana “Telex” – manica con la “m” minuscola.

Fin qui quella vecchia – ma sempre attuale – inchiesta giornalistica pubblicata da http://davidedestavolanews.myblog.it/ il 31 luglio 2009. Va aggiunto che il magliocchiano di ferro Pietro Ricciardi, all’epoca membro del consiglio d’amministrazione della “Pignataro patrimonio srl”, aveva in precedenza scatenato una polemica contro il giornalista Enzo Palmesano, con una lettera inviata a www.liberainformazione.org il 24 luglio 2009. Ecco che cosa scriveva, tra l’altro, Pietro Ricciardi: “Mi permetto di scriverle perché citato dallo stesso Palmesano nell’articolo, sia nella mia qualità di editore della testata giornalistica on-line www.comunedipignagtaro.it, sia nella mia qualità di consigliere di amministrazione della Pignataro Patrimonio srl. Azienda che, secondo il Palmesano, avrebbe due responsabili tecnici: il primo, l’ing. Giuseppe Vitello ed il secondo, il dipendente Giuseppe Rocco, al quale, secondo informazioni che mi riservo di verificare, sarebbe stato sindaco di una società cooperativa alla quale sarebbe stato ritirato il certificato antimafia. Come lei certamente saprà il responsabile tecnico può essere una figura dirigenziale di un’azienda di rifiuti o un semplice dipendente, purché laureato, o con due anni di pregressa esperienza come responsabile tecnico in un’azienda di trattamento dei rifiuti. È inoltre indispensabile che sia assunto con almeno il sesto livello funzionale. Ebbene, il signor Giuseppe Rocco non è Responsabile Tecnico della Pignataro Patrimonio, né può esserlo, essendo stato assunto al quarto livello funzionale del contratto nazionale Federambiente. La dimostrazione sta nelle tre pagine del decreto di iscrizione della società all’albo nazionale dei gestori dei rifiuti. Questo è l’unico documento sul quale è sancito ufficialmente il ruolo dei responsabili tecnici. Unico Responsabile Tecnico della Pignataro Patrimonio è l’ing. Giuseppe Vitiello, come potrà leggere lei stesso da quanto le ho allegato a questa mia lettera. Partendo dal fatto  che è falso quanto Palmesano dice in premessa del suo comunicato, ritengo inutile prodigarmi nel dire che una società, e quindi anche la Pignataro Patrimonio srl, ha una propria personalità giuridica, che non ha nulla a che vedere con quella dei propri operai, i quali rispondono personalmente delle loro vicende giudiziarie, fintanto queste non coinvolgono l’azienda stessa”.

Ma insomma, aveva ragione il giornalista Enzo Palmesano nel dire che Giuseppe Rocco era stato nominato responsabile tecnico del carrozzone clientelare “Pignataro patrimonio srl” dall’allora sindaco di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca o aveva ragione il magliocchiano Pietro Ricciardi nel sostenere che lo stesso Giuseppe Rocco non aveva i requisiti per tale incarico? Da documentazione nel frattempo da noi acquisita, emerge con chiarezza che – pur senza i requisiti previsti – Giuseppe Rocco fu nominato ugualmente responsabile tecnico della “Pignataro patrimonio srl”. Pubblichiamo in coda a questo articolo la domanda di iscrizione – a firma dell’allora sindaco Giorgio Magliocca – della “Pignataro patrimonio srl” all’albo delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, protocollo del Comune di Pignataro Maggiore numero 3975 del 29 aprile 2008. Vi sono indicati due responsabili tecnici: l’ingegnere Giuseppe Vitiello e, appunto, Giuseppe Rocco. Come mai Giorgio Magliocca nominò pure Giuseppe Rocco che, secondo il magliocchiano Pietro Ricciardi, non aveva i requisiti? Magliocca doveva accontentare qualcuno? Lanciare un segnale a qualcun altro molto, ma molto influente? O gli avevano fatto una proposta che non poteva rifiutare? Forse sarebbe il caso che la magistratura approfondisse il “caso Giuseppe Rocco” e la sua incredibile nomina (senza requisiti) a responsabile tecnico del carrozzone per la raccolta dei rifiuti, nonostante avesse nel proprio curriculum – prima che lo arricchisse ulteriormente con il recente arresto con l’accusa di spaccio di cocaina – la carica di sindaco effettivo della società cooperativa di Teano “Telex” colpita da interdittiva antimafia.

rocco-pignataro patrimonio

Rassegna stampa

articolo di Rosa Parchi

da pignataronews.myblog.it

Commenta con Facebook