L’ennesimo segnale da Napoli: vuoi vedere che la Campania questa volta cambierà davvero

L’ennesimo segnale da Napoli: vuoi vedere che la Campania questa volta cambierà davvero

Non è la prima manifestazione alla quale partecipo. Né tantomeno quella più o meno riuscita. Quelle contro la Q8 la ricordo come un sogno lontano, ma quelle contro la Piattaforma per i rifiuti industriali, la discarica per i rifiuti urbani sui beni confiscati a Torre dell’Ortello o a Carabottoli, contro la centrale a turbogas di Sparanise o quella a biomasse di Pignataro, o – ancora – il gassificatore, fino a quella di qualche settimana fa contro la centrale a Calvi Risorta, quelle le ricordo bene. Destra, sinistra, centro, ricchi, poveri, sportivi, negozianti, imprenditori, operai, tutti insieme per difendere se stessi e i propri cari. Uno sbarramento per dire: “fermi tutti, qui non si passa, questa è la nostra terra”. È nitida nella mia mente l’immagine delle persone che occupavano i binari della ferrovia, l’autostrada, la statale. Si respirava uno spirito solidaristico che dava pienamente il senso di unità, la convinzione di sentirsi parte di una comunità.

Ai tempi della Piattaforma e della discarica dell’”Aria Nova” mi sono sentito pienamente pignatarese: fratello di chi difendeva con i denti un piccolo steccato e figlio di una terra che ha dato i natali a me, ai miei genitori e ai miei avi. Quella terra che quando la guardi la senti tua, che ti fa sentire realmente a casa, libero di poterti muovere senza sentirti a disagio.

A Sparanise, a Capua e Calvi Risorta, ero parte di una comunità più ampia. Membro di un gruppo che sembra esprimere soltanto scherzosamente le proprie differenze, ma che nel momento del bisogno si unisce. Per la prima volta ho provato la gioia di sentirmi dire “ecco i pignataresi”, ma per un semplice motivo.  Non perché quelle parole venivano pronunciate beffardamente – come spesso accade dalle nostre parti – da chi alludeva alla Pignataro della “Svizzera dei clan”, ma perché chi pronunciava “pignataresi” lo faceva con un certo rispetto, quello tributato a una comunità che ha saputo compattarsi per mandare via imprenditori, politici, forze dell’ordine e camorra, quando questi volevano operare o favorire speculazioni pericolose per l’ambiente e la salute di tutti.

Quello stesso spirito di unità ci ha portato a presentarci a Napoli, non come tanti singoli o come tante piccole comunità, ma come un territorio – l’Agro caleno – che ha espresso la propria voglia di essere. Una realtà in mezzo a tante realtà. Una indicazione geografica quasi insignificante che oggi ha la propria dignità e che è salita su un palco in piazza Plebiscito a Napoli, davanti a migliaia di persone. Davanti all’intera Campania e davanti a tanti gruppi provenienti da varie regioni d’Italia. Una tappa fondamentale di un percorso che ha portato la nostra terra ad aiutare le altre zone della Campania e a mettere a disposizione quelle esperienze che ci hanno reso “comunità”.

Anche tra le persone di Caivano, Marcianise, Giugliano, Salerno, Napoli, Acerra, ecc, quello spirito di solidarietà che ho avvertito per la prima volta più di dieci anni fa e che ha reso i cittadini dell’Agro caleno compartecipi dello stesso destino, ieri si sentiva. Le parole di quelle mamme affrante dal dolore, ma soprattutto la determinazione di ragazzi e ragazze della mia età (o forse anche più giovani di me) mi ha reso ancora più fiducioso. Forse la consapevolezza di vivere lo stesso dramma e di poter riappropriarsi della dignità che ci è stata tolta ci sta rendendo più forti e più uniti. Forse veramente si sta compiendo un percorso di realizzazione di democrazia dal basso che ci consente almeno di dire insieme che siamo stufi di assistere a scandali come quello dell’Asl di Caserta, dove i dirigenti nominati dai politici affidavano gli appalti a ditte vicine alla camorra. Si, “giocano” proprio con quella sanità che dovrebbe curarci, dopo i danni fatti da politici, clan e imprenditori di camorra con i rifiuti sversati illegalmente sotto i nostri piedi.

Ieri sera a Napoli non c’erano soltanto le prediche buoniste di don Patriciello, ma le parole di ragazze che, “armate” soltanto di una bandiera e di un foglio di carta, ammonivano le stesse istituzioni. Quelle istituzioni che qualche settimana fa hanno proibito ai cittadini liberi di incontrare un proprio rappresentante (la Prefettura di Caserta) con “ammonimenti” preventivi da regime repressivo. Oggi gente arrabbiata ha rimandato al mittente quei provvedimenti e ha avuto la maturità di gridare tutta insieme che la devastazione dell’ambiente e della salute dei cittadini campani non continuerà, anche se si dovesse arrivare allo scontro fisico. Pronti a tutto, anche a sabotare i cantieri come accade in Val di Susa. Dopo aver sentito per quasi trent’anni che i “napoletani” (Fuori regione banalmente ci hanno sempre assimilato a Napoli, per loro la Campania esiste soltanto in quei 5 minuti dell’età adolescenziale, nei quali imparano le regioni d’Italia) hanno un senso civico sotto la media, per la prima volta mi sono sentito rinfrancato e tra me e me pensavo: vuoi vedere che la Campania questa volta cambierà davvero.

da http://davidedestavolanews.myblog.it/

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