L’abitudine alla lettura al centro del nuovo appuntamento con “Io speriamo che me la cavo”

L’abitudine alla lettura al centro del nuovo appuntamento con “Io speriamo che me la cavo”

Il romanzo “Fahrenheit  451”, di R. Bradbury era ambientato in una società in cui la lettura dei libri era considerato un reato e i vigili del fuoco invece di spegnere gli incendi ,appiccavano il fuoco alle case in cui c’erano  libri. La donna di cui parla lo scrittore preferì bruciare con la casa, piuttosto che lasciare i libri.

Il libro scritto nel 1951 sembra anticipare lo strapotere della TV e del PC. Certamente non viviamo in un contesto così fantascientifico,ma le indagini svolte negli ultimi anni denotano che un terzo dei ragazzi tra i sei e i dieci anni (circa 20 milioni di persone) non hanno letto un libro o più di un libro.

Tralascio le discutibili metodologie attraverso le quali vengono forniti certe percentuali  per affermare, come dato certo, che in molte famiglie i soli libri presenti sono quelli scolastici e quelli si sa sono pure indigesti  così come nel libro di Pinocchio quando i sillabari e le grammatiche lanciati dai ragazzi in mare venivano sputati dai pesci che si rifiutavano di mangiarli.

Ma perché mancano in tanti casi rapporti coi libri? Innanzitutto perché, forse, leggere è faticoso a differenza del guardare la TV o il PC;chi guarda non ha bisogno di controllare come avviene un ragionamento o di comprendere il significato di quello che legge e questo introduce il concetto di analfabetismo  (e a. di ritorno) che alcuni studiosi come ad es. Tullio De Mauro trattano da anni. Da un’indagine pubblicata dall’INVALSI nel 2006 si afferma che: “Soltanto il 20% della popolazione italiana possiede competenze minime di lettura, scrittura e calcolo, indispensabili a muoversi in una società complessa: riescono cioè a leggere un grafico, controllare i conti dati dalla banca, leggere o capire un testo in prosa”.

Altre più recenti indagini confermano queste analisi. De Mauro rimarca che c’è una correlazione tra i bassi livelli di istruzione, la bassa produttività e perfino la redditività del capitale finanziario. Quindi uno stretto legame tra indici dei livelli culturali e le capacità tecnologiche e produttive di un Paese (T. De Mauro La barriera dell’istruzione Laterza 2007).

Ma ,soprattutto, che “c’è una parte di popolazione la quale uscita dalle scuole e dall’università, senza sollecitazioni regredisce fino a condizioni di analfabetismo di ritorno che la scuola ordinaria non può recuperare”.

Fine 1 parte.

Il D.S. Giacomo Coco

Commenta con Facebook