CASTELVOLTURNO – Il 15 maggio sarà on line il suo docufilm realizzato con Vincenzo Ammaliato e Tony De Angelis. “La Baia”, girato interamente sulla Domitiana tra i centri di Mondragone e Castel Volturno (in provincia di Caserta), racconta un mondo sconosciuto anche a chi vive a pochi chilometri di distanza, così come emerge anche dai trailer che stanno facendo lievitare la curiosità dei cittadini. Per avere ulteriori elementi su questo affascinante racconto, C24 ne ha intervistato l’ideatore e il produttore: Salvatore Minieri. Il giornalista, stuzzicato dalle nostre domande, ci rivela altre curiosità.
Da cosa nasce l’idea di realizzare un docufilm su Castelvolturno e sulla costa casertana?
Non lo so bene, forse dalla mia passione per gli scarti, per le cose che sono sempre al margine delle strade. Credo che la costa casertana sia davvero tutto ciò che la Domitiana quotidianamente spurga e ricaccia ai lati con violenza: scarti, appunto, scorie a due passi dal mare.
C’è gente che vive a 5 chilometri dalla costa Domitia, ma non conosce nemmeno le strade per arrivarci: eppure quella è una delle pochissime zone al mondo dove le regole sono state sovvertite in maniera assoluta.
Certe cose sono successe solo a Castel Volturno e a Soweto o magari nei bantustan vergognosi di Sun City, i quartieri-gabbia solo per neri.
Per non parlare dell’abusivismo edilizio che ha “costretto” la spiaggia a diventare dinamica, si muove per adattarsi alla pressione del cemento e all’erosione marina.
A Bagnara (capitolo del documentario La Baia), tra Castel Volturno e Mondragone, le case, che avevano 400 metri di spiaggia davanti, oggi sono praticamente finite in acqua perché la sabbia è scomparsa.
La gente fa il bagno tra mattoni, ferri che spuntano dal cemento e animali morti arenati sulla spiaggia. Un’allucinazione di sabbia e sole.
E del Parco Saraceno ne vogliamo parlare? Senza acqua, luce, gas: è tutto abusivo ma è una delle sacche residenziali dalla densità antropica più alta in quella fascia costiera. Roba che nemmeno nel peggior periodo dell’apartheid. In quel parco è morto un ragazzo di colore, per fame e per un malore. È successo appena un anno fa. Nell’era di facebook e della vicinanza multimediale, si muore ai piedi di un palazzo abusivo, per fame e abbandono.
Che cosa avete trovato in quello che si dice sia un mondo lontano anni luce dalle nostre zone?
Credo che qui sia stato creato tutto quello che altri poli turistici hanno fatto tre decenni dopo. Il Litorale Domitio, già dal 1965, era così avanti in termini di strutture e modernità vacanziera, da dover per forza crollare senza speranza, vittima della estremizzazione di un’area marina che fino a tre anni prima era ancora invasa da bufale e pantani.
Provate a immaginare una zona dove prima le bufale si immergevano nella loro mota sporca, ospitare due anni dopo yacht così grandi da costringere qualcuno a dover abbattere i resti di un ponte romano che ne impediva l’accesso nella darsena, costruita abusivamente dove prima c’era la pineta più bella del Tirreno. Sembrano storie uscite da un libro, in realtà sono ordinarie giornate degli ultimi 40 anni a Castel Volturno.
Che cosa resta di quel progetto che voleva trasformare Castel Volturno nella Rimini campana?
In realtà, il parallelismo con Rimini era solo commerciale e di facciata, roba da depliant con belle ragazze in due pezzi.
La vera partita della competitività turistica si è sempre giocata con Bibione, la città marina a due passi da Venezia.
Baia Domitia, ad esempio, è sorta proprio grazie agli stessi progettisti. Dietro la devastazione della Pineta di Sessa Aurunca e di quella che si estendeva verso Castel Volturno c’erano personaggi che avevano già realizzato uno scempio simile in Veneto, appunto: i padovani Giuseppe Longato (presidente di una società che acquistò addirittura la pineta a ridosso della costa casertana, l’Aurunca Litora) e l’architetto Renzo Mengazzo, quello che per primo stuprò col cemento il nostro litorale.
Poco più a sud, agivano i Coppola che, accampando diritti di possesso grazie a una mareggiata e a un Regio Decreto del 1911, riuscirono a prendersi quasi mezza litoranea casertana: un territorio che va dall’uscita di Mondragone fin quasi a Licola.
Gettarono in pochi mesi un milione e mezzo di metri cubi di cemento: era tutto abusivo.
La Terra dei Fuochi di oggi trova la sua genesi proprio in quegli anni di selvaggia aggressione al territorio, di svendita e prostituzione delle nostre terre per fare business non adatti alla nostra vocazione.
Nei nostri paesini ci si fa la lotta a colpi di carta bollata persino per una finestra aperta senza avvisare i vicini. Se questa gente vivesse un’ora al Parco Saraceno di Castel Volturno, scapperebbe via a nuoto per l’angoscia.
Le devastazioni, la disperazione e il degrado di quelle zone sono un po’ lo specchio di questa provincia?
Esatto, è proprio questo il senso de La Baia.
Quella zona è la verità cruda e maleodorante, quella costa è un teatro senza maschere o finzioni da provincia che si finge metropoli.
Da Mondragone a Castel Volturno non ci sono filtri, sembra la rappresentazione fisica della nostra vita meridionale.
Mancanza di servizi, sicurezza dei luoghi pubblici drammaticamente pionieristica, politica distratta e addormentata da due decenni, criminalità e camorra, prostituzione e abusivismo mostruoso.
È tutto sotto gli occhi.
Quella è la vera rappresentazione della nostra condizione al Sud, altro che i centri commerciali intasati al sabato o l’outlet per comprare l’abito che fa trend.
Il problema è che la provincia di Caserta è una delle più deculturalizzate d’Europa: c’è solo gente che fa finta di preoccuparsi dell’arte in rovina per farne sterile happening. Poi gli incontri per salvare la Reggia di Carditello, ad esempio, non si tengono nella reggia stessa, ma a 50 chilometri, nel ristorante dell’amico di chi fa finta di lavorare per la cultura casertana. Capito a che stato siamo? Una barzelletta nazionale.
Dopo il 15 maggio, con la pubblicazione ufficiale del docufilm, pensi potrebbe cambiare qualcosa nella percezione dell’opinione pubblica? E della politica?
No, per niente: la politica locale è tra le più impreparate e cialtrone d’Italia.
La politica si è affacciata due volte in quella baia negli ultimi anni. Soprattutto quando ha consentito la comica realizzazione di una griglia nei pressi del canale dei Regi Lagni (lo scolo fognario dove sversano liquami circa 100 Comuni, il tutto finisce direttamente a mare). Quella struttura, costata milioni di euro ma troppo piccola e debole per quel flusso d’acqua, ha funzionato per tre mesi.
Ora è abbandonata e provoca addirittura l’esondazione delle acque nere sulla strada che costeggia la foce dei Regi Lagni.
Eppure, all’inaugurazione, il presidente della provincia Zinzi prometteva sviluppo e sicurezza. C’erano pasticcini e cordialità. Tre mesi e tutto è andato in malora.
Dai pasticcini caduti dal buffet, ora ci sono feci sulla stessa strada.
Le solite figure della politica casertana che sa solo mettere il vestito elegante quando deve tagliare i nastri, poi altro non sa e non vuole fare.
Dicono di preoccuparsi dell’ambiente, poi girano con l’auto istituzionale anche per il centro di Caserta a 100 metri da casa loro.
Cosa possiamo aspettarci da questi personaggi incapaci rimasti a una mentalità borbonica?
Dopo la storia romana, il laghetto degli orrori e Castelvolturno, quale sarà la prossima avventura?
Non lo so, ma voglio misurarmi con un libro. Ci sto già lavorando, ora vorrei trovare il tempo per dedicarmi alla pubblicazione. In questi mesi di lavoro ho conosciuto persone incredibili come il collega Vincenzo Ammaliato (co-protagonista de La Baia) la vera voce della baia e della Domitiana, giornalista vero, di quelli coraggiosi che ti insegnano qualcosa di prezioso anche se prendi solo un caffè con loro.
E poi il Maestro Giovanni Izzo, fotografo straordinario che racconta il Litorale con immagini irripetibili che mi commuovono e mi fanno sentire un bambino meravigliato davanti a tanto mistero in bianco e nero.
Tony De Angelis, che è riuscito a portare il senso della baia nelle sue telecamere: un compito difficilissimo, lui è uno dei pochi che poteva riuscirci. Il suo lavoro di postproduzione è massacrante: La Baia è più un lavoro suo che mio.
A queste persone io devo un pezzo importantissimo della mia vita, non solo professionale. Mi hanno insegnato in un solo inverno quello che da 40 non riuscivo a comprendere di quella zona.
Devo tanto anche alle facce di ogni razza che ho incontrato, alle mani bianche e nere che ho stretto prima di accendere la telecamera.
Non è solo una vena di Africa nel cuore del mio Meridione, ma il confine tra tutto: tra costa oppressa e mare inquieto, tra bianchi e neri mai troppo integrati, tra immigrazione e disperazione, tra bellezza assoluta e mostri che strisciano nell’acqua scura. E, a dirla tutta perché raramente sono io l’intervistato, è stato anche il confine tra la difficoltà professionale di un impegno del genere e la gioia di esserci riuscito. Poi dal 15 maggio, quando uscirà La Baia in versione integrale, me lo direte voi di Caleno24ore se è andata veramente così.
Red.