PIGNATARO M. – Altro che semplice (per quanto drammatico) epilogo di una banale lite. Il tentato omicidio di Michele Lettieri, avvenuto a Pignataro Maggiore giovedì 10 aprile 2014, infatti, è un regolamento di conti che viene da molto lontano e va inquadrato nell’affermazione della supremazia della potente e sanguinaria cosca mafiosa dei Lubrano sul territorio della “Svizzera dei clan”. A Pignataro Maggiore era ritenuto da tutti scontato che Michele Lettieri – pericolosissimo camorrista -, non appena sarebbe stato scarcerato, avrebbe fatto una brutta fine, sarebbe stato vittima di un agguato di stampo mafioso. E quando sono cominciate a circolare le voci di un’aggressione proprio ai danni di Lettieri e contestualmente nessuno diceva nulla degli autori dell’agguato, tutti si sono convinti che l’azione era stata portata a termine dalla cosca Lubrano. Perché, cari lettori di “Pignataro News”, nella “Svizzera dei clan”, quando tutti fanno finta di non conoscere l’autore di un fatto criminoso, significa che c’entra appunto la famiglia Lubrano. L’omertà e la paura imperano.
La conferma è arrivata quando i carabinieri hanno arrestato, con l’accusa di concorso in tentato omicidio e detenzione illegale di arma da fuoco, Francesco Parisi (che ha premuto il grilletto) e suo cognato Raffaele Lubrano, quest’ultimo figlio del defunto Antonio Lubrano, con quartier generale a Vitulazio. Di un altro Raffaele Lubrano, detto “Lello” (figlio del capomafia Vincenzo Lubrano, anch’egli defunto), ucciso a Pignataro Maggiore il 14 novembre2002 inun agguato del “clan dei casalesi”, Francesco Parisi è stato uno strettissimo collaboratore, tanto da accompagnare il boss negli incontri a cena con l’allora consigliere provinciale Giorgio Magliocca al ristorante “Ebla” di Triflisco, tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002, alla vigilia delle elezioni amministrative pignataresi nelle quali l’esponente politico sarebbe stato eletto sindaco per la prima volta.
Francesco Parisi e Raffaele Lubrano fu Antonio sono elementi di primo piano della consorteria criminale e – come tutti gli altri, a cominciare dall’attuale capomafia Giuseppe Lubrano, dal fratello Gaetano Lubrano fu Vincenzo e dall’articolazione più spiccatamente “pignatarese-corleonese” Lubrano-Romagnuolo – erano a piede libero. Tornato in libertà pure Michele Lettieri, si è immediatamente riproposta la questione degli spazi di potere criminale da trasformare in denaro, riaprendo una discussione non nuova tra lo stesso Lettieri, da una parte, e le famiglie Lubrano e Ligato dall’altra. Basti pensare che le richieste di denaro ad opera del detenuto Michele Lettieri (in carcere nella stessa cella di Vincenzo Lubrano) erano state al centro di una conversazione intercettata dai carabinieri nella villa bunker di “don” Vincenzo già il 12 agosto2003, acominciare dalle ore 20,43, recante il numero progressivo 26512.
Delle richieste di denaro di Michele Lettieri – che avevano fatto imbestialire di brutto il capomafia – parlarono Vincenzo Lubrano e il nipote Pietro Ligato, figlio di Raffaele Ligato. Le insistenze di Lettieri venivano prese molto sul serio da Lubrano, che annunciò a Pietro Ligato una visita al padre Raffaele Ligato (marito di Maria Giuseppa Lubrano, sorella del capomafia) in modo da poter affrontare e risolvere il caso. La personalità di Michele Lettieri, i suoi contatti con il mondo criminale dell’area di San Felice a Cancello, la conoscenza di molti segreti della cosca Lubrano-Ligato inducevano Vincenzo Lubrano a soppesare ogni evenienza. “Parla malamente questo Michele – disse Vincenzo Lubrano a Pietro Ligato -, adesso decidiamo io e tuo padre che dobbiamo fare (…). Dobbiamo decidere io e tuo padre, io da solo non posso decidere”.
Non sappiamo quale sia stata la decisione di Vincenzo Lubrano e Raffaele Ligato (attualmente in carcere) sulla sorte di Michele Lettieri: se mandargli una quota dei soldi ricavati dalle attività criminali (metterlo a stipendio o a percentuale) o, appena possibile, eliminarlo. Nella già richiamata intercettazione ambientale, Pietro Ligato (anch’egli adesso detenuto) si schierò immediatamente per la soluzione dura, di forza: “A Michele non gli mandate niente (…). Metto la testa a ucciderlo proprio appena…”. E Vincenzo Lubrano: “Deve avere solo due botte addosso e basta”. Sempre dall’intercettazione si apprendeva che Vincenzo Lubrano tentò di mandare via da Pignataro Maggiore Michele Lettieri, di convincerlo a trasferirsi – una volta scarcerato – nella zona tra San Felice a Cancello e Santa Maria a Vico, ma non ci fu niente da fare. “E allora io pensai – aggiunse Vincenzo Lubrano – che questo vuol essere ‘arricettato’ (traduzione: ‘ucciso’) a Pignataro”. Nessuna sorpresa, pertanto, quando per poco Michele Lettieri – ad opera di Francesco Parisi e Raffaele Lubrano fu Antonio – non è stato davvero “arricettato a Pignataro”, giovedì 14 aprile 2014.
Alla luce di penetranti indagini che sicuramente sono già in corso, non potrà non emergere che i motivi del regolamento di conti sono la spartizione degli spazi criminali e la conseguente raccolta di soldi. Lettieri era evidentemente tornato a bussare a denari, a “parlare malamente”. Ma stavolta non c’erano le sbarre del carcere a proteggerlo dai colpi di pistola del clan Lubrano.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it