Il rapper partenopeo Fabio Farti presenta in un’intervista il suo ultimo lavoro: “L’ora del risveglio”

Il rapper partenopeo Fabio Farti presenta in un’intervista il suo ultimo lavoro: “L’ora del risveglio”

NAPOLI – Siamo con Fabio Pennacchio aka Fabio Farti (acronimo di Full ART Inside), rapper partenopeo classe ‘85, cresciuto a Scampia e sulla scena dai tempi della storica TCK, una delle crew regine dell’hip hop napoletano dei primi anni del nuovo millennio. Il 31 maggio è uscito il suo nuovo Ep “L’ora del risveglio”, tape di tre tracce disponibile su tutti i digital stores. Proviamo a conoscere meglio Fabio sia come artista che come uomo…

Fabio, sei una delle icone dell’underground campano. Hai collaborato con grandi artisti della cosiddetta old school e frequenti le jam da quando i dodicenni non sapevano dell’esistenza del New Era. Nessuno meglio di te può raccontarci come il rap, e tutto ciò che ruota intorno a questo mondo, sia cambiato negli ultimi anni. A cosa attribuisci l’esponenziale crescita degli ascoltatori del genere?

“Il merito è da dividere tra numerosi fattori. Innanzitutto viviamo un’epoca dove l’informazione è a portata di mouse. Lo scambio continuo è possibile anche grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione e dei media che sono andati evolvendosi in questi anni. Qualsiasi forma culturale, espressione artistica o musicale in un contesto simile diventa di dominio pubblico. L’hip-hop è una corrente che diffonde energia, possibilità di riscatto, comunione di ideali… I giovani di oggi lo hanno percepito, così come lo hanno percepito le varie label del pianeta che hanno dato una grossa mano nella diffusione. Il nostro è un genere che dà la possibilità agli ascoltatori di diventare interpreti senza troppe difficoltà tecniche. Credo che il numero di ragazzi che oggi si avvicinano a questo movimento, non solo ascoltando, ma provando a fare le proprie rime, sia impressionante. Quando ci si sente chiamati in causa in prima persona diventa poi molto più facile condividere la propria passione con gli altri e il contagio reciproco diventa sempre più possibile. E’ ovvio che tutto il trasporto culturale di questo movimento viene poi assorbito in maniera soggettiva dai vari individui. Il rap ti permette di raccontare una storia collettiva legata alla cultura hip-hop, ma è chiaro che ognuno possa inserire un bagaglio culturale del tutto proprio che a volte poco o niente può avere a che fare con quello che noi abbiamo sempre definito “hip-hop culture”, e non sto parlando di musica...”

Non posso esimermi dal chiederti un parere riguardo l’annosa diatriba “underground vs commerciale”: sicuramente uno dei temi di discussione più ricorrenti tra gli appassionati. C’è chi sceglie intransigentemente i brani del proprio ipod e chi sostiene che, in quest’ambito, l’unica distinzione possibile sia tra “musica fatta bene e musica fatta male”. Tu da che parte stai?

“Io sto dalla parte di chi si emoziona ascoltando una canzone. Una canzone nasce per dei chiari scopi ed ognuno ha i suoi: intrattenere, emozionare, far sorridere, comunicare, raccontare, denunciare, scatenare o anche semplicemente vendere ed essere prodotto. Rispetto ogni ideologia perchè l’unica via per una crescita collettiva è il confronto. Nella vita numerosi fattori del tutto spontanei e imprevedibili fanno in modo di avvicinarci a delle correnti piuttosto che altre. La mia intelligenza non mi permette di credermi superiore agli altri semplicemente per una possibile diversità della musica che amo ascoltare rispetto alla loro, o per i vestiti che scelgo di indossare, o per il modo in cui parlo e mi comporto. Ognuno ha avuto i suoi input. Detto questo, la musica per me non ha etichette. E’ chiaro che dobbiamo per forza codificare le cose per poterci capire meglio quando ne parliamo, ma se una canzone mi trasmette qualcosa, allora non dico che è fatta bene… dico semplicemente che è “opera” e che mi piace. I miei ascolti fin da bambino spaziavano dalla lirica al metal, cosa ne poteva uscire fuori?

Amo l’hip-hop con tutto me stesso, non solo per un fattore musicale, ma perchè ho scelto di capirlo, di approfondirlo, di sentirne il messaggio con l’anima. Basta semplicemente rispettarlo, rendersi conto che nelle necessarie codifiche di cui parlavo prima, questa cultura ha i suoi punti cardine. L’evoluzione è una cosa necessaria e la paura non fa bene a nessuno, l’importante è avere il coraggio e la consapevolezza di cosa si sta facendo. Concluderei dicendo che ad oggi ho maturato così il mio pensiero: non è un problema di cosa sia underground e di cosa sia commerciale, è una questione tra cosa sia hip-hop e cosa non lo sia, in tal caso necessita di un nuovo nome da attribuirgli. Se ciò che sto ascoltando non si chiama hip-hop ma riesce a darmi qualcosa, perfino qualcosa di frivolo se in quel momento ne ho bisogno, allora non mi spaventa minimamente.

A distanza di poco tempo dall’uscita di “Angkor Wat”, disco prodotto in collaborazione con Barone Rosso, ti sei subito rintanato nuovamente in studio. Parlaci delle differenze e delle affinità tra il tuo penultimo lavoro e “L’ora del risveglio” fermo restando che lo stampo è sempre quello: la street culture e il disagio giovanile

“Io aggiungerei anche “Free Words Ep” fatto con Mr. Extra, uscito contemporaneamente ad “Angkor Wat” e disponibile in freedownload sul mio sito (www.fabiofartiofficial.tk ). Questi sono i due progetti dove le tematiche e l’atmosfera musicale più si avvicinavano all’idea della street culture, che ovviamente fa parte di me e viene fuori spesso in tutte le cose che faccio. Il disagio in quei lavori viene raccontato come forza motrice, come voglia di scrollarsi di dosso la patina del giudizio degli altri, elemento generante di energia nell’affrontare la vita. Ma questi non sono gli unici temi messi al centro di quei lavori. Come dico sempre un’artista racconta la propria vita, le proprie esperienzeE in una vita succedono tante di quelle cose che è impossibile raccoglierle con due parole. Cosa è successo nel nuovo Ep? “L’ora del risveglio” è un progetto crossover che unisce il rap al nu-metal. Abbiamo preso due tracce da “Angkor Wat” e le abbiamo riarrangiate in qualcosa di totalmente diverso con strumenti analogici: dalla batteria alla chitarra elettrica, senza l’uso dei samples. Poi abbiamo scritto e composto il nuovo singolo che dà il titolo all’ Ep e il risultato è una cosa che mi mette il sorriso sulle labbra ogni volta che lo ascolto. Io lo percepisco come un’onda d’urto, un invito al risveglio per tutte le coscienze assopiteE qui si ritorna esattamente a ciò che ti dicevo in merito alla differenza tra commerciale e underground. L’ora del risveglio” invita tutti a non fermarsi davanti alla facciata delle cose ma a scavare nelle profondità della musica e nelle diverse possibilità di espressione culturale per capire le meraviglie che porta con sè.

L’Ep è prodotto dalla Hopeland Label di Bartolomeo Giuliano, giovane ed eclettico producer del casertano. Come è nata questa collaborazione e quali sono le aspettative per questo progetto?

“Ci siamo conosciuti grazie all’amore che ci lega alla musica e alla facilità di comunicare che internet e i social network oggi ci regalano. Quando usati con criterio sanno essere degli strumenti capaci di generare positività e cose costruttive. Bartolomeo apprezzava ciò che facevo e mi contattò proponendomi di lavorare insieme a dei nuovi progetti. Con “L’ora del risveglio” ha fatto un grandissimo lavoro ed è solo il primo, siamo già all’opera per proporre tante altre novità, sperimentando a 360° sul fronte musicale. Artisticamente ciò che mi aspetto è che la gente che lo ascolta capisca cosa veramente voglio dire e mi auguro che io riesca nel compito del “risveglio”. Questa è la cosa più importante per me, comunicare ed emozionare gli altri… Chi mi ascolta lo sa! Poi professionalmente abbiamo un mondo infinito da esplorare davanti a noi, chissà. Faccio musica perchè mi fa stare immensamente bene, il mio concetto di amore è quello di “dare”, indipendentemente da cosa possa ricevere. Di sicuro ciò che desidero di più è che i miei messaggi possano arrivare a quanta più gente possibile, dal mio coetaneo al padre di famiglia, dal giovanissimo alla nonna.

Cosa ti senti di dire a chi ora sta iniziando ad approcciarsi a questa nuova realtà e ai sempre più numerosi rapper in erba?

“Di ritrovare sempre sè stessi, di non perdersi mai e di ascoltare sempre la propria anima. Consiglio di studiare bene la storia dell’ hip-hop e il suo bagaglio culturale per poi farlo proprio in modo da avere la possibilità di decidere personalmente quali valori ritenere giusti o sbagliati, senza accontentarsi della superficialità delle cose che ci vengono raccontate. E’ importante ascoltare tanta musica. Ovviamente tantissimo rap, ma non solo. Bisogna avere sempre un contatto con la realtà e con gli altri, ricordandosi che molto dell’odio che viene messo in atto sul pianeta ha un contrapposto di amore. E questo lo si trova nell’hip-hop come in tutte le altre correnti di pensiero. Avere sempre uno spirito positivo verso la vita è una chiave per il successo.

Luca Cotecchia Mancini

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