ROMA – L’eccidio perpetrato il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla, nei pressi di Pola, le cui matrici apparvero subito chiare alla cittadinanza del capoluogo istriano, protagonista nel successivo inverno di un Esodo che avrebbe coinvolto il 92 per cento della popolazione, venne motivato anche ufficialmente nel 2008 quale atto attribuibile all’OZNA, grazie all’apertura degli Archivi inglesi del Foreign Office. La stampa d’informazione, con riguardo prioritario a quella giuliana, volle conferire il giusto risalto alla notizia (1).
E’ il caso di ricordare che negli anni successivi i Caduti di Vergarolla, pari ad almeno un centinaio, senza contare un numero ancora più alto di feriti (2), sono stati oggetto dei riconoscimenti ufficiali concessi dal Presidente della Repubblica ai sensi della Legge 30 marzo 2004 n. 92, nella parte che statuisce il conferimento di una Medaglia “ad honorem” ai Martiri delle Foibe od altrimenti massacrati dai partigiani di Tito, previa domanda da parte degli aventi causa, fino al sesto grado di parentela (3).
La conferma della tradizionale interpretazione di Vergarolla, ormai acquisita nella memoria storica degli Esuli, in particolare dalla città di Pola, come delitto assimilabile a quelli delle foibe, delle fucilazioni e degli annegamenti, ha trovato ampia eco, secondo logica, anche nella stampa dell’Esodo, ma nello stesso tempo ha alimentato una nuova fioritura di studi, talvolta in chiave decisamente negazionista (4), e più spesso in un’ottica di più ampio respiro, aperta ad ipotesi alternative di varia estrazione (5).
E’ singolare che queste nuove attenzioni della storiografia per la tragedia di Vergarolla (la più grande strage avvenuta nel Novecento italiano in periodo di pace e per cause non naturali) siano venute alla luce dopo la “conferma” di Londra circa la responsabilità dell’OZNA, e per quanto riguarda le più recenti, dopo l’ingresso della Croazia nella Casa comune europea, avvenuta il 1° luglio 2013. In ogni caso, si tratta di un fatto potenzialmente positivo, se non altro alla luce della corretta metodologia storiografica moderna, secondo cui ogni approfondimento è sempre utile, sia per discutere verità acquisite, sia per giungere alla conferma di assunti già consolidati.
Va tenuto conto, ad un tempo, che ogni storia finisce per essere interpretata alla luce dei problemi e delle concezioni attuali, anche quando l’evento, assieme alle sue stesse matrici, sia “lì che parla a chi lo vuol sentire” (Giusti). Ciò significa che ogni interpretazione deviante, se non addirittura rivoluzionaria, come alcune di quelle che sono state proposte per la tragedia di Vergarolla, avrebbe bisogno di prove inconfutabili, cosa che finora non è avvenuta, e che allo stato delle cose appare quanto meno velleitaria.
In effetti, la ricerca di più ampio respiro, che è quella di Gaetano Dato (giovane storico alla sua opera prima), non giunge ad alcuna conclusione, ma si limita a proporre un ventaglio di alternative da approfondire con ulteriori indagini di campo che dovrebbero essere affidate, secondo l’Autore, ad una Commissione internazionale di esperti, appartenenti ai vari Paesi interessati (Italia, Croazia, Slovenia, Gran Bretagna, Stati Uniti): un disegno indubbiamente suggestivo, ma dagli oneri e dai tempi imprevedibili, e tanto più arduo se si pensa a quanto accadde, anni orsono, con la conclamata Commissione di studio italo – slovena.
Del resto, è proprio Dato ad avere affermato sin dall’introduzione che ogni documento, per divenire “autentico”, ha bisogno di verifiche e di controprove; ma nello stesso tempo, ha dichiarato di non potersi dare soverchio affidamento alle testimonianze orali, qualora non siano a loro volta comprovate. Non a caso, il giovane storico piemontese definisce sostanzialmente inattendibile anche quella di Lino Vivoda, già Sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio, che a Vergarolla perse il fratellino ed altri congiunti, e che ha rivelato come uno degli autori materiali della strage (comunista di provata fede) si fosse tolto la vita nel 1979, sopraffatto da un pentimento largamente tardivo.
Lo studio del Dato, al pari di quelli sostanzialmente coevi di Claudia Cernigoi e di William Klinger, sottolinea un fatto oggettivo: quale interesse poteva avere la Jugoslavia a promuovere una strage così efferata quando, il 18 agosto 1946, sussisteva già la sostanziale certezza del prossimo trasferimento di Pola sotto la sovranità della Repubblica Federativa? In effetti, la decisione dei cosiddetti “Quattro Grandi” era già stata presa dai primi di luglio, nonostante talune resipiscenze sudamericane. Al riguardo, soccorre l’interpretazione dello stesso Klinger (6), secondo cui la strage avrebbe potuto essere stata ordita ugualmente dall’OZNA, sia pure con altra motivazione: non già quella di incentivare l’Esodo, a cui nove decimi dei cittadini di Pola si era dichiarata pronta non appena conosciute le decisioni di Parigi, bensì quella di demoralizzare la “resistenza” italiana, che in realtà sarebbe rimasta silente, o meglio rassegnata, fatta eccezione per il clamoroso e coraggioso gesto compiuto dalla patriota fiorentina Maria Pasquinelli, contestualmente alla firma del “diktat”.
Ciò non significa che Gaetano Dato non abbia portato contributi importanti alla storia di Vergarolla: ad esempio, per quanto riguarda la questione, generalmente ignorata, degli indennizzi ai familiari delle Vittime ed ai circa duecento feriti. Sostanzialmente, furono elemosine o poco più, elargite dal GMA con un contagocce a dir poco discriminante, e soprattutto, a titolo di pura e semplice assistenza solidale, onde evitare qualsiasi ammissione di responsabilità, peraltro palese: infatti, le bombe erano stoccate sulla spiaggia ed avrebbero dovuto essere gestite dal Governatorato britannico, o meglio consegnate alla Jugoslavia quale “bottino di guerra” (cosa che non avvenne, data la compromissione dei rapporti anglo-jugoslavi culminata nell’abbattimento di un aereo inglese da parte dell’aviazione di Tito, e dell’atterraggio forzato di un altro, a seguito di probabili sorvoli dello spazio sloveno).
Una parte significativa dello studio è dedicata al ruolo del cosiddetto revanscismo italiano, e nel suo ambito, di una “pista” di estrazione monarchica o neo-fascista in cui trova spazio una lunga silloge dell’esperienza di Maria Pasquinelli; nondimeno, come rileva l’Autore, si tratta di semplici ipotesi, confortate solo dal possibile supporto indiretto che avrebbe potuto derivare alla causa italiana dal contenzioso anglo-jugoslavo, peraltro risolto abbastanza rapidamente, ed in ogni caso inidoneo a scatenare un vero e proprio conflitto. Dato, sulla scorta di un’intervista piuttosto improbabile rilasciata da una Pasquinelli quasi centenaria, insinua che Maria, quel giorno, doveva essere a Vergarolla, ma si salvò perché “scelse una spiaggia diversa”. Cosa che accadde a tanti altri, come da precise testimonianze: tutti possibili implicati nell’attentato?
La ricerca, a parte qualche digressione di fantasia che non obbedisce ai canoni storiografici eccenziali, è comunque documentata, a fronte di vari sopraluoghi negli Archivi alleati ed in quelli della ex Jugoslavia, per non dire della stampa d’epoca (7). Da questo punto di vista, l’opera costituisce una base di utile conoscenza integrativa, anche se compie ampie digressioni su fatti importanti nell’ottica internazionale, ma di scarsa rilevanza per quanto concerne la storia specifica di Vergarolla.
Allo stato delle cose, che altro dire? Dopo quasi 70 anni, non è facile che ulteriori indagini possano portare nuovi lumi, di cui le Vittime, accomunate in una “pietas” totalitaria, hanno bisogno ovviamente relativo!
Conforta sapere che nella commemorazione istituzionale di Vergarolla tenutasi alla Camera dei Deputati il 13 giugno per iniziativa dell’On. Marina Sereni e dell’On. Laura Garavini, sia stato osservato – per la prima volta in un’Aula parlamentare – un minuto di silenzio in memoria di quei Martiri incolpevoli: un silenzio commosso, che si ricollega idealmente a quello del 10 febbraio 1947, quando l’Italia intera volle fermarsi, a mezzogiorno, in segno di protesta contro la firma del trattato di pace che in quello stesso istante toglieva all’Italia la sovranità su gran parte della Venezia Giulia, su Fiume e sulla Dalmazia.
In altri termini, sembra che esista una disponibilità del sistema pubblico per attirare nuove attenzioni sull’eccidio di Vergarolla, o più generalmente, sulla tragedia di un intero popolo; e nello stesso tempo, sull’Italia “fuori d’Italia” che naturalmente non è solo quella dei 30 mila croati e sloveni italofoni, ma anche quella degli 80 mila Esuli emigrati all’estero e dei loro discendenti, alcuni dei quali tuttora in condizioni di spiccata povertà, senza che la Madrepatria abbia riservato nei loro confronti attenzioni analoghe a quelle promosse ed attuate, con ampia larghezza di mezzi, a favore delle comunità “italiane” dell’Istria e di Fiume..
Sarebbe commendevole che il legislativo e l’esecutivo si interessassero in modo non formale anche degli Esuli più lontani, dall’America all’Australia; e prima ancora, sarebbe congruo e funzionale destinare l’impegno prioritario del sistema pubblico ad obiettivi più immediati e soprattutto meno onerosi, rispetto a quelli rivenienti da una Commissione internazionale destinata ad operare in tempi necessariamente lunghi.
Al riguardo, basti pensare ad interventi privi di qualsivoglia gravame sulla finanza dello Stato, come la proroga della legge 30 marzo 2004 n. 92 nella parte riservata ai conferimenti di onorificenze in ricordo dei Caduti (8); la piena vigenza della legge 15 febbraio 1989 n. 54 in materia di anagrafe (9); la revisione di testi in cui si promuove la “lezione” di un trattato di pace che avrebbe “restituito” alla Jugoslavia terre ad essa sottratte nel 1918 (peccato cha all’epoca il nuovo Paese balcanico non fosse ancora esistente); la revoca ormai simbolica delle pensioni privilegiate agli infoibatori ed ai loro eredi, aggravata da una condizione anticostituzionale di maggior favore che ne previde la reversibilità totale a favore del coniuge superstite; la tutela delle tombe e dei monumenti italiani in Slovenia e Croazia, idonea – se non altro – a prevenire la tristezza dei “lapidari” italiani in alcuni cimiteri istriani, costituiti da un semplice ammasso di pietre dissestate, prive di ogni adeguato intervento di manutenzione ordinaria.
E soprattutto sarebbe giusto fare in modo che gli ignari sappiano e gli altri ricordino, onorando un’immensa moltitudine di vinti incolpevoli, all’insegna della speranza, della giustizia e della fede.
carlo cesare montani – Esule da Fiume
carlomontani@alice.it
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