SOLOFRA – Diritto alle cure palliative e danno da perdita di chance anche se il male è incurabile: interviene la Cassazione rilevando che l’omessa diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento cosiddetto palliativo, può determinare un danno al paziente che nelle more non può fruire nemmeno delle cure palliative e deve sopportare le conseguenze del suddetto processo. La mancata diagnosi di tumore incurabile, quindi, è riconosciuta dalla Cassazione come un danno da perdita di chance e apre nuove considerazioni sul diritto alle cure palliative.
Si tratta di una sentenza di fondamentale importanza, come sottolinea il dottor Sergio Canzanella, manager per l’Italia meridionale dell’European Cancer Patient Coalition, nonché componente della Commissione Cure Palliative della Regione Campania e dirigente dell’Associazione House Hospital onlus, il quale entra nel merito della questione.
“La Cassazione civile sezione III, con sentenza 23 maggio 2014, numero 11522, torna a occuparsi – commenta il dottor Canzanella – di danno da perdita di chance, rilevando che l’omessa diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire, può determinare un danno al paziente, che non può fruire nemmeno delle cure palliative e deve sopportare le conseguenze del processo morboso”.
“Il caso preso in considerazione dalla Cassazione – spiega il dottor Canzanella – riguarda un paziente che entra in ospedale per un intervento al ginocchio. Prima dell’intervento il chirurgo ortopedico lo sottopone a una serie di esami di routine, tra cui una radiografia toracica, dalla quale si evince la assai probabile presenza di una massa tumorale nei polmoni, tanto che si consigliava di approfondire gli accertamenti mediante una Tac. Purtroppo, l’ortopedico procede nel suo lavoro senza tenere minimamente in considerazione la cosa e senza disporre ulteriori indagini. L’intervento al ginocchio riesce perfettamente, ma il paziente peggiora rapidamente e pochi mesi dopo muore. E non per le conseguenze dell’intervento, anche se essere sottoposto a un intervento chirurgico non indilazionabile nelle sue condizioni non poteva considerarsi una scelta molto avveduta. Gli eredi intentano causa, ma si vedono dare torto sia in primo e sia in secondo grado. I giudici di merito rilevavano, infatti, che il paziente era affetto da una patologia non curabile e non operabile. Non era stato possibile accertare, tramite apposita Ctu, né la sussistenza di un qualche rapporto tra l’intervento al ginocchio e il crollo delle condizioni del paziente, né se la tempestiva diagnosi avrebbe permesso di sottoporre il paziente a cure tali da evitarne il decesso. Il medico e l’ospedale si erano difesi affermando che una diagnosi tempestiva non avrebbe cambiato nulla, quanto a esito infausto del decorso patologico, e gli attori non avevano avuto modo di fornire una prova contraria. La sentenza della Cassazione ribalta il decisum dei giudici di merito e in parziale accoglimento del ricorso principale cassa con rinvio la sentenza d’appello, ritenendo che l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, anche se si tratta di un male incurabile e sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona. Infatti, come rileva la Cassazione, lo sfortunato paziente non ha potuto fruire di tale intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze. Ciò che pare più rilevante è che la Cassazione ritenga risarcibile non solo la perdita della possibilità di guarire, ma la perdita della possibilità di condurre una vita migliore. Un danno così configurato potrebbe richiamare il peggioramento della qualità della vita che caratterizzava il danno esistenziale, ma ci pare di poter affermare che questo sia, a tutti gli effetti, un danno alla salute”.
C.S.