Venerdì 24 aprile: Gigi Savoia e Giuseppe Zeno omaggiano l’autore stabiese in “Io, Raffaele Viviani”

Venerdì 24 aprile: Gigi Savoia e Giuseppe Zeno omaggiano l’autore stabiese in “Io, Raffaele Viviani”

NAPOLI – Dopo l’ampio consenso ottenuto, per la seconda stagione consecutiva, con Festa di Montevergine di Raffaele Viviani, per la regia di Lara Sansone, la programmazione del Teatro Sannazaro di Napoli proporrà un prezioso omaggio all’autore stabiese, ospitando, venerdì 24 aprile 2015 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 26), Gigi Savoia e Giuseppe Zeno in Io, Raffaele Viviani di Antonio Ghirelli e Achille Millo, per la regia di Antonio Ferrante.

Ad affiancarli, in scena, saranno le voci di Lalla Esposito e Francesco Viglietti, accompagnati dalle musiche di Viviani, eseguite dal vivo dai maestri Vittorio Cataldi e Sandro Tummolillo. L’allestimento, presentata da TTR e CGE, si avvale dell’impianto scenico a cura di Giuseppe Zarbo e i costumi di Concetta Nappi.

Con questo spettacolo – come si legge nella prefazione di Antonio Ghirelli -, composto esclusivamente di testi drammatici, poetici e musicali del grande autore-attore napoletano, s’intende delineare un ritratto biografico di Viviani e, al tempo stesso, fornire un quadro completo della sua arte.

Come Luigi Pirandello, Viviani lavorò sui personaggi e sulle situazioni del suo mondo poetico, prima sbozzandoli nel verso o nello “sketch” del varietà, quindi sviluppandoli più drammaticamente nella logica complessa della scena. Nella sostanziale aggressività al mondo reale, però, il suo teatro ricorda piuttosto quello di Bertolt Brecht.

Identico è il suo approccio appassionato e furente alle ingiustizie sociali di una Napoli che, prima e dopo di lui, è stata descritta soltanto con i colori sfumati del patetismo mandolinistico; identica la geniale mescolanza di tragico e di comico, di recitato e di musicale, di lirico e di buffonesco.

Perfino l’uso del dialetto, che nella tradizione napoletana restringe e soffoca il discorso, si dilata in Viviani alla riscoperta di una lingua genuinamente popolare, violenta, aspra, cupamente umoristica, disperatamente umana – come le vicende della gente semplice che essa aiuta a capire.

Io, Raffaele Viviani, vuole disegnare il ritratto di un artista e di una città che contestano rabbiosamente la maschera convenzionale che si è voluta applicare sul loro volto. Ogni parola dello spettacolo è estratta dal teatro, dai versi, dalle pagine del grande poeta, come una ballata popolare, un’infernale tarantella di suoni e di voci che rassomigliano, insieme, ad un atto d’amore e ad una maledizione.

Il palcoscenico sarà, quasi, completamente vuoto, eccezion fatta per i tre elementi simbolo del teatro vivianesco: il baule, simbolo del viaggio, l’anneto, simbolo del lavoro e il faro, simbolo dell’emigrazione, cui il regista affianca un quarto elemento, per ripercorrere la leggerezza del teatro di Viviani.

C.S.

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