MILANO – Prima di varcare i tornelli del grande spazio allestito sul territorio di Rho, chi ha letto la presentazione di Expo Milano 2015 si aspetterebbe di trovare una vetrina internazionale realizzata per presentare le tecnologie utili a fornire una risposta a due esigenze fondamentali dell’umanità: garantire il cibo sano a tutti i popoli e rispettare gli equilibri dell’ecosistema. Un momento di riflessione sul compito finalizzato a sfamare chi oggi non ha accesso alle risorse e vive gli effetti di una desertificazione che rischia di ridurre al lumicino le risorse mondiali. E, invece, nell’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, quello che appare è soltanto una grossa sagra, un circo del divertimento sostenuto da un apparato mediatico che lascia in secondo piano quello che dovrebbe essere lo spirito di Expo. Dei 140 Paesi presenti, probabilmente si salvano soltanto in pochi dal giudizio tutt’altro che lusinghiero.
Certo, qualsiasi critica andrebbe associata a una considerazione preliminare. Visto lo scopo, l’esposizione universale dovrebbe essere aperta soprattutto a chi investe sulla ricerca. Chi non investe non ha niente da mostrare e nulla da dire. Sulla base di questa valutazione, appare una conseguenza logica il fatto di trovare sostanzialmente fuori luogo padiglioni di Stati che non investono in questo campo e che esercitano un controllo sulle risorse per sfruttarle in modo egoistico.
Tale discorso riguarda in primis l’Italia, dove i finanziamenti alla ricerca vengono tagliati sistematicamente e i ricercatori sono costretti a emigrare all’estero. Non è un caso, infatti, che il padiglione Italia si presenti come un grosso spot sulla cultura e sui bei luoghi della Penisola, sulla retorica del “saper fare” e della “potenza della bellezza”, senza far minimamente riferimento alle possibilità di combattere problemi come la fame nel mondo o lo squilibrio del pianeta. Ma il Bel Paese non è solo. Il padiglione “pubblicitario” della Gran Bretagna, quello delle scenografie da quiz show del Giappone e quello del “marketing” degli Stati Uniti, rendono bene la misura di un Occidente che mostra la sua faccia peggiore, quella fatta di retorica e di insensibilità verso tutto quello che non è profitto. La presenza di catene come McDonald’s, Eataly e Technogym completano il quadro decisamente desolante.
Tra i pochi Paesi che “salvano la faccia” vi sono sicuramente il Qatar, gli Emirati Arabi e il Kuwait. Nei loro padiglioni c’è sicuramente tanta forma ma anche tanta sostanza. Mezzi tecnologici all’avanguardia per presentare le tecniche sulle quali si sta investendo per non disperdere le risorse e renderle fruibili a tutti. La filosofia, però. come è ben noto, si scontra con la realtà sociale di tali Stati. Insomma, se volete divertirvi ed entrate in contatto con culture differenti, andate all’Expo. Se, invece, pensate di trovare un momento di riflessione sulle grandi questioni mondiali che sono alla base dell’idea di Expo, allora cambiate meta.
Red.