PASTORANO – La Ge.S.I.A. S.p.A., società del gruppo Sorbo guidata da Francesco Passaro (ex amministratore unico e liquidatore della Pignataro Patrimonio srl), incassa una nuova sconfitta al Tribunale amministrativo regionale della Campania, nell’ambito dello scontro “urbanistico” con il Comune di Pastorano.
Come i nostri lettori ricorderanno, il sette febbraio 2014, nel corso di un sopralluogo, i carabinieri del Noe e personale della Asl e dell’Arpac riscontrarono la presenza di tre vasche (una occupata da percolato e le altre due da percolato e rifiuti) non autorizzate, nell’impianto di trattamento dei rifiuti liquidi in contrada Torre Lupara. Inoltre, in prossimità delle vasche di accumulo del percolato vi era una tubazione – scriveva l’Asl – “con raccorderia utilizzabile per l’innesto ad un raccordo a T collegato ad una pompa di rilancio azionabile manualmente”. Questo impianto interrato arrivava fino al canale “Fontaniello – Acqualata”. Al momento del controllo, la tubazione era scollegata, ma il Noe rilevò tracce di liquido sia all’interno che in prossimità del raccordo di rilancio a T, deducendo un possibile utilizzo finalizzato allo scarico del percolato nel canale che attraversa la zona industriale pastoranese.
Per questi motivi , il responsabile del settore tecnico, il geometra Luigi D’Onofrio, ordinò a Passaro – nella sua qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Ge.si.a. spa – di rimuovere entro novanta giorni le opere abusive (le tre vasche e la tubazione di collegamento per lo scarico di percolato nel canale di bonifica). Inoltre, il sindaco Giovanni Diana ordinò la rimozione dei rifiuti contenuti nelle vasche dell’impianto di trattamento dei rifiuti liquidi e il divieto di scaricare il percolato dalle vasche al canale “Acqualata” (leggi qui).
In questi due anni la società che si occupa della gestione dei rifiuti ha presentato prima un ricorso al Tar della Campania, chiedendo la sospensione cautelare delle prescrizioni (rigettata, leggi qui), e poi un ricorso al Consiglio di Stato, il quale ha accolto l’istanza cautelare per permettere agli Enti coinvolti nella vicenda di individure gli adempimenti che la Gesia avrebbe dovuto compiere. Con motivi aggiuntivi, quindi, la questione è ritornata al Tar nello scorso mese di dicembre, dove lasocietà dei Sorbo ha presentato un nuovo ricorso contro il Comune di Pastorano, la Provincia di Caserta, l’Asl di Caserta e l’Arpac; chiedendo l’annullamento – previa adozione di misure cautelari – dell’ordinanza numero 13 del 28.3.2014, con la quale il Comune aveva chiesto la rimozione delle vasche per l’impianto di trattamento dei reflui e di una tubazione di collegamento delle vasche, interrata fino al canale di bonifica denominato Acqualata; e del verbale della Conferenza di Servizi dell’8.4.2015 (convocata a seguito dell’intervento del Consiglio di Stato).
Nell’udienza del 2 dicembre 2015, il Comune ha ribadito che le opere erano state realizzate in assenza del titolo abilitativo e che vanno rimosse. I legali della società, invece, hanno eccepito l’incompetenza del Comune a porre in essere il summenzionato provvedimento e hanno sottolineato che “l’impianto è stato autorizzato, ai sensi dell’art. 208, comma 1 del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che prevede un’autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, comprensiva di ogni permesso e autorizzazione, rilasciata dalla Regione previo svolgimento di una apposita Conferenza di Servizi con gli altri enti interessati. Conseguentemente ogni provvedimento sanzionatorio riguardante i profili autorizzativi o di esercizio risulterebbe di competenza regionale”.
L’ottava sezione – con sentenza depositata il 28 gennaio 2016 – ha stabilito che il ricorso è infondato, come sono infondati i rilievi riguardanti l’incompetenza del Comune sulla questione. “La competenza comunale di vigilanza e repressione in materia urbanistica ed edilizia – scrivono i giudici amministrativi – ben può coesistere, nel caso di impianti come quelli in questione, con le competenze di altri enti o organi come la Regione o l’A.R.P.A.C. su aspetti differenti quali la gestione dell’impianto o la sua sicurezza”. Conclude il Tar: “Il potere esercitato dal Comune è, come indicato, quello inerente alla vigilanza sull’attività urbanistico-urbanistica ed è stato attivato a causa della carenza di titolo edilizio delle opere in questione. Gli aspetti inerenti alla tipologia di attività svolta, all’effettivo utilizzo degli impianti o ai rischi ambientali non hanno, quindi, alcuna rilevanza a questi fini”. Per questi motivi il ricorso è stato rigettato.
Leggi la sentenza: Tar-Gesia-Pastorano
Red. cro.