NAPOLI – Dalla scrittura tragica di Sofocle ed Euripide a quella densa e sarcastica di Antonio Tarantino: la regista e attrice Teresa Ludovico ha scelto la sua riscrittura dei due personaggi femminili per il suo nuovo lavoro Piccola Antigone e Cara Medea, in scena, giovedì 17 marzo 2016 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 20), al Teatro Elicantropo di Napoli.
Presentato dal Teatro Kismet OperA di Bari, l’allestimento vede i protagonisti in scena, Teresa Ludovico e Vito Carbonara, impegnati in un monologo tragico e graffiante, avvolti dallo spazio e le luci a cura di Vincent Longuemare.
Rivisitate e ricostruite ma non meno drammatiche, le due storie si avvicinano: una prostituta e il suo cliente che scoprirà essere suo padre Edipo, Piccola Antigone, e un’ex deportata che dopo aver ucciso i suoi figli, raggiunge il suo Giasone, Cara Medea.
Le protagoniste creano con le loro storie un viaggio in quella modernità che ci sta lacerando, e che, anche se in modi diversi, ci infligge dolore e ci logora.
Antigone e Medea si liberano con parole feroci e banali per sfuggire, spesso, al dolore di un vivere quotidiano che le stringe in una morsa inesorabile e le paralizza. Il risultato di tutto questo è il continuo interrogarsi con tante domande, una delle quali: l’altro. L’opera rispecchia lo stile drammaturgico di Tarantino, che non risparmia allo spettatore parole forti, dure e pungenti.
Attraverso due donne simbolo della mitologia greca, lo spettacolo propone una vera e propria trasposizione in chiave moderna di un modello di donna contemporanea: disperata, dilaniata e alla fine annoiata.
Una donna che sopperisce al banale con il banale stesso, che si accompagna a un uomo che, al contempo, anela e distrugge, ora Edipo, ora marito; una figura, che, con il proprio “divampare femminino” e discorsi che investono tutto, mette in ombra ogni cosa la circondi, in modo particolare la figura maschile.
L’accostamento tra le figure di Antigone e Medea e la loro collocazione nella storia recente, entro sobborghi di città degradate e distrutte dagli eventi bellici, offre, dunque, un tentativo di decostruzione di una essenza: quella di donne deboli e, allo stesso tempo, forti. Donne che hanno inciso nella storia e nella letteratura, portatrici di antiche ferite mai rimarginate, e che sono rese, attraverso il filtro della modernità, tormentate dalla banalità, affette dall’isteria dell’eloquio, per colmare i vuoti della noia.
Non importa il tempo in cui si trovano, ciò che conta è l’azione del racconto, in cui, la protagonista, su uno sfondo erotico e decadente, è, in entrambi i casi, una donna forte e sfacciata, delusa dalla vita e scettica davanti a qualsiasi possibilità di cambiamento.
C.S.