È proprio il caso di annunciarlo con un suo verso: «… ritorna e ancora ritorna» la poesia di Milo De Angelis con l’ultima e intensa raccolta Incontri e agguati (Mondadori, 2015). E ritornano i temi, i toni, le atmosfere, i luoghi della memoria, le improvvise comparse, la presenza costante delle ombre che, negli anni, hanno dato un’impronta unica alla poesia deangelisiana. In particolare, quest’ultimo libro pare porsi come tappa finale di una formidabile trilogia, iniziata con Tema dell’addio (2005) e proseguita poi con Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010).
Sin dal lontano e mitico esordio con Somiglianze (Guanda, 1976), Milo De Angelis, oggi uno dei maggiori poeti viventi, ha segnato il percorso di una ricerca poetica che si è allontanata vertiginosamente sia dalla lirica tradizionale, sia dagli intenti ideologici di tanta letteratura engagée in voga in quegli anni.
Già a partire dal titolo di quest’ultimo libro, il poeta pare metterci in guardia da un rischio incombente a cui non è, comunque, possibile sfuggire, gettando sul dato esperienziale l’ombra di una minaccia, invisibile sì, ma di cui se ne percepisce, comunque, la pienezza dell’esistenza.
L’opera è divisa in tre sezioni. Nella prima, Guerra di trincea, il poeta è in combutta con la morte, che ben conosce e con cui cerca, inutilmente, di giungere a patti: «… nel 1967, dopo una lunga guerra/ di trincea, dopo una guerra di metri/ guadagnati e persi, iniziai/ una trattativa con la morte». Il verso di De Angelis è come trivella che apre squarci di luce sul frastaglio delle esperienze passate, sulla generale insensatezza del vivere che si avvita, con tragicità, attorno al nulla che divora tutto e tutti.
Nella seconda sezione, Incontri e agguati, le parole giungono come da lontano, da un tempo remoto dove il poeta riesce a ritornare per immolarsi nella titanica sfida di salvare un frammento della propria e dell’altrui storia, leggerlo come un graffito che giunge dalla notte dei tempi, sondarne le oscure ragioni e provare a uscire dal «vuoto mai estinto nella fronte». E allora ritornano i dettagli di un passato che vedono il poeta studente del liceo Gonzaga a Milano, o assiduo frequentatore dei campetti di calcio dove, ancora adesso, ritrova le ombre che gli furono amiche. Dettagli solo apparentemente depositati come inerti detriti nello scivolare dei giorni. E riaffiorano le interrogazioni, l’immenso cortile del liceo, le prove scritte, l’amico della classe terza perduto tra i binari della stazione, oppure le prodezze calcistiche che tagliano gli anni come solo può fare un tiro preciso a fil di palo, che s’insacca per sempre «in una galleria di anni e di domeniche piovose». Scuola e sport si fondono in una metafora sublime della vita e del destino: «…e c’erano/ già i numeri sulla maglia, i numeri giusti per ciascuno,/ e si avvicinava, con il suo sorriso vivente, il volto/ della partita».
Infine, in Alta sorveglianza, un terribile fatto di cronaca ci conduce nel carcere di Opera, nel «corridoio delle mille anime vaganti», un carcere di massima sicurezza in cui il poeta lavora come docente e dove raccoglie la drammatica storia di un detenuto che sconta il suo delitto, «dove ogni mese può essere infinito/ o mancare per sempre/ … dove ogni ora d’aria è avvelenata/ e ogni parola trova un movente». E il corpo non ha più la libertà e lo slancio come nello sport. Ora è bloccato in un «immobile trasloco» dove si ripete all’infinito «il minuto esteso della morte».
Una poesia, questa del De Angelis degli ultimi anni, che registra, forse, un sussulto di accessibilità, di comunicabilità, rispetto al passato. Si pensi ad esempio all’oscurità di Millimetri (Milano, 1983) con la secchezza del suo verso che s’incuneava rapido, a scatti, come lama che taglia. Ora, invece, disperatamente, il poeta sembra chiedere ascolto, chiama tutti a raccolta per presentarsi in ordine «al sacro appuntamento/ dell’ultimo minuto».
La voce di De Angelis, pur rimanendo sempre rarefatta, avvolta in un manto di mistero, produce una eco che ci accompagna, con fraterna solidarietà, nel labirinto dei giorni.
Un libro sul sofà. Marzo 2016.
a cura di Giovanni Nacca
Rubrica mensile su un libro da leggere o rileggere.
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