Col suo ultimo lavoro Silvio Perrella (Palermo, 1959), critico acuto, oltre che narratore e giornalista brillante, raccoglie il meglio dei suoi interventi critici apparsi su giornali e riviste a partire dal 1986 sino ad oggi, coprendo in tal modo un trentennio delle nostre vicende letterarie.
È un po’ come ritrovarsi tra le mani un’affollata foto di gruppo con gli autori italiani che hanno appassionato Perrella sin da giovanissimo e che oltre ad essere un omaggio ad essi, forse risponde anche all’intima necessità di sventare il rischio che la meticolosa mappatura delineata negli anni, finisca per disperdersi come una nebulosa anziché irradiare la luce di una personale costellazione.
Il titolo – è un verso di Eugenio Montale – suona come commiato della fervida stagione letteraria dei ‘padri’ in cui era ancora possibile riscontrare che «gesto stilistico e gesto vitale spesso coincidono» richiamando, peraltro, un concetto esposto da Carlo Bo, nel lontano saggio Letteratura come vita(1938).
Nelle tre sezioni che scandiscono gli ultimi tre decenni, scorrono autori noti e altri meno noti. Tra i primi, la triade Calvino, Parise e La Capria, che più di altri rappresenta l’universo letterario di Perrella dedicandovi anni di studi e di cure, confluiti in opere fondamentali come: Calvino (Laterza, 1999), frutto di quella ‘calvinite’ di cui l’autore stesso riconosce di essere stato affetto; Fino a Salgareda (Neri Pozza, 2005) sulla figura e sull’opera di Goffredo Parise – che con pudore compare sulla copertina di Addii, fischi… –; mentre nel 2014 cura e introduce il Meridiano Mondadori dedicato allo scrittore napoletano Raffaele La Capria.
Tra coloro che, a torto, vengono generalmente considerati ‘minori’, troviamo figure eccezionali come Cesare Garboli, Carmelo Samonà, Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Ermanno Rea ed altri ancora. La raccolta, che assume un’intima compattezza, finisce, inevitabilmente, col parlare di libri che richiamano altri libri e non poche volte, oltre a tracciare precise traiettorie interpretative, è possibile conoscere le lunghe fasi di gestazione di alcune opere. È il caso della complessa, immaginifica, ma razionale architettura de Le città invisibili (1972) di Calvino, o della costituzione semplice e naturale delle rapide narrazioni dei Sillabari (1972) di Parise, o ancora della voce acquatica della scrittura di La Capria in Ferito a morte (1961), romanzo ambientato in una Napoli scivolata oramai dalla Storia dove il protagonista diventa l’emblema stesso della città pietrificata nel trascorrere spietato del tempo. Si tratta di opere che suscitarono polemiche, più o meno sotterranee, con larvate accuse di disimpegno da parte della critica militante, in anni in cui sopravvivevano ancora numerosi ‘suonatori di piffero’, impegnati a rispolverare la posizione ideologica che nel 1946 Togliatti assunse nei confronti di Elio Vittorini, direttore del «Politecnico», sul ruolo che avrebbero dovuto avere la cultura e la letteratura.
Altro picco emotivo si registra negli scritti che Perrella dedica ai ‘suoi’ napoletani, figure nobilissime come Compagnone, Rea, Incoronato, Prisco, Pomilio, Striano ed altri (è il caso di ricordare che Napoli è la città in cui il critico vive a partire sin dagli anni ‘70, dopo aver lasciato la nativa Palermo). La Ortese – altra napoletana d’adozione – nel feroce reportage Il silenzio della ragione a conclusione del famoso Il mare non bagna Napoli (1953) accusava scrittori ed intellettuali napoletani di essere stati responsabili dell’immobilità in cui la città era sprofondata dopo la breve illusione di rinascita del dopoguerra. A farne le spese soprattutto Luigi Compagnone e Mimì Rea, ma colpi bassi furono inferti pure a Michele Prisco, Raffaele La Capria, Luigi Incoronato e a Pasquale Prunas, mitico direttore della rivista «Sud» che seppe tessere un breve, ma intenso momento di vibrante dialettica, artistica ed ideologica, con la nuova realtà. Ma la vocazione della Ortese a leggere il mondo solo attraverso una perenne lente scura (titolo di alcuni suoi scritti di viaggio) fece calare, ingiustamente, su Compagnone e Rea, una spessa nebbia, offuscandone per anni, biografie e produzione letteraria. Una ripresa di questa indagine ‘napoletana’ fu poi compiuta più tardi da Ermanno Rea col libro Mistero napoletano (1995) che costituisce un autentico capolavoro di scrittura e di inchiesta su quegli anni cruciali per la città partenopea.
Non mancano poi, lampi che imprimono sulla retina anche poeti come Sereni, Caproni, Saba e Fortini, in virtù di una passione che Perrella nutre verso la poesia – da anni cura una seguitissima rubrica su «Il Mattino» di Napoli – tanto da condividere le riflessioni di Montale e di Calvino, solo apparentemente contrapposte, sulla feconda commistione tra prosa e poesia, e come l’una possa essere il ‘semenzaio’ dell’altra e viceversa.
Occorre, dunque, essere grati a Silvio Perrella per la bella sorpresa di questo libro che, quasi con naturalezza, nel suo assemblarsi, offre una convincente geografia letteraria e civile di quella generazione di ‘padri’ e ‘madri’ che, nata tra le due guerre mondiali, fu protagonista di una drammatica stagione storico-politica, per cui l’autore non fatica a riconoscere che «contribuì, sia pure indirettamente, a scrivere la Costituzione, che ancora oggi è considerata una delle poche leggi italiane che non siano dettate dai soliti e italici azzeccagarbugli».
Un libro sul sofà. Settembre 2016.
a cura di Giovanni Nacca
Rubrica mensile su un libro da leggere o rileggere.
da http://www.pignataromusica.it/