SPARANISE – Domenica scorsa l’ex tabacchificio di Sparanise è andato in fiamme. L’incendio, di evidente origine dolosa, è partito da più punti contemporaneamente, nel tentativo di incenerire tutto. Compresi solventi, materiali tossici e tettoie in amianto.
Non si è trattato dunque di un caso, non è stata una disgrazia, ma una azione cosciente tesa a far sparire per sempre (e fisicamente) un luogo simbolo della produzione industriale locale, già divorato dalla crisi del settore e da scelte proprietarie che lo hanno portato alla progressiva chiusura e conseguente dismissione.
Nei ricordi degli sparanisani c’è ancora il suono della sirena che annuncia la fine del turno e l’immagine dello spiazzale pieno delle auto di chi aspetta un familiare o un amico uscire dal lavoro. Decine di camici blu, di operaie e operai, comparivano una volta da dietro quei cancelli oggi consumati dalla ruggine, dall’incuria e dai segni del tempo inesorabilmente andato.
Non più lavoro né salario. Oggi del tabacchificio restano solo i capannoni abbandonati e ricoperti di amianto. Lo scarto di quella stagione di sviluppo è rappresentato ormai da una spada di Damocle, dalla bomba ecologica che rischia di scoppiare ancora una volta.
Come per l’ex Pozzi, la storia del tabacchificio è la storia di un miraggio. La fata morgana inafferrabile del benessere salariale, del sud che progredisce, di un lavoro stabile sotto casa. Un miraggio, appunto, che è durato pochi anni e che ben presto ha mostrato i lati oscuri, tra impatto ambientale, sfruttamento, cassa integrazione, imbrogli e un fallimento che è la cifra dello spessore morale e umano di chi lo ha causato.
Spettatori muti di questa umiliazione i politici locali, i partiti e le organizzazioni sindacali che sono tali solo per un tragico eufemismo di un mondo che funziona all’incontrario.
Eppure oggi una buona notizia sembra arrivare. Finalmente, dopo decenni di tira e molla, la struttura dismessa è stata inserita nel piano regionale delle bonifiche e la giunta guidata da Salvatore Martiello imbastirà una gara d’appalto grazie ai fondi del ‘Patto per il Sud’. I soldi, 7 milioni di euro, sono stati stanziati e la programmazione degli interventi è ad uno stadio avanzato. Ad anticiparli sarà la Regione che si rifarà sugli attuali proprietari, i quali dovranno per questo rimborsare fino all’ultimo centesimo. Pena il pignoramento di ogni bene presente nell’area fino al rimborso totale.
Come mai, dunque, proprio ora arriva l’attacco organizzato finalizzato alla distruzione dell’ex tabacchificio?
Bene, noi non possiamo saperlo. Quello che possiamo fare è muoverci nel campo delle ipotesi. Ed ogni buona ipotesi investigativa non può che partire da una fatidica, elementare, domanda: Cui bono? A chi gioverebbe un disastro ambientale senza precedenti che avvelenerebbe irreparabilmente un intero paese, la sua comunità?
Naturalmente a nessuno. A nessun uomo degno di questo nome. A meno che non volessimo ammettere che possa esistere qualcuno tanto vigliacco e senza scrupoli, da essere disposto a seppellire sotto tonnellate di fibre di amianto uomini, donne, bambini, animali e vegetazione pur di risparmiare sui costi di una bonifica che da qui a poco rischia di realizzarsi sul serio.
Se così dovesse essere, se quello che è successo domenica scorsa è stato l’effetto di un piano terroristico mal riuscito, dovremmo aspettarci che ci riprovino. E se così sarà, se riusciranno a dare fuoco a tutto alla vigilia della bonifica, ci ritroveremmo di fronte ad una catastrofe annunciata, consumata ancora una volta sotto lo sguardo muto di istituzioni talvolta complici, spesso omertose.
Teodosio Lepore (teodosio.lepore@gmail.com)