TORINO – Siamo la civiltà del brutto, la cultura moderna che produce megalopoli onnicomprensive di muri e baracche, opere faraoniche di cattivo gusto. Intorno a questa idea si articola la riflessione di Salvatore Settis nel libro “Architettura e Democrazia”, risultato di sei lezioni tenute dalla cattedra intitolata a Francesco Borromini all’Università della Svizzera italiana di Mendrisio.
Nel corso della presentazione della sua ultima fatica letteraria, che ha avuto luogo oggi (21 maggio) al Salone del Libro di Torino (evento iniziato giovedì 18 e che si concluderà lunedì 22 maggio), l’ex direttore della Normale di Pisa ha tracciato un quadro di quelle che sono le responsabilità dell’architettura moderna nel deturpare l’ambiente e le opere che ci sono state consegnate da un glorioso passato, fatto di arte apprezzata in ogni epoca e in ogni parte del mondo.
I luoghi del vivere sociale, secondo Settis, starebbero assumendo delle forme abominevoli, con pericolose ricadute sulla vita degli individui e sulla loro organizzazione in comune. Ciò diventa pericoloso, soprattutto se consideriamo che le città e le zone rurali incarnano valori condivisi essenziali per la democrazia, un orizzonte di diritti di cui devono tener conto i tecnici – come ad esempio gli architetti – e chi pianifica lo sviluppo del territorio – leggi i politici che si assumono la responsabilità di approvare i piani regolatore.
Di fronte alla nuova forma cittadina che si riconosce in centri iperaffollati, nei quali la ricchezza dei pochi è tutelata da muri e la povertà dei molti è umiliata dalle baraccopoli; di fronte a un’arte moderna che tende a privilegiare la verticalità delle costruzioni (i grattacieli di Dubai che ormai sfiorano i mille metri), anche in contesti urbani storicamente sviluppati orizzontalmente (si pensi alla torre di Intesa San Paolo di Renzo Piano e il palazzo della Regione di Massimiliano Fuksas, i quali rappresentano un cazzotto nello stomaco rispetto a quello che da secoli è lo sviluppo urbanistico torinese), per Settis andrebbe riscoperto lo sviluppo armonico, il rispetto per l’ambiente e il gusto del bello.
Le idee dello storico dell’arte hanno trovato una sponda autorevole nell’architetto Mario Botta e nel direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio. Quest’ultimo ha ricordato che l’articolo 9 della Costituzione italiana tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, mentre chi oggi rappresenta le istituzioni rifila alla collettività grandi opere che non creano economia e che sono oggettivamente di cattivo gusto. La lista, da questo punto di vista, è lunga: il Mose, il vecchio progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle, la baita di piazza Valdo Fusi, ecc. Insomma, tutto andrebbe in senso contrario a quel gusto che è causa e conseguenza di una giusta coesistenza democratica.
Red.