CASERTA – Martedì 6 marzo 2018, ore 20.45
Teatro Comunale Costantino Parravano di Caserta
info 0823444051
Teatro Kismet OperA
presenta
La manomissione delle parole
di e con Gianrico Carofiglio
musiche in scena dal vivo Michele Di Lallo
luci e scene Vincent Longuemare
regia Teresa Ludovico
“Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole, le abbiamo rese bozzoli vuoti.
Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e ricostruzione.
La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.
La manomissione delle parole include entrambi questi significati. Noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo, nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati). Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie”.
Questo brano è tratto dal romanzo “Ragionevoli dubbi” di Gianrico Carofiglio in cui l’avvocato Guido Guerrieri sfoglia tra le mani La manomissione delle parole, sottotitolo: Appunti per un seminario di scrittura.
Un testo creato dallo stesso scrittore per pura finzione letteraria, che con il tempo prende la forma e la consistenza di un saggio.
La manomissione delle parole è una riflessione sull’uso dei termini, sulla loro funzione, sul valore che essi hanno nella costruzione delle storie di ciascuno di noi, tanto da essere pilastri della nostra vita etica e civile. Fondamenta che sempre più spesso vengono logorate dall’abuso e dalla manipolazione dei significati.
Come si fa a ridar loro la dignità che meritano? Per Carofiglio l’unico metodo è manometterli, cioè smontarli e rimontarli nel loro verso originario.
L’autore costruisce un’indagine letteraria politica e giudiziaria a partire da alcune citazioni di personaggi diversissimi tra loro, da Aristotele a Cicerone, da Dante a Primo Levi, da Calvino a Nadine Gordimer, da Obama a Bob Dylan.
L’importanza delle parole, delle parole al potere, è al centro del testo di Carofiglio che ci ricorda che dire è fare e:
Le parole come minime dosi di arsenico, dall’effetto lentamente, inesorabilmente tossico: questo è il pericolo delle lingue del potere e dell’oppressione, e soprattutto del nostro uso – e riuso – inconsapevole e passivo.
Per questo è necessaria la cura, l’attenzione, la perizia da disciplinati artigiani della parola, non solo nell’esercizio attivo della lingua – quando parliamo, quando scriviamo – ma ancor più in quello passivo: quando ascoltiamo, quando leggiamo. Il saggio si concentra sulla necessità di riflettere sul significato delle parole.
L’autore parla di vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta, 5 termini oggi abusati.
Partiamo dalla Vergogna: incapaci di provarla definisce l’attuale contesto politico e sociale italiano, la vergogna sembra investire direttamente e anzitutto se stessa, è vergognoso vergognarsi.
La vergogna appare una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani, perché è lo stigma dell’insuccesso, del fallimento, o semplicemente della frustrazione. Ma solo la capacità di provare vergogna implica la capacità di praticare il suo contrario più interessante: l’onore, la dignità, appunto.
La caratteristica della vergogna è di essere un segnale. La capacità di provarla costituisce un fondamentale meccanismo di tutela della salute morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica minacciata.
Il dolore è un sintomo che serve a segnalare l’esistenza di una patologia, in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. Se una persona non riesce a provare dolore, si accorgerà troppo tardi di essere malata.
E lo stesso accade per la vergogna. Come il dolore la vergogna è un sintomo, e chi non è in grado di provarla – siano singoli o collettività più o meno vaste – rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia morale. […] La capacità di provare vergogna decade con la decadenza.
C.S.