Mercoledì 18 aprile Gianrico Carofiglio è autore e interprete de “La manomissione delle parole”, in scena al Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere

Mercoledì 18 aprile Gianrico Carofiglio è autore e interprete de “La manomissione delle parole”, in scena al Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere

SANTA MARIA CV –

Mercoledì 18 aprile 2018, ore 21.00

Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere

Info 0823799612

 

Teatro Kismet OperA

presenta

La manomissione delle parole
di e con Gianrico Carofiglio

musiche in scena dal vivo Michele Di Lallo

luci e scene Vincent Longuemare

regia Teresa Ludovico

 

Prima dello spettacolo, alle ore 17.00, Gianrico Carofiglio sarà ospite alla Libreria Spartaco (via Martucci 18, Santa Maria Capua Vetere) per un incontro con il pubblico condotto dalla giornalista Tiziana Di Monaco.

 

“Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole, le abbiamo rese bozzoli vuoti.

Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e ricostruzione.

La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.

La manomissione delle parole include entrambi questi significati. Noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo, nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati). Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie”.

Questo brano è tratto dal romanzo “Ragionevoli dubbi” di Gianrico Carofiglio in cui l’avvocato Guido Guerrieri sfoglia tra le mani La manomissione delle parole,  sottotitolo: Appunti per un seminario di scrittura.

Un testo creato dallo  stesso scrittore  per pura finzione letteraria, che con il tempo prende la forma e la consistenza di un saggio.

La manomissione delle parole è una riflessione sull’uso dei termini, sulla loro funzione, sul valore che essi hanno nella costruzione delle storie di ciascuno di noi, tanto da essere pilastri della nostra vita etica e civile. Fondamenta che sempre più spesso vengono logorate dall’abuso e dalla manipolazione dei significati. Come si fa a ridar loro la dignità che meritano? Per Carofiglio l’unico metodo è manometterli, cioè smontarli e rimontarli nel loro verso originario.

L’ autore costruisce un’indagine letteraria politica e giudiziaria a partire da alcune citazioni di personaggi diversissimi tra loro, da Aristotele a Cicerone, da Dante a Primo Levi, da Calvino a Nadine Gordimer, da Obama a Bob Dylan.

L’importanza delle parole, delle parole al potere, è al centro del testo di Carofiglio che ci ricorda che dire è fare e:

Le parole come minime dosi di arsenico, dall’effetto lentamente, inesorabilmente tossico: questo è il pericolo delle lingue del potere e dell’oppressione, e soprattutto del nostro uso – e riuso – inconsapevole e passivo.

Per questo è necessaria la cura, l’attenzione, la perizia da disciplinati artigiani della parola, non solo nell’esercizio attivo della lingua – quando parliamo, quando scriviamo – ma ancor più in quello passivo: quando ascoltiamo, quando leggiamo. Il saggio si concentra sulla necessità di riflettere sul significato delle parole.

L’autore parla di vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta, 5 termini oggi abusati.

Partiamo dalla Vergogna: incapaci di provarla definisce l’attuale contesto politico e sociale italiano, la vergogna sembra investire direttamente e anzitutto se stessa,  è vergognoso vergognarsi.

La vergogna appare una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani, perché è lo stigma dell’insuccesso, del fallimento, o semplicemente della frustrazione. Ma solo la capacità di provare vergogna implica la capacità di praticare il suo contrario più interessante: l’onore, la dignità, appunto.

La caratteristica della vergogna è di essere un segnale. La capacità di provarla costituisce un fondamentale meccanismo di tutela della salute morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica minacciata.

Il dolore è un sintomo che serve a segnalare l’esistenza di una patologia, in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. Se una persona non riesce a provare dolore, si accorgerà troppo tardi di essere malata.

E lo stesso accade per la vergogna. Come il dolore la vergogna è un sintomo, e chi non  è in grado di provarla – siano singoli o collettività più o meno vaste – rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia morale. […] La capacità di provare vergogna  decade con la decadenza.

C.S.

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