NAPOLI – Nel suggestivo scenario naturale del parco più bello di Napoli, sabato 28 luglio 2018 alle ore 21.00 (repliche fino a lunedì 30), la storia di Coletta Esposito scivolerà fuori dalle pagine, e prenderà vita sulle assi di legno di un palco a forma di ruota, la ruota dell’Annunziata, ne La Medea di Portamedina di Francesco Mastriani, con la drammaturgia e la regia di Annamaria Russo
Presentato da Il Pozzo e il Pendolo Teatro di Napoli, l’allestimento si avvale dell’interpretazione di Rosaria De Cicco, Marianita Carfora, Giuseppe Gavazzi, Peppe Romano, Alfredo Mundo, Gennaro Monti, Sonia De Rosa, Paolo Rivera, con la partecipazione di Rita Ingegno, Federica Grosso e Riccardo Maio. Il disegno luci è a cura di Sebastiano Cautiero, i costumi di Annalisa Ciaramella.
Siamo al 19 maggio 1793, Coletta Esposito, una giovane popolana di via Portamedina, uccide la figlia di pochi mesi e getta il corpicino esanime sul sagrato della chiesa, dove si stanno celebrando le nozze dell’uomo che aveva promesso di sposare lei e non quella donna vestita di bianco che stringe sottobraccio.
La donna, poco più che ventenne, assurge agli onori della cronaca per il suo terribile delitto, che richiama alla tragedia greca. La popolana dal nome oscuro sarà ribattezzata la Medea di Portamedina, e, in quel soprannome, la banalità del male acquista un accento epico. Coletta Esposito, nell’immaginario del popolo napoletano, cessa di essere una donna per trasformarsi in una fiera snaturata. Non possono esserci comprensione e compassione per un delitto che rappresenta un insulto all’amor materno.
Calpestare il più sacro e intoccabile dei sentimenti, imponeva una condanna esemplare: non solo lo “strascinamento” e la decapitazione, ma l’ignominia nei secoli dei secoli.
Così doveva essere e così è stato. I vicoli oscuri del dolore, del disincanto, delle illusioni tradite che avevano condotto Coletta Esposito fino alla piazza in cui era stato allestito il suo patibolo, nessuno ha voluto provare a percorrerli, nemmeno con l’immaginazione.
I suoi vent’anni, massacrati da un destino spietato, scomparivano davanti al corpicino di una neonata, soffocata dalle mani di chi l’aveva portata in grembo.
E’ dalla riprovazione collettiva, dall’indignazione che cancella la pietà, che ha preso vita quest’allestimento. La scrittura teatrale della tragedia di Portamedina nasce come reazione a una domanda urticante: quante donne sottoposte allo strazio di una vita, fatta di tribolazioni inimmaginabili, avrebbero potuto trasformarsi in altrettante Medee?
La messinscena di Annamaria Russo non tenta di dare risposte. Non esistono risposte per la disperazione che nasce dal sangue e si nutre di sangue, ma esistono solo domande dolorose, strazianti, che restano sospese sulla soglia dell’orrore e della compassione.
C.S.