La Dda chiede la confisca dello zuccherificio “Kerò”. Il patrimonio dei Passarelli potrebbe finire allo Stato

La Dda chiede la confisca dello zuccherificio “Kerò”. Il patrimonio dei Passarelli potrebbe finire allo Stato

PIGNATARO M. – Potrebbe essere arrivata ad uno snodo molto importante la lunga vicenda che ha interessato i beni di Dante Passarelli, l’imprenditore morto nel 2004 a Villa Literno e ritenuto organico al clan dei “casalesi”. Nella mattinata di ieri, davanti ai Giudici della sezione Misure di Prevenzione (presidente Raffaello Magi, a latere Paola Lombardi e Roberta Attena), il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Sandro D’Alessio, ha chiesto la confisca del patrimonio che oggi appartiene agli eredi di Passarelli e che ammonta a circa 15 milioni di euro. La lista dei beni è lunga e comprende anche immobili simbolo della presenza della camorra in Terra di Lavoro. Dalla tenuta agricola ex Cirio “La Balzana” di Santa Maria La Fossa alla “Commerciale Europea spa” di Pignataro Maggiore (che impacchetta zucchero e lo commercializza con il marchio “Kerò”), dall’immobiliare Bellavista di Santa Maria Capua Vetere (che gestisce almeno 60 appartamenti tra la città del Foro e Castelvolturno) alle quote societarie e i terreni intestati alla moglie, ai figli e alle nuore di Passarelli.

La Dda di Napoli aveva presentato tale istanza a seguito del pronunciamento della Corte di Cassazione che, con ordinanza numero 21 del 2012 (del 13 febbraio scorso, redattore Lattanzi), aveva legittimato il decreto di sequestro dei beni degli eredi dell’imprenditore. Questi ultimi, infatti, avevano presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro il provvedimento della Procura della Repubblica. L’Ottava Sezione del Tribunale del Riesame di Napoli aveva accolto la richiesta e aveva disposto il dissequestro di tutte le proprietà. Gli avvocati in quella circostanza eccepirono che il presupposto del sequestro era infondato, poiché Dante Passarelli era stato accusato di associazione a delinquere nel processo “Spartacus I”, ma non era stato condannato perché nel frattempo era deceduto. La Suprema Corte, invece, ha chiarito che se il blocco dei beni viene realizzato entro cinque anni dalla morte della persona indiziata di mafia, devono essere gli eredi a difendersi nel procedimento. Confermando, di fatto, la legittimità della norma introdotta nel 2009, la quale consente di sequestrare e confiscare i beni dell’imputato dopo la sua morte.

Il pm Sandro D’Alessio, che nella requisitoria finale del procedimento ha evidenziato la sproporzione tra il valore dei beni posseduti e i redditi dichiarati, ha chiesto la confisca definitiva di beni sequestrati nel 2010: quote societarie, terreni e appartamenti degli eredi Biagio, Davide, Gianluca e Franco (quest’ultimo in carcere) del valore complessivo di circa 15 milioni di euro. Nella prossima udienza prevista per fine mese, interverranno gli avvocati difensori e probabilmente si arriverà al responso della corte.

Secondo quanto scrivono i giudici nella sentenza definitiva del processo, Dante Passarelli era il prestanome del boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”. Non a caso il pentito Raffaele Ferrara sostiene che “Passarelli era vicinissimo ad Antonio Bardellino già alla fine degli anni ’70”, mentre Dario De Simone parla dell’imprenditore come di persona “costantemente al servizio del clan per cambiare gli assegni”. Secondo i magistrati per conto di “Sandokan” avrebbe acquistato la storica tenuta agricola La Balzana, adibita a coltivazione di pomodori dall’azienda Cirio. I figli del defunto avrebbero poi investito il denaro in aziende per il confezionamento dello zucchero, tra le quali la “Commerciale Europea”. I soldi reinvestiti – secondo l’accusa – erano di provenienza illecita e sono stati fatti confluire in alcune società all’apparenza non collegate alla camorra ‘casalese’ e alla capacità economica della famiglia Passarelli. I figli di Dante, consapevoli della provenienza illecita del denaro ereditato e della notevole capacità di riciclaggio che tale capitale era in grado di realizzare, – a detta dei pm della Dda – avrebbero cercato di ‘ripulire’ ulteriormente i soldi attraverso le mogli, in modo da evitare che la provenienza dei beni potesse essere oggetto di ulteriori indagini. Pian piano le vecchie attività sarebbero state sostituite proprio dalla “Commerciale Europea Spa” di Pignataro Maggiore e dall’“Ipam Srl” di Villa Literno.

D.D.

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