PIGNATARO MAGGIORE – Depositate le motivazioni della sentenza con la quale il 16 luglio 2018 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, dottoressa Emilia Di Palma, aveva condannato con il rito abbreviato i fratelli Giuseppe e Gaetano Lubrano (difesi dall’avvocato Gennaro Lepre, del Foro di Napoli) per violenza privata con l’aggravante mafiosa rispettivamente alle pene di un anno e quattro mesi e un anno di reclusione. Con la recidiva specifica per Giuseppe Lubrano. Sospensione condizionale della pena per Gaetano Lubrano. Gli imputati (per il Giudice, “non meritevoli della concessione delle attenuanti generiche”) erano stati altresì condannati al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in un separato giudizio, nonché alla refusione delle spese dalla stessa sostenuta in misura di 1.500 Euro. La richiesta di rinvio a giudizio di Giuseppe e Gaetano Lubrano era stata firmata dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli dottor Fabrizio Vanorio. Parte offesa il giornalista professionista Salvatore Minieri, che si era costituito parte civile con l’assistenza dell’avvocato Maria Grauso, del Foro di Santa Maria Capua Vetere, con studio legale in Camigliano.
I fratelli Giuseppe e Gaetano Lubrano (come è noto, figli del potente e sanguinario defunto capomafia di Pignataro Maggiore, Vincenzo Lubrano) erano imputati “per avere – si legge tra l’altro nel capo di imputazione – in concorso e unione tra loro, mediante minacce, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Salvatore Minieri, giornalista di cronaca giudiziaria del quotidiano “Gazzetta di Caserta”, a desistere dalla sue inchieste, ingiungendogli di non scrivere più articoli sul loro conto e sulla famiglia Lubrano, alleata della famiglia Ligato nel controllo di stampo camorristico del territorio comunale di Pignataro Maggiore e del circondario dell’Agro caleno, avvalendosi delle condizioni di intimidazione ed assoggettamento derivanti dal loro notorio legame familiare con la predetta associazione camorristica, non verificandosi l’evento per ragioni non dipendenti dalla loro volontà e in particolare per la resistenza della persona offesa, che denunciava le pressioni”. In data 18 maggio 2010, i fratelli Lubrano avevano avvicinato Salvatore Minieri nei pressi del cimitero di Pignataro Maggiore “intimandogli con tono minaccioso di smetterla di scrivere altri articoli sulla loro famiglia”. Effettivamente – si legge ancora nel capo di imputazione a carico di Giuseppe Lubrano (pregiudicato, “gravato da gravi precedenti e già sorvegliato speciale”) e di Gaetano Lubrano – il giornalista Salvatore Minieri “anche nei giorni precedenti aveva pubblicato una serie di articoli sulla possibili infiltrazioni della criminalità organizzata in zona ASI del paese e sui risalenti legami di alleanza criminale tra i più pericolosi capimafia di Cosa Nostra siciliana e il clan camorrista Lubrano-Nuvoletta”. Negli atti del processo sono confluiti – come si legge nelle motivazioni della sentenza – “numerosi articoli a firma di Salvatore Minieri pubblicati sulla “Gazzetta di Caserta” tra il 2006 e il 2010, dai quali emergeva come il predetto giornalista si era effettivamente occupato di criminalità organizzata, del clan Lubrano-Ligato e dei rapporti con la politica”. Alla luce delle vicende sopra descritte – ha sottolineato il Giudice dell’udienza preliminare – “sussistono elementi per affermare oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità degli odierni imputati. Pienamente credibile appare la persona offesa e la versione dei fatti dalla stessa resa (…). La persona offesa con dichiarazioni estremamente lineari e coerenti, attraverso un narrato genuino e spontaneo – prima nell’immediatezza alle forze dell’ordine e poi ribadendo le medesime circostanze all’Autorità giudiziaria -, assumendosi la responsabilità ed il rischio, in quanto giornalista operante sul territorio, di quanto riferito, forniva un racconto lineare e dai toni mai esacerbati, circostanze queste che inducono a escludere, in mancanza di elementi di segno contrario, intenti calunniatori”.
Agli atti del processo – a iniziativa della difesa degli imputati – sono anche comparse delle dichiarazioni “rese da persone indicate come informate sui fatti”, Antonio D’Ambrosio, Gianfranco Feola e Vincenzo Lubrano. Ma per il Giudice dell’udienza preliminare “a fronte, peraltro, dell’assenza di qualsiasi ragione per dubitare della credibilità della persona offesa, generiche e del tutto inconsistenti appaiono le circostanze introdotte dalle indagini difensive (…) introducendo, peraltro, in modo strisciante, giudizi di valore volti a screditare la persona del Minieri”. Una pesante bocciatura per le indagini difensive pro-Lubrano.
La sentenza illustra una volta di più in tutta la sua inquietante gravità lo scenario camorristico-mafioso di una famigerata città, Pignataro Maggiore, tristemente conosciuta quale “Svizzera dei clan”.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it