NAPOLI – La voce si fa racconto e trasporta visioni, l’elemento visivo fa da contrappeso a quello verbale, in un solido equilibrio. E’ questo il cuore dell’arte del buon narratore, e il luogo dove si giocano l’abilità e la pratica, ormai, trentennale di Marco Baliani, che porta in scena sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli due spettacoli in successione: Kohlass, in scena sabato 12 e domenica 13 gennaio, e Corpo di Stato, in scena da mercoledì 16 a domenica 20 gennaio. Sempre al Teatro Nuovo, martedì 15 gennaio alle ore 17.30, Baliani terrà un incontro aperto con il pubblico, dal chiaro titolo Sul filo della narrazione.
Gli spettacoli di Marco Baliani sono soliti tracciare storie che hanno al centro il bisogno insaziabile, nell’uomo, di “un posto nel mondo dove sentirsi nel giusto, nel diritto”, proprio secondo le parole di Michele Kohlhaas. La forza interiore, quella di sfidare il destino, la paura e la vita, diventano elementi fondamentali delle scelte personali e del percorso di ognuno.
Kohlhaas è lo spettacolo che ha inaugurato un nuovo modo di fare teatro in Italia, e che ha dato il via alla grande stagione del teatro di narrazione. Uno spettacolo che, però, riprende una tradizione antica, quella del racconto orale.
La storia di Kohlhaas è un fatto di cronaca realmente accaduto nella Germania del 1500, scritto da Heinrich von Kleist in pagine memorabili. E’ la vicenda di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, genera una spirale di violenze sempre più incontrollabili, ma sempre in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena, fino a che il conflitto generatore dell’intera vicenda non si risolve tragicamente, lasciando intorno alla figura del protagonista un’ambigua aura di possibile eroe del suo tempo.
Dopo aver visto e ascoltato Kohlhaas, si potranno meglio comprendere le ragioni di Corpo di Stato. Il delitto Moro: una generazione divisa e il filo che li lega – come rimarca Baliani in una nota – poiché il tessuto è lo stesso: il rapporto conflittuale tra esigenza di rivolta contro l’ingiustizia e assunzione del ruolo di giustiziere.
Questa volta, però, non siamo nella Germania del 1500, ma nel nostro passato prossimo. È sempre difficile raccontare qualcosa che è così vicino a noi, specie se quel qualcosa ha inciso profondamente sulle nostre esistenze e sulle nostre scelte. La materia è ancora così pulsante e non dipanata dalla lontananza, che si rischia allora di leggerla col senno di poi, filtrandola e mettendola a distanza di sicurezza.
Nei cinquantacinque giorni della prigionia di Moro, Marco Baliani racconta di una lacerazione, di come il tema della violenza rivoluzionaria abbia dovuto fare i conti con un corpo prigioniero, e come questa immagine, divenuta spartiacque per scelte fino a quel momento rimandate, abbia fatto nascere domande e conflitti interiori non più risolvibili con slogan o con pratiche ideologiche.
C.S.