PIGNATARO M. – Continua spedito il percorso del processo nato dall’inchiesta “Caleno” e che vede alla sbarra – tra gli altri – il capoclan Raffaele Ligato e i figli. Questa mattina (17 ottobre), davanti alla seconda sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, hanno sfilato altri due testimoni dell’accusa. È stato sentito il comandante dei carabinieri che condusse l’operazione e Luca Viggiano, il titolare della pizzeria d’asporto – secondo l’accusa – taglieggiato dal clan Lubrano – Ligato. Il primo ha confermato quanto emerso dalle indagini svolte all’epoca. Il secondo, invece, ha negato di aver mai ricevuto richieste estorsive. L’udienza di stamane si è aperta con le dichiarazioni spontanee di Pietro Mercone (imputato, oltre che con i Ligato, insieme a Primo Letizia, Michele Lettieri e Maurizio Mauro), il quale ha respinto ogni accusa, ammettendo di essere soltanto un tossicodipendente. Venerdì prossimo (19 ottobre), intanto, sul banco dei test salirà Vincenzo Aversano, altra freccia nell’arco del pm e indicato come uno degli imprenditori sotto estorsione (era il socio di Francesco Iovino, il costruttore di Pastorano, meglio noto come ‘zio Franck u merican’). In seguito si ritornerà in aula il 24, il 25 e il 26 ottobre. Proprio l’udienza di mercoledì prossimo sarà riservata al controesame da parte del collegio difensivo, del collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone, che questa mattina ha rinunciato a rendere dichiarazioni spontanee, come avevo diversamente preannunciato ieri.
Intanto, resta al centro del processo la lunga deposizione resa dal pentito nell’udienza di ieri. Il suo racconto è sembrato una cascata di informazioni rese con dovizia di particolari e interrotta soltanto dalle domande del pm della Dda di Napoli, Liana Esposito. Pettrone ha ammesso di essere stato affiliato al clan dal 1998 al 2007, anche se, già dal 1992, quando offriva i suoi servigi (criminali) al clan Piccolo di Marcianise, effettuava estorsioni su “autorizzazione” dei Ligato. “Uccello” ha descritto la composizione del clan, nella componente costituita dalla famiglia Ligato. Secondo il pentito, al vertice c’era Raffaele Antonio Ligato che, con la latitanza e la successiva carcerazione, fu sostituito dal figlio Pietro (per quanto attiene la famiglia Lubrano, il controllo era nelle mani di Vincenzo Lubrano). Gli affiliati erano: l’altro figlio del vecchio capoclan, Antonio, Pietro Mercone, Luigi Messuri, Antonio Palumbo (alias “micione”), Michele Lettieri, “u ghiacc” (probabilmente Fabio Di Gennaro), Maurizio Mauro, Antonio Izzo (già condannato in Appello a 2 anni e 8 mesi di reclusione). Il clan aveva disponibilità di armi e di droga, che vendeva in regime di monopolio nei comuni controllati (Pignataro Maggiore, Pastorano, Camigliano e Giano Vetusto). “Le armi le tenevamo in vari posti. Per un periodo le mettevamo in un palazzo a Partignano di proprietà dei Ligato. Successivamente le portammo nella villa sequestrata ai Ligato in via del Conte”, ha riferito il collaboratore, il quale ha confermato che la droga veniva presa a Marano (“Nel 2003, prima di Natale, in tre ne andammo a prendere diecimila euro”).
Il potere di intimidazione del clan si esprimeva – secondo quanto emerge dal racconto di Pettrone – con le minacce e la violenza da sfoggiare per una donna (nel caso dell’aggressione a tale D’Alessandro, che stava insediando la presunta ex amante di Pierino Ligato) o per episodi di insubordinazione (nel caso di Cerullo, un affiliato che si rifiutava di chiedere il pizzo e che vendeva la droga in proprio). In risposta alle domande del sostituto procuratore sulle estorsioni, Pettrone ha rivelato: “Gli imprenditori e i commercianti avevano tutti paura, per questo pagavano il pizzo senza fiatare. Alcuni portavano i soldi addirittura a casa di Ligato quando era ai domiciliari nella cooperativa “Santella”. Raffaele Ligato stava sulla sedia a rotelle ma poteva camminare benissimo, era una presa in giro per avere i domiciliari. Gli unici due che sono stati arrestati per aver chiesto il pizzo, sono finiti dentro perché sono stati denunciati da Raimondo Cuccaro, uno che ha la scuola guida a Pignataro”. Secondo il pentito, un po’ tutti erano sotto estorsione: Boccardi (l’imprenditore che ha costruito lo zuccherificio Kerò), ‘zio Franck u merican’ (Francesco Iovino, l’imprenditore edile di Pastorano scappato in America), il suo socio Vincenzo Aversano, il vivaio ‘Imperatore’, Morra, Carisma, oltre alle imprese che effettuavano dei lavori nella zona. Una spedizione avrebbe dovuto addirittura intimidire l’allora direttore della “Gold Star” (l’ex Silia), per “convincerlo” a pagare diecimila euro al mese, ma l’azione fallì e in seguito venne accantonata perché – dice il collaboratore – “si era messo a posto”.
In altri casi, però, la richiesta del pizzo si scontrò con delle difficoltà “oggettive”, come nel caso delle tentate estorsioni all’imprenditore Nicola Palladino – finito in carcere nell’ambito del procedimento “Il Principe e la (scheda) ballerina” – e ad Angelo Raffaele Palma – l’imprenditore coinvolto anch’esso nell’inchiesta ‘Caleno’. “Ci dissero che Palladino sta a posto, anche se Pierino ci mandò a chiedere lo stesso il pizzo”. Ma Palladino, che la Dda di Napoli considera imprenditore del clan dei “Casalesi”, non si tocca e i Ligato sono costretti a rinunciare, così come non vanno a buon fine le richieste estorsive a Palma, che con la sua impresa di movimento terra effettuava i lavori nell’80% dei cantieri che venivano aperti nella zona (a detta di “Uccello”. L’imprenditore, che secondo Pettrone forniva anche soffiate ai “casalesi” per informarli sull’apertura dei cantieri nell’Agro Caleno, chiese conto di quelle richieste alle cosche dei ‘Mazzoni’. I “casalesi” non si fidavano dei Ligato, poiché questi avrebbero dovuto incassare il pizzo, mandarlo a Casal di Principe e poi ricevere lo “stipendio”, ma nel chiedere i soldi spesso sconfinavano su territori che non erano di loro “pertinenza” o tenevano per sé i proventi. Nonostante tutto, però, i clan dell’Agro Aversano non se ne liberavano poiché – a detta di Pettrone – “i Ligato avevano commesso dei reati per loro conto”. Nonostante tutto, nel caso delle estorsioni a Palma, Carlino Del Vecchio reagì sdegnosamente tentando di fare fuori Pierino Ligato. Il lungo racconto di Pettrone ora dovrà resistere al controinterrogatorio del collegio difensivo.