Bellona, ancora fumarole all’Ilside: la lunga storia di ritardi e repressione contro i cittadini

Bellona, ancora fumarole all’Ilside: la lunga storia di ritardi e repressione contro i cittadini

BELLONA – L’ultima fumarola risale allo scorso 5 aprile, a quasi due anni dal disastro – con ogni probabilità doloso – che ha colpito la comunità bellonese con l’incendio dell’Ilside.

Il sito di stoccaggio di rifiuti, in fiamme per la seconda volta in pochi anni, è l’emblema di uno Stato che colpevolmente “dimentica” di controllare, di prevenire, di garantire i diritti più elementari, finanche quello alla salute.

Tra presunte irregolarità e probabili omissioni, un’azienda privata ha per anni realizzato profitti a scapito dell’ambiente e del territorio, nell’indifferenza generale dei controllori che oggi, difronte allo scempio di tonnellate di veleni andati in fumo e agli infiniti ritardi della messa in sicurezza, continuano a mostrarsi allergici alla trasparenza, al doveroso obbligo di rendere conto delle proprie responsabilità di fronte alle legittime richieste dei cittadini.

La storia recente dell’Ilside è la parabola, cristallizzata in tempi pachidermici, di come si è affrontata una emergenza ambientale che, per sua stessa natura e gravità, si sarebbe dovuta ragionevolmente risolvere nel giro di una settimana. Perlomeno in un paese minimamente civile.

Quello che non si è lasciato sfuggire invece, questo Stato distratto e pasticcione, è la criminalizzazione di chi ha scelto di non restare in silenzio.

A fare il paio con i tempi biblici delle operazioni di ripristino del sito contaminato vi è, perlappunto, la celerità supersonica della sorprendente risposta repressiva contro i cittadini attivi, quelli – per intenderci – che tanta vuota retorica istituzionale non avrebbe esitato a erigere a eroi moderni.

Dunque, in questo triste balletto della vergogna,  dopo il danno, non potevamo di certo rinunciare alla beffa di ben 11 denunce contro altrettanti membri del Comitato cittadino #MaiPiùIlside, rei di essersi presentati al Comune per chiedere le legittime spiegazioni che tutti avremmo preteso.

Una vicenda surreale, che terminerà probabilmente nella consueta bolla di sapone giudiziaria, la solita commedia ispirata all’antica tattica di denigrare e dividere chi, accomunato dall’infausto destino, ha finito per riconoscersi nella difesa della dignità collettiva.

Nulla cambia, in questa storia grottesca, l’approvazione, pochi giorni fa, del bando disciplinare per la messa in sicurezza di quel che resta dell’impianto. Un provvedimento dovuto, niente a che fare con l’illuminata iniziativa di un qualche statista.

Ad oggi, l’unica preziosa lezione che da questa vicenda vale la pena trarre, è la necessità di lottare per difendere la nostra terra, senza delegare e senza mai lasciare soli le donne e gli uomini che si alzano in piedi. Un motivo in più, quello dalla solidarietà verso chi lotta, per scendere in piazza domani a Pignataro e tenere unito il fronte di questo genuino movimento di riscatto e dignità.

Teodosio Lepore (teodosio.lepore@gmail.com)

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