In un romanzo la storia dell’unità d’Italia, vista da un contadino dell’Agro Caleno

In un romanzo la storia dell’unità d’Italia, vista da un contadino dell’Agro Caleno
Il Brigante repubblicano è l'ultima fatica editoriale di Gianluca Parisi

CALVI RISORTA – Tutti conoscono, per sentito dire o per averla studiata a scuola, la Spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi che si concluse nell’ottobre del 1861 con l’incontro tra il Generale garibaldino e il re Vittorio Emanuele di Savoia nei pressi di Teano. Non tutti però ricordano la seconda Spedizione, quella in Aspromonte quando Garibaldi fu ferito ad una gamba dall’esercito piemontese. Era l’inizio del mese di settembre del 1862. La famosa canzoncina «Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…» è rimasta, dal quel lontanissimo 1862, ancora molto popolare. Ma come mai il protagonista dell’unità nazionale, uno dei padri della nazione italiana veniva impallinato da quello che doveva essere l’esercito del nuovo Regno d’Italia? Come mai Giuseppe Mazzini, un altro dei padri ispiratori della nostra nazione, finì la sua esistenza in esilio da clandestino nel 1872? La lettura dei principali eventi narrati in questo romanzo, che si svolgono proprio nel bel mezzo delle due spedizioni garibaldine, aiuta a rispondere a queste domande.

Il protagonista Nicandro è un contadino che aspetta l’arrivo al suo paese di Garibaldi che marciava verso Teano per incontrare il re Vittorio Emanulele II. Sperava che gli venisse assegnata la terra da coltivare, ma ben presto si rende conto che la sua era solo un’illusione. Scacciato dal barone del posto, ripara sui monti dove si imbatte in una banda di briganti. Vive la storia di personaggi dal calibro di Carmine Crocco e Luigi Alonzi detto “Chiavone”. Il protagonista del romanzo è chiaramente inventato come pure i nomi della maggior parte dei briganti della sua banda; ma sono veri tutti gli episodi avvenuti in quel periodo: dal bombardamento di Gaeta all’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni; alle fucilazioni di massa a Scurcola a quelle sommarie ai singoli sospettati di brigantaggio. A scuola lo studio della storia dell’Unità d’Italia si ferma all’incontro di Teano; gli anni immediatamente successivi sono trattati sommariamente oppure archiviati superficialmente alla voce Brigantaggio. Gli storici in passato hanno spesso fatto di tutta un’erba un fascio: di contadini, di delinquenti, di camorristi e mafiosi. Poi ci si è ritrovati ad affrontare disamine e disamine sulla Questione Meridionale mai più risolta. Ma cosa ha dato origine a tale “Questione”? Cosa indusse i contadini a posare le zappe, imbracciare i fucili e ad unirsi a briganti e delinquenti comuni? Il Brigantaggio post unitario più che una conseguenza di una colonizzazione nordista a danno del Mezzogiorno d’Italia, sembrerebbe originato da un capriccio delle monarchie Sabauda e Borbonica, imparentate tra di loro, che strumentalizzarono e politicizzarono il fenomeno per proprio tornaconto.

A farne le spese, come spesso accade, furono i più poveri, i contadini e chi, come Nicandro, aveva creduto nell’Italia Repubblicana e in Garibaldi. I contadini già con i Borbone vivevano in una condizione di miseria, i Savoia li resero ancora più miseri privandoli dell’utilizzo delle terre demaniali, che finirono gradualmente nelle mani di ricchi signorotti e baroni. Furono privati di poter raccogliere la legna nei boschi, di poter pascolare i propri armenti, cose che prima facevano in tutta tranquillità. E fu guerra civile, con una repressione durissima durata per ben 10 lunghi anni che non risparmiò neanche donne, vecchi e bambini. Di questi tempi tristi nessun erede delle monarchie sabauta e borbonica ha chiesto scusa alle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia. Di quei tempi tristi restano solo racconti di gesta orribili e scellerate. Ma forse c’è anche qualche storia benevola: ancora oggi in qualche borgo di Terra di Lavoro nel Basso Lazio si tramanda da nonna a nipote la leggenda della fanciulla Trusiana figlia di brigante.

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