CALVI R./PIGNATARO M./SPARANISE – È stata fissata per il prossimo undici dicembre, presso il Tribunale di Firenze, l’udienza preliminare nell’ambito del procedimento che vede imputate ventidue persone, tra le quali molte originarie dell’Agro caleno. Si tratta di: Benedetto D’Innocenzo, sessantenne di Calvi Risorta; Diocrate D’Innocenzo, trentaquattrenne figlio di Benedetto; Giuseppe Caimano, sessantaduenne di Calvi Risorta; Alessandra D’Innocenzo, cinquantacinquenne di Pignataro Maggiore; Alfonso Di Penta di Caserta; Simone Faleri di Castelfiorentino; Elisabetta Gioia di Santa Maria a Vico; Giuseppe Laurenza di Castel Morrone; Leonilde Marciello di Sparanise; Cecilia Piscitelli di Maddaloni; Massimo Romano di Minturno; Anna Santillo di Calvi Risorta; Concetta Ventrone di Maddaloni; Lisa Bennati ed Emanuele Brocco. Le accuse formulate nei loro confronti dal pm della Direzione distrettuale antimafia fiorentina, dottor Giulio Monferini, sarebbero di associazione per delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia, minacce ed estorsione.
Davanti al Giudice per l’udienza preliminare, dottor Fabio Frangini, l’accusa tenterà di dimostrare che Benedetto D’Innocenzo, ritenuto vicino ai clan Ligato, Russo e Bardellino, sarebbe il promotore di un’associazione a delinquere e, aiutato dagli altri indagati, avrebbe “spogliato” alcune società, al fine di ottenerne l’acquisizione e il controllo mediante una serie di prestanomi. Il collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Alfonso Sgambato e Carlo De Stavola, tenterà di smontare il teorema degli inquirenti.
Tra gli atti delittuosi contestati, suscitarono grande impressione nei giorni degli arresti (avvenuti nel 2012) le minacce dirette ad un sindacalista della Cgil, Giovanni Piras. Il sindacalista stava difendendo i diritti di una quarantina di lavoratori dell’ex Gruppo Flowers (Montemurlo). Aveva convinto le maestranze a rivolgersi all’Ispettorato del lavoro, aveva convocato la commissione di conciliazione per far pagare ai committenti gli stipendi che D’Innocenzo non pagava, aveva denunciato l’imprenditore per appropriazione indebita del Tfr e stava studiando un’istanza di fallimento. Motivi che avrebbero spinto alcuni degli indagati a organizzare una spedizione punitiva. Secondo gli inquirenti, i D’Innocenzo padre e figlio avrebbero convocato l’”uomo di fatica” del gruppo, Alfonso Di Penta.
Diocrate D’Innocenzo lo avrebbe portato in moto alle Badie, vicino alla casa del sindacalista e il presunto sicario avrebbe aspettato per più di un’ora. I due sarebbero ritornati dopo pranzo, ma dopo una mezz’ora rinunciarono. Il giorno dopo Benedetto D’Innocenzo si sarebbe informato col figlio se quel ragazzo (Di Penta) «ha iniziato a lavorare» e Diocrate gli avrebbe risposto che non se n’era fatto di niente (quel giorno Giovanni Piras era a un provvidenziale convegno). Un altro tentativo era programmato per il 26 luglio, ma sarebbe stato bloccato da un sms: «Alt, tutto rimandato». E’ in quei giorni che D’Innocenzo avrebbe riflettuto sulla possibilità di ammazzare uno prima o dopo le vacanze. Nel marzo 2004 i D’Innocenzo avrebbero preso di mira anche un altro sindacalista Cgil, minacciando di «fargli tagliare la testa». Insomma, atti gravi che potrebbero far finire gli imputati sotto processo.
Red. Cro.
* Diocrate D’Innocenzo, tra gli indagati nel provvedimento riportato nell’articolo, sostiene che le accuse riguardanti l’associazione e l’estorsione nei suoi confronti sarebbero decadute con decisione del giudice del Tribunale della Libertà. Riportiamo la replica per dovere di cronaca.