CASTELVOLTURNO – Di seguito vi proponiamo un brano del nuovo libro del giornalista e scrittore, Salvatore Minieri. “Baia Baccalà, quell’estate che diedi da mangiare agli squali”, che uscirà tra agosto e settembre, parte da una vacanza fatta da piccolo. “A CastelVolturno e Baia…vedevo tutto con gli occhi di un bambino…le brutture atroci – dice Minieri – vengono raccontate con il candore di un ragazzino che, oggi, le studio per lavoro e ha perso ogni incanto…la stridente contrapposizione del litorale: la più alta concentrazione di rifiuti tossici ma anche gli stabilimenti balneari più ecosostenibili del mondo!!!!”. “La camorra, i neri, i parchi acquatici che hanno funzionato per una sola estate (!!!!) e il Volturno che rientra nella sua foce sul serio per effetto dello sbancamento di tutto il sabbione preso per fare le villette di Baia Verde”. Ecco un estratto dell’opera:
luglio 1981, arrivo con vista foce
“Vieni che papà ti porta a vedere una cosa bella”.
Il mare andava al contrario, giuro, l’acqua invece di scendere verso la linea di orizzonte, si trasformava in un serpentone gigante, “cu na capa tanta”, come diceva mio padre. Pochi attimi e, dal ponte del ristorante Scalzone, papà mi faceva assistere a quel miracolo fatto per metà di logica marina e per l’altra di mafia, che con la logica non si incontra mai. L’acqua saliva verso il paese e bruciava di sale e iodio caustico tutta la terra che attraversava. “Il posto è bello, ci divertiamo sugli scivoli, anche se l’acqua non l’hanno messa ancora, dai, bello a papà”. Il posto, lo chiamava mio padre, quel posto slabbrato e zuppo di sudore come un reggae di Grace Jones, gonfio di neri agitati che si muovevano continuamente tra quelle decine di rotonde, torte di cemento con dei segnali arrugginiti conficcati sopra come candeline.
La Domitiana dei pochissimi miracoli, stradona di metallo e rifiuti, incassata nei polmoni nicotinici della Campania litoranea. Avete mai provato a fare un giro con il finestrino aperto e l’aria condizionata staccata a luglio a Castelvolturno, quando cani con la scabbia, olio tignoso nascosto sotto asili nido e vesciche di liquidi acidi si riversano dietro i ponti e nel fiume? Quando mio padre mi portava a vedere il ponte sul Volturno, l’aria condizionata esisteva solo nei supermercati di città, e le macchine in estate diventavano tizzoni metallizzati turbodiesel. Quella puzza mi è rimasta nel naso, come se l’avessi sempre avuta dentro in una ghiandola nascosta che si ravvivava solo quando da bambino vedevo il verde ossidacido del Volturno, il reagente chimico che scatenava la puzza, appunto. Ancora oggi, con in mezzo anni e chilometri, io sento ancora nel naso quell’odoraccio che si avvertiva sul ponte di Scalzone. Perché qui sono avanzati tecnicamente e non aspettano di uccidere fiumi e mari con le ruvidezze della pirateria edilizia che arriva nei suv Mercedes. No, hanno già rubato al fiume tonnellate di sabbia quando nessuno li vedeva. Hanno saccheggiato al letto del Volturno tutto quel sabbione scadente e pieno di impurità che è servito a costruire le patetiche villette della zona a ridosso del litorale.
Ecco perché alcuni parchi residenziali puzzano se solo vi avvicinate alle mura esterne: il sabbione del Volturno è quello rubato dalle ruspe negli ultimi 40 anni, dentro ci sono tutti i detriti che il Volturno si porta dietro quando attraversa gli alvei pieni di ogni rifiuto sversato di nascosto. Se rubi sabbia colerica e fetida, alla fine trasuderà dai muri e puzzerà lo stesso: come avviene ancora oggi a Baia Verde e a Castelvolturno. Ma quel fiume è come un bambino a un processo: arriva in aula e dice la verità. Inutile nascondere bidoni tossici e fusti di cancro in qualche boschetto affacciato sul fiume tra le tranquille radure di Cancello e Arnone o magari tra i boschi degli elfi tossico-fluviali di Grazzanise. Quel corso di acqua putrida arriverà a Castelvolturno e, prima di iniziare il balletto disgustoso con l’acqua del mare per conquistare il transito della foce, vi racconterà che da qualche parte è dovuto passare in mezzo a discariche e altri purgatori tumorali che qui, noi provincia avanzata e furba, chiamiamo ancora Regi Lagni…
estratto da “Baia Baccalà” di Salvatore Minieri, giornalista professionista