“Bobok, cos’è la morte?”: la recensione dell’ultimo spettacolo messo in scena per Teatri d’Anima

“Bobok, cos’è la morte?”: la recensione dell’ultimo spettacolo messo in scena per Teatri d’Anima

Giovedì, 23 ottobre, nella sala parrocchiale di Marzano Appio, il sipario si è aperto sull’ultimo spettacolo del festival Teatri d’anima, dono del Vescovo Arturo Aiello alla sua diocesi, impreziosito dalla direzione artistica di Angelo Maiello, dal coordinamento di don Vitaliano Mandara e dal generoso contributo di quanti hanno operato dietro le quinte con dedizione e amore.

Il Teatro Rostocco di Acerra ha messo in scena “Bobok”, tratto dall’omonimo racconto di Fedor M. Dostoevskij, per la regia di Ferdinando Smaldone. Uno spettacolo un po’ inquietante che ha condotto lo spettatore, dietro i passi di un misterioso viandante, all’interno di un cimitero, per carpire, almeno in parte, “il segreto dei morti sconosciuto ai viventi”. Le battute, pronunciate con estrema precisione e ritmo incalzante dai bravissimi interpreti, hanno suscitato un caleidoscopio di sensazioni, emozioni, pensieri. I registri utilizzati sono stati quelli dell’ironia, del rimpianto, del cinismo, del dolore, levigati dal canto di una figura d’angelo. Filo conduttore: il desiderio di denudarsi davanti alla verità. “Finalmente possiamo raccontare le nostre storie senza mentire e senza vergognarci di niente” ha affermato una delle “anime” emerse dall’aldilà. “In vita questo non è possibile perché c’è molta ipocrisia. Anche ai funerali si nota molta falsa mestizia, e le stesse epigrafi incise sulle lapidi, sono uguali e monotone: descrivono tutti come brave persone; eppure, di farabutti in giro ce ne sono tanti…”.

Dai movimentati intrecci di parole e respiri, ho raccolto alcune briciole di saggezza:  persona sana di mente è chi si dà dello stupido almeno una volta al giorno. E ancora: solo gli stupidi, oltre i morti, non cambiano mai opinione. Un invito a riflettere sul proprio comportamento: quante volte ci lamentiamo per questioni futili? E quante volte ci lasciamo sfuggire il bene e il bello che ci vengono offerti da mani invisibili e generose, per restare ingessati nei nostri pregiudizi? Quando la smetteremo di chiacchierare e ci predisporremo seriamente all’ascolto? Infatti “non mancano storie da raccontare, ma orecchie per ascoltare”. E arriverà il tempo in cui le storie non potranno più essere né raccontate, né ascoltate. “Bobok” è un fonema che in russo esprime l’ultima esalazione prima della morte. E la morte, in questo spettacolo, da qualcuno è intesa come dono e liberazione; da altri come disgrazia o vera e propria condanna (lo stesso Dostoevskij, per motivi politici, era stato condannato a morte e poi graziato all’ultimo momento). “Dopo la morte non sussistono relazioni, quindi non ci sono problemi” ha dichiarato l’anima di un defunto, alludendo forse ai litigi e ai malintesi che caratterizzano spesso le relazioni umane. Infine, è giunto un invito a non affezionarsi troppo a cose e a persone, perché il distacco fa soffrire. Frasi provocatorie che possono essere lette al diritto o al rovescio. Non credo sia possibile non affezionarsi, perché l’amore è necessario come il pane. Il legame con gli altri, in questa vita e con i nostri defunti, è fondamentale, riempie, dà consolazione. E allora, quello che possiamo fare, nell’attesa di varcare la fatidica soglia, è proteggere le nostre relazioni dalle erbe malefiche dell’invidia e delle incomprensioni; riappropriarci della capacità di provare meraviglia; imparare a cogliere la bellezza in tutte le sue sfumature. Solo così, forse, un giorno (o una notte, chissà) potremo chiudere serenamente gli occhi, come un sipario alla fine di uno spettacolo, sugli affanni e gli splendori della nostra vita. Bobok, cos’è la morte?

26 ottobre 2014                                                                     Carmen Melese

Commenta con Facebook