PIGNATARO M. – L’udienza di ieri mattina (21 dicembre), se non fosse stato accordato il rinvio, avrebbe dovuto concentrarsi – secondo le accuse formulate dai giudici della Direzione distrettuale antimafia – sulla tentata minaccia con metodo mafioso al giornalista Salvatore Minieri da parte dei fratelli Giuseppe e Gaetano Lubrano. L’assenza del legale di fiducia di questi ultimi ha determinato il rinvio dell’udienza a marzo, ma intanto il giornalista, pur prescindendo dal merito della vicenda finita al centro del procedimento giudiziario, ha voluto rimarcare la difficile situazione sul territorio: “Per me questo è un momento importante perché c’è la possibilità di certificare per l’ennesima volta la pericolosità di organizzazioni criminali sul territorio di Pignataro Maggiore e dell’Agro caleno. L’attenzione nazionale per il clan dei Casalesi ha messo in secondo piano la pericolosità e la pervasività sociale dei clan locali. La presenza e la forza delle cosche pignataresi sono dimostrate dalla diffusa omertà che regna in quella che giustamente il collega Palmesano ha definito “Svizzera dei clan”. Qui la politica, le istituzioni e la tanto decantata società civile da anni restano in silenzio di fronte agli affari e alle violenze della grande e della piccola criminalità. Fare cultura vuol dire anche diffondere nel corpo civico la cultura della legalità e, invece, proprio quella borghesia, anche colta, che spesso anima l’associazionismo pignatarese, continua ad assumere un atteggiamento omertoso, a tacere di fronte alle prevaricazioni mafiose e alle tragedie ambientali che stanno annientando questa zona”.
Lo scrittore è un fiume in piena e richiama, giustamente, le responsabilità di chi sfrutta il presunto impegno anticamorra soltanto per fini propagandistici: ” Dal 2010, quando ho iniziato a indagare come giornalista sulle cosche locali e ho ricevuto le “attenzioni” dei clan [prima le minacce e poi i colpi di fucile contro la propria abitazione, N.d.R.], a parte la vicinanza di caleno24ore e di Palmesano, sono stato lasciato solo, oltre che dalla politica e dalle istituzioni, anche dalle associazioni Antimafia e da quei giornalisti che si proclamano martiri della camorra. Basti ricordare che il direttore del giornale che cacciò Enzo Palmesano, oggi non pubblica nemmeno una notizia relativa alle inchieste sulla criminalità organizzata e a quelle sulle catastrofi ambientali che realizzo da anni. Nonostante la notizia del procedimento giudiziario contro i Lubrano sia nota da mesi, non ho ricevuto nemmeno un messaggio WhatsApp dalle associazioni antimafia. A questo proposito, rivolgo un appello all’onorevole Bindi, al ministro Minniti e a chiunque abbia la responsabilità di intervenire in situazioni di questo genere: i giornalisti, dati alla mano, sono gli unici che stanno sollevando questi problemi e negli anni sono diventati il bersaglio di poteri criminali che stanno cercando di farli tacere, bloccando anche l’ultimo baluardo dell’agibilità democratica in questa zona; a questo punto bisognerebbe intervenire”.
Red.