Corruzione elettorale alle elezioni comunali del 2009, la Corte di Cassazione conferma definitivamente la condanna del camorrista Maurizio Fusco. Il capozona del clan dei casalesi era accusato di aver garantito, in cambio dei posti di lavoro, i voti all’ex Direttore del CUB Antonio Scialdone e alla sorella

Corruzione elettorale alle elezioni comunali del 2009, la Corte di Cassazione conferma definitivamente la condanna del camorrista Maurizio Fusco. Il capozona del clan dei casalesi era accusato di aver garantito, in cambio dei posti di lavoro, i voti all’ex Direttore del CUB Antonio Scialdone e alla sorella




VITULAZIO – La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con apposita sentenza (n.39064 del 2017 – Allegato 1), ha definitivamente confermato la condanna a otto mesi di carcere e ben 12.000 euro di multa a carico di Maurizio Fusco, esponente di rilevo del clan dei casalesi e reggente del gruppo Schiavone nell’area di Vitulazio, Grazzanise, Pastorano, Bellona, Triflisco e paesi limitrofi. I giudici del terzo ed ultimo grado di giudizio, hanno definitamente avvalorato i fatti risalenti alle elezioni comunali di Vitulazio del 2009, allorché la lista “Vivi Vitulazio”e l’ex sindaco Achille Cuccari si aggiudicarono la tornata per 7 voti. Fatti accertati dall’indagine compiuta dalla Direzione Distrettuale Antimafia in seno alla Procura della Repubblica di Napoli (Pubblici Ministeri – dr. Luigi Landolfi e dr. Giovanni Conzo) che, in data 22 luglio del 2014, con l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare (Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, dr.ssa Federica Colucci), portò all’arresto del faccendiere dei rifiuti, Antonio Scialdone, e dell’esponente del “clan casalesi” Maurizio Fusco. Arresti compiuti dai Carabinieri della Compagnia di Capua e della Stazione di Vitulazio, cosi come avevamo riportato in data 10-03-2017, con una nostra inchiesta giornalistica dal titolo “Concorso in voto di scambio con l’aggravante camorrista”: inizia il processo a carico dell’ex Direttore generale del CUB, Antonio Scialdone, che secondo l’Antimafia favorì l’assunzione del fratello e della moglie del ras Fusco presso una ditta dei rifiuti e una di vigilanza privata” (Allegato 2).


Entrando nel merito della Sentenza Penale emessa dalla Terze Sezione della Corte di Cassazione (Presidente: Amoresano Silvio; Relatore: Di Nicola Vito; Udienza: 17-05-2017), con l’arringa del Procuratore Generale in persona del dott. Francesco Salzano che aveva concluso per il rigetto del ricorso presentato dall’esponente bellonese del “clan dei casalesi”, si legge testualmente: “Maurizio Fusco ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli ha riformato la pronuncia emessa dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale, concedendo al ricorrente le attenuanti generiche e rideterminando la pena in mesi otto di reclusione ed euro 12.000 per il reato previsto dagli articoli 81 capoverso e 110 del codice penale, 86 d.p.r 570 del 1960 perché, in concorso con Antonio Scialdone e con Giovanna Lina Scialdone, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, Antonio Scialdone e Giovanna Lina Scialdone, in cambio del sostegno elettorale e del voto in favore di quest’ultima, candidata alle elezioni del consiglio comunale di Vitulazio del 2009, prometteva a Maurizio Fusco, che accettava, l’assunzione della moglie Antonietta Stellato presso la società International Security Guard Srl e del fratello Giuseppe Fusco presso la Ecological Service S.r.l., assunzione effettivamente avvenuta ,nel febbraio 2011. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva, tramite il difensore di fiducia, un unico motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con esso il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione su punti decisivi per il giudizio in relazione all’articolo 86 d.p.r. 570 del 1960 (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale). Osserva come la fattispecie contestata fosse del tutto priva di rilevanza penale posto che, come rilevabile dalla semplice lettura dell’imputazione, la promessa di aiuto in sede di competizione elettorale fosse assolutamente generica e che l’assunzione del fratello dell’imputato (corrispettivo del paventato aiuto) risultasse effettivamente avvenuta a distanza di ben due anni dalle elezioni e svincolata da tale competizione (assunzione peraltro limitata a due o tre mesi e priva di retribuzione), con la conseguenza che, in mancanza di qualsiasi rapporto sinallagmatico, il reato contestato non poteva ritenersi configurato a carico del ricorrente. Ne consegue che la Corte napoletana avrebbe dovuto prendere in considerazione un dato probatorio che fosse in necessaria correlazione anche con la semplice promessa di aiuto in cambio di una occupazione, sicché, sul punto, la sentenza impugnata sarebbe assolutamente priva di motivazione, se non fosse per l’aggancio per relationem alla già sintetica parte argomentativa offerta dal giudice di primo grado. Né appare al ricorrente logica la parte della motivazione in cui si riferisce che lo Scialdone abbia interceduto con Antonio Iannello di consentire l’assunzione della moglie del Fusco presso la International Security Gard Srl. Né appare di pregevole apprezzamento giuridico l’ultima argomentazione della Corte distrettuale secondo cui il distacco temporale tra il patto e l’assunzione concretizzerebbe la prova ulteriore dell’accordo illecito realizzato tra le parti. Anche tale argomentare appare al ricorrente illogico e contraddittorio atteso che le vicende legate alle assunzione risultano assolutamente svincolate dalla competizione elettorale e sarebbe di certo più logico affermare che, dato il tempo trascorso, la circostanza sarebbe confermativa dell’assoluta inesistenza di qualsiasi illecita stipulazione”.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, ha dichiarato “Il ricorso è inammissibile nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono. Il ricorrente sostanzialmente reitera le censure già proposte con l’atto di appello e motivatamente disattese. La Corte del merito – con accertamento di fatto adeguatamente e logicamente motivato e, come tale, insuscettibile di sindacato in sede di controllo di legittimità – ha affermato come, nel caso di specie, tra i candidati delle elezioni per la formazione del consiglio comunale di Vitulazio del 2009 figurasse Giovanna Lina Scialdone, sorella di Antonio Scialdone, e come quest’ultimo, per il sostegno elettorale della sorella, avesse stipulato un accordo illecito con Maurizio Fusco. In particolare, il ricorrente, non essendo residente nel comune di Vitulazio, e dunque non potendo garantire un suo diretto impegno, aveva promesso il voto dei suoi familiari, ivi residenti, in cambio dell’assunzione del fratello Giuseppe Fusco e della moglie Antonietta Stellato. La Corte di appello ha sottolineato come Maurizio Fusco, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, avesse puntualmente ricostruito sia la sussistenza che i termini dell’accordo con Antonio Scialdone. In particolare, aveva riferito di conoscere Antonio Scialdone in quanto svolgevano entrambi attività lavorativa presso il Consorzio unico di bacino e che lo Scialdone gli aveva, in cambio del sostegno elettorale relativo ai voti della sua famiglia, promesso l’assunzione del fratello Giuseppe Fusco presso la Ecological Service. Il rapporto sinallagmatico era stato peraltro enfatizzato dallo stesso imputato, laddove aveva definito i voti garantiti quale “merce” fornita allo Scialdone in cambio dell’assunzione dei suoi familiari. Tali dichiarazioni avevano trovato piena conferma nei restanti elementi probatori ed infatti Giuseppe Fusco, fratello del ricorrente, aveva confermato che la sua assunzione era avvenuta grazie all’intercessione di Antonio Scialdone e che tale aiuto costituiva il corrispettivo per il sostegno elettorale fornito alla sorella, Giovanna Scialdone. La Corte territoriale non ha mancato di sottolineare che ulteriore e definitivo elemento di riscontro è poi rappresentato dal contenuto dell’agenda sequestrata allo Scialdone, dove all’interno del documento è stato rinvenuto un prospetto dei voti promessi e, tra questi, vi era l’indicazione di “Fusco Maurizio + 3”, dato risultato perfettamente coincidente con quanto dichiarato dall’imputato nell’interrogatorio di garanzia laddove lo stesso aveva affermato di aver garantito allo Scialdone il voto del padre, del fratello e della cognata. Sulla base delle precedenti acquisizioni è stato logicamente ritenuto che, al suddetto patto, fosse altresì riconducibile l’assunzione di Antonietta Stellato presso l’International Security Guard Srl. Ed invero, sebbene realizzata attraverso l’interposizione di Antonio Iannello, amministratore della Security, detta assunzione è stata, logicamente ritenuta esecuzione dell’accordo intercorso tra Antonio Scialdone e Maurizio Fusco, considerato che Antonio Iannello aveva attivamente partecipato alla campagna elettorale in favore di Giovanna Scialdone, collaborando con lo stesso Antonio Scialdone, come era risultato dalle immagini catturate in occasione dei festeggiamenti successivi all’avvenuta elezione. Su queste basi la Corte di appello ha considerato del tutto logico e verosimile ritenere che lo Scialdone, in esecuzione della promessa operata nei confronti di Maurizio Fusco, avesse interceduto con Antonio Iannello al fine di ottenere l’assunzione di Antonietta Stellato, risultando altresì provata sia l’utilità promessa, ovvero l’assunzione dei familiari di Maurizio Fusco, sia il nesso causale tra la promessa di favoritismi e la garanzia di sostegno elettorale. Né il rapporto causale sarebbe venuto meno, alla luce delle argomentazioni difensive che hanno evidenziato il lasso temporale intercorso tra l’elezione della Scialdone e l’assunzione dei familiari del Fusco, in quanto, secondo il logico convincimento espresso dai giudici del merito, il distacco temporale costituisce una ulteriore prova della forza insita nell’accordo illecito il quale, nonostante le difficoltà riscontrate, ha comunque trovato completa attuazione tra le parti interessate. Al cospetto di tali precisi e rigorosi accertamenti in punto di fatto, il ricorrente non elabora specifiche critiche nei confronti dell’apparato argomentativo, risolvendosi le doglianze in generiche censure prive dei necessari requisiti di specificità, in quanto eludono i punti della decisione, in precedenza riassunti, sui quali fonda la ratio decidendi della sentenza impugnata. Neppure le doglianze in punto di diritto sono pertinenti. L’articolo 86 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 punisce, al primo comma, chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone anche quando l’utilità promessa sia stata dissimulata sotto il titolo di indennità pecuniaria data all’elettore per spese di viaggio o di soggiorno o di pagamento di cibi e bevande o rimunerazione sotto pretesto di spese o servizi elettorali. Al secondo comma, la norma punisce l’elettore che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità. Si tratta di titoli di reato autonomi, di cui il primo (quello di chi dà, offre o promette) sganciato dal secondo (cioè dal fatto commesso da chi accetta offerte o promesse o riceve denaro o altra utilità) e solo eventualmente concorrente con esso. Si è quindi al cospetto di due distinte ipotesi criminose. Il fatto di reato di chi offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori per ottenerne il voto partecipa dunque alla classe dei reati di corruzione atipici perché non è un reato a concorso necessario, ma soltanto eventuale, in quanto per la sua configurabilità è sufficiente la sola promessa di utilità da parte del corruttore, la quale si atteggia come promessa del fatto del terzo e, conseguentemente, impegna solo chi la effettua (Sez. 1, n. 35495 del 04/06/2014, Scaramuzzino, Rv. 260129), con la conseguenza che il reato, di cui al primo comma, si consuma già al momento dell’offerta o della promessa, individuandosi la ratio dell’incriminazione nell’esigenza di blindare, anticipando la soglia di tutela, i meccanismi democratici elettivi, in quanto massime espressioni della democrazia diretta, attraverso un apparato sanzionatorio finalizzato a garantire, nella maggiore estensione possibile, la regolarità e la correttezza della consultazione elettorale, preservando l’elettore da ogni condizionamento e tutelando la libertà del diritto elettorale. Il reato di cui al secondo comma si consuma al momento dell’accettazione dell’offerta o della promessa o della ricezione del denaro o altra utilità e non è necessario, per l’integrazione del reato, il conseguimento delle provvidenze, purché offerte o promesse ed accettate in funzione del voto da esprimere in una determinata e prossima competizione elettorale, consistendo in ciò l’accordo illecito tra l’elettore ed il candidato (Sez. 6, n. 39462 del 20/07/2016, Di Puppo, Rv. 268155). In entrambi i casi, il delitto di cosiddetta corruzione elettorale si configura, quindi, come reato di pura condotta, a dolo specifico e partecipa alla classe dei reati di pericolo astratto, in quanto è sufficiente il compimento della condotta illecita descritta nel modello legale di reato per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, essendo la soglia di punibilità anticipata alla previsione della semplice promessa o alla sua accettazione, condotte ampiamente sufficienti per porre in pericolo il bene giuridico protetto dall’incriminazione e tali dovendo essere, sia pure in astratto, per possedere le note minime di offensività. Il reato è plurioffensivo perché la norma incriminatrice appresta tutela sia all’interesse dello Stato al libero e corretto svolgimento delle consultazioni elettorali, che il diritto politico di ogni elettore alla libera determinazione ed espressione della propria propensione elettorale. Da tutto ciò deriva, al di là dell’ineccepibile motivazione fornita dalla Corte del merito sulla concretizzazione dei reciproci vantaggi fondativi del patto criminale, la manifesta infondatezza delle doglianze in ordine alla sussistenza del reato, essendo stata persino ammessa l’accettazione delle indebite utilità promesse in cambio del voto. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 17/05/2017”.

19-09-2017

ALFREDO DI LETTERA

Allegato 1 – Sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione – Numero 39064 del 2017 FILE

Allegato 2 – Articolo del 10-03-2017 pubblicato su Caleno24ore dal titolo “Concorso in voto di scambio con l’aggravante camorrista”: inizia il processo a carico dell’ex Direttore generale del CUB, Antonio Scialdone, che secondo l’Antimafia favorì l’assunzione del fratello e della moglie del ras Fusco presso una ditta dei rifiuti e una di vigilanza privata.

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corte-di-cassazione-sentenza-n-39064-del-2017-condanna-fusco

https://www.caleno24ore.it/wordpress/65493/%E2%80%9Cconcorso-in-voto-di-scambio-con- l%E2%80%99aggravante-camorrista%E2%80%9D-inizia-il-processo-a-carico-dell%E2%80%99ex-direttore- generale-del-cub-antonio-scialdone-che-secondo-l%E2%80%99ant.html 

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