PIGNATARO M. – Mentre a Pignataro Maggiore sono in corso le manovre orchestrate da Mario Turino nel tentativo di indurre il sindaco Raimondo Cuccaro a dare il via libera alla costruzione dello stabilimento del pastificio Pallante su un terreno agricolo – non a destinazione industriale – venduto proprio da Turino (e da altri soggetti), al ministero dell’Interno dorme senza risposta da oltre due anni una interrogazione presentata il 7 ottobre 2010 dal senatore dell’Italia dei Valori Stefano Pedica. Si tratta dell’interrogazione a risposta scritta numero 4-03798 sugli affari della famiglia Turino a Fondi e in genere in provincia di Latina.
Per sapere se le accuse del senatore dipietrista Stefano Pedica sono fondate, bisogna attendere la risposta del Viminale. Intanto, affinché i nostri (pochi) lettori possano farsi un’idea, pubblichiamo il testo integrale del documento parlamentare. Va precisato che dove si parla di un tale “Cardio” Turino si tratta di un errore, il riferimento è proprio a Mario Turino (siamo in possesso di altra documentazione, al riguardo); Emilia Barra è la madre di Mario Turino. Ecco l’interrogazione:
“PEDICA – Ai Ministri dell’interno, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale – Premesso che:
con decreto del Presidente della Regione Lazio n. 400 del 1° agosto 2006 è stato istituito tra le aree protette della Regione il Monumento naturale Lago di Fondi, la cui gestione è stata affidata all’Agenzia regionale dei parchi del Lazio;
la provincia di Latina ha sin dal principio mostrato contrarietà alla creazione del parco, come conferma la presentazione nel 2006, al Tribunale amministrativo regionale di Roma, della richiesta di sospensiva dell’istituzione del Monumento naturale Lago di Fondi;
con legge regionale 4 dicembre 2008, n. 21, la Regione Lazio ha successivamente aumentato i vincoli di protezione della zona e ha istituito il Parco naturale regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi;
nel luglio 2010 l’intenzione di cancellare il Parco da parte della Provincia di Latina si è nuovamente palesata, con una proposta avanzata dall’Assessore provinciale all’agricoltura, caccia e pesca, Enrico Tiero, che ha incontrato il favore dei consiglieri di centro-destra nella relativa commissione;
in data 20 settembre 2010 l’amministrazione provinciale ha inserito all’ordine del giorno del Consiglio una mozione per proporre l’abrogazione della legge regionale istitutiva del Parco dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, senza riuscire ad approvarla per la ferma opposizione del vicepresidente della Provincia, Salvatore De Monaco, il quale ha chiesto un approfondimento politico sulla questione;
sebbene la Provincia non abbia il potere di abrogare una legge regionale, qualora il punto trovasse parere favorevole, la proposta arriverebbe fino al Consiglio regionale, ente deputato a decidere;
tecnicamente, con la proposta di abrogazione, si vuole tornare allo stato precedente dei luoghi, ovvero alla tutela dei monumenti naturali, ma per il resto l’effetto è quello di cancellare sia i confini che la natura del parco stesso;
in data 27 settembre 2010 si è tenuta una manifestazione per chiedere l’abrogazione dell’ultimo “parco vergogna”, così denominato dai promotori dell’iniziativa, organizzata presso il parcheggio antistante la stazione ferroviaria di Monte San Biagio dal comitato “Parco, no grazie”, presieduto da Oreste Sanalitro; alla manifestazione hanno aderito il Presidente della Provincia di Latina Armando Cusani, l’Assessore provinciale all’agricoltura, caccia e pesca, Enrico Tiero, il consigliere regionale Giovanni di Giorgi, l’onorevole Maria Burani Procaccini e il delegato provinciale alle riforme istituzionali e ai rapporti con gli enti locali, Roberto Migliori;
considerato che:
il parco occupa una superficie di 12.000 ettari e comprende nove comuni ed ambienti agricoli, acquatici e forestali di grande importanza per la tutela della biodiversità a livello regionale, da tempo minacciata da fattori quali il degrado dell’habitat, l’abusivismo edilizio, l’intensificazione delle pratiche agricole e il bracconaggio;
l’area interessata dal parco è un tesoro, non solo per i beni naturalistici e paesaggistici, ma per i fiumi di denaro che da lì potrebbero scaturire, non grazie all’ecosostenibilità, ma all’edilizia;
il cuore del parco, sulle sponde del lago di Fondi, è infatti da anni oggetto di appetiti speculativi immobiliari: la Società agricola immobiliare Fondi – SAIF SpA, originariamente denominata Agrim SpA, di Luigi Pacilio, Domenico Pacilio, Antonio Turino e Emilia Barra, adesso amministrata surrettiziamente da Carmela Zaccaria, proprietaria di una vasta area del Salto di Fondi in procinto di diventare edificabile, ha presentato, già più di 10 anni fa, un progetto di lottizzazione che prevede la realizzazione di 5.000 alloggi, una cementificazione pari a 400.000 metri cubi su 400 ettari di cemento, per un valore di 300-400 milioni di euro;
la SAIF SpA ha ottenuto, al tempo, sul progetto di lottizzazione una pronuncia favorevole da parte dell’amministrazione comunale di Fondi che, nel 2006, ha approvato una variante urbanistica per permettere la realizzazione della lottizzazione;
l’istituzione del Monumento naturale Lago di Fondi, immediatamente successiva alla delibera comunale, ha bloccato la variante comunale ponendo un vincolo di tutela paesaggistica sull’area interessata poiché ricompresa nei confini del Monumento naturale;
in seguito alla decisione della Regione Lazio vi è stato un susseguirsi di ricorsi contro il Monumento naturale Lago di Fondi: hanno presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio la SAIF SpA, proprietaria del terreno, quindi la Provincia di Latina e i Comuni della piana di Fondi, mentre il Consiglio dei ministri ha sollevato presso la Corte costituzionale il conflitto di attribuzione avente per oggetto l’istituzione del parco;
ogni ricorso è stato respinto;
lo stesso pericolo di lottizzazione e cementificazione massiccia si riscontra per l’area cosiddetta del “Lido di Caprarica”, anch’esso preservato solo grazie all’approvazione del piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR), ma sul quale il Consorzio di imprese risalente all’imprenditore Franco Peppe aveva già proposto un intervento simile a quello contenuto nel progetto della SAIF SpA;
rilevato, inoltre, che:
i richiamati progetti di lottizzazione presentano profili di pericolosità non soltanto dal punto di vista ambientale, ma anche sotto il profilo della legalità, in quanto risulta all’interrogante che sia la SAIF SpA che il consorzio facente capo a Franco Peppe, siano società che sono all’attenzione delle autorità di pubblica sicurezza per i loro legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso;
Franco Peppe, arrestato in data 6 luglio 2009 nell’ambito dell’inchiesta Damasco 2, ed attualmente agli arresti domiciliari, secondo quanto emerso dall’attività investigativa della Direzione distrettuale antimafia di Roma risulterebbe essere un prestanome della mala calabrese all’interno del mercato ortofrutticolo di Fondi, e in data 29 settembre 2010 è stato oggetto, assieme al capo clan Venanzio Tripodo, di un sequestro di beni del valore di 8 milioni di euro;
la SAIF SpA, con sede a Napoli in via Mergellina n. 23, con amministratore unico Ernesto Pacilio, figlio di Luigi Pacilio, è stata segnalata dal questore di Latina, Francesco Migliaccio, con fax datato 22 ottobre 1991, ai prefetti di Napoli e Latina e al questore di Napoli, nonché al Ministero dell’interno e all’Alto Commissariato per la lotta alla mafia, in quanto la società risultava una “presunta emanazione di organizzazioni criminali”, per cui l’imponente impiego di capitali stanziato per la realizzazione della lottizzazione era da considerarsi di “illecita provenienza”;
nel 1992, proprio nell’ambito di indagini concernenti lottizzazioni abusive nella zona del Salto di Fondi, il sostituto procuratore De Santis ha anche chiesto, sulla base del rapporto della Guardia di finanza di Latina, l’adozione delle misure di prevenzione previste dalla legge n. 109 del 1996, cosiddetta “legge Rognoni-La Torre” in materia di sorveglianza speciale e sequestro dei beni, nei confronti dei seguenti personaggi, indiziati di appartenere ad associazioni di stampo camorristico: Luigi Pacilio, 57 anni di Napoli; Domenico Pacilio, 34 anni di Napoli, Antonio Turino, 64 anni di Frattamaggiore, Emilia Barra, 61 anni, di Cardio e Luciano Turino, 36 anni di Frattamaggiore;
tre sono state le procure ad interessarsi dei soggetti legati alla SAIF SpA: mentre il Tribunale di Latina proponeva la misura di divieto di soggiorno nella provincia di Latina nei confronti dei summenzionati soggetti, vi erano ulteriori indagini correlate nei confronti della famiglia Pacilio da parte della procura di Napoli per il reato di cui all’art. 416-bis del codice penale, mentre nei confronti della famiglia Turino erano stati avviati accertamenti patrimoniali disposti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere;
considerato, in ultimo, che l’area del Comune di Fondi è interessata da fenomeni mafiosi di rilevante entità, come hanno dimostrato le due inchieste antimafia, Damasco 1 e Damasco 2, il recente sequestro di 8 milioni di euro a carico di esponenti della criminalità organizzata e imprenditori del luogo, nonché la vicenda, relativa all’anno scorso, del mancato scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, richiesto più volte dall’allora prefetto di Latina, Bruno Frattasi, sulla base delle risultanze della Commissione di accesso che riscontrò in maniera inequivocabile il rapporto tra la criminalità organizzata e l’amministrazione di quel Comune in grado di condizionare lo sviluppo del territorio, richiesta accolta dallo stesso Ministro dell’interno, ma successivamente respinta dal Consiglio dei ministri, che preferì procedere allo scioglimento ordinario,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo non ritengano, per quanto di propria competenza, che sia da scongiurare qualsiasi ipotesi di abrogazione della legge istitutiva del Parco dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, o di modifica, in senso riduttivo, dei confini dello stesso, così come siano da evitare interventi deregolatori rispetto a quanto prevede il piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR) per l’area del “Lido di Caprarica”, in quanto potrebbero configurare la possibilità, per le società di cui in premessa, di implementare i progetti edilizi presentati sui territori attualmente interessati dalla tutela paesaggistica in vigore;
con quali strumenti intendano intervenire, d’intesa con la Regione Lazio, per garantire che il descritto pericolo di lottizzazione da parte delle imprese di cui in premessa non venga posto in atto, arrecando in tale modo non soltanto un grave danno ambientale ed ecologico all’area, ma anche immettendo nel tessuto economico del Sud pontino capitali di provenienza illecita e consolidando altresì l’organizzazione criminale di stampo mafioso che si ipotizza sostenga le imprese citate;
quali misure intenda adottare il Ministro dell’interno al fine di impedire una continua espansione degli interessi della criminalità organizzata nel Lazio, ed in particolare nel sud pontino, la cui rilevanza è dimostrata dal recente caso del Comune di Fondi e dai progetti di lottizzazione del Salto di Fondi nonché del Lido di Caprarica”.
Fin qui l’interrogazione del senatore Stefano Pedica. Va anche detto che il boss di Fondi (famigerata città di cui molto si è parlato negli ultimi anni, per fatti di mafia) citato nell’interrogazione, Venanzio Tripodo, ha nella sua storia familiare personaggi che hanno avuto a che fare con i mammasantissima di Pignataro Maggiore, tristemente nota come “la Svizzera dei clan”. Venanzio Tripodo è figlio di uno dei più importanti boss della ’ndrangheta calabrese “don” Mico Tripodo, che – impegnato nella guerra contro il clan emergente dei De Stefano, alleati delle cosche Piromalli e Mammoliti, e sfuggito ad un agguato – venne a svernare in provincia di Caserta, dove fu arrestato il 21 febbraio 1975 in un casolare nel territorio del Comune di Carinola, insieme con due uomini di scorta. Sapete chi erano le sue due guardie del corpo? I pignataresi Raffaele Ligato e l’attuale collaboratore di giustizia Antonio Abbate, rispettivamente cognato e nipote (figlio di una sorella) del capomafia Vincenzo Lubrano, morto il 4 settembre 2007. Mico Tripodo, esponente della cosiddetta “vecchia ’ndrangheta”, fu rinchiuso nel carcere di Poggioreale dove lo raggiunse la vendetta dei De Stefano, affidata ai killer agli ordini di Raffaele Cutolo: “don” Mico – che aveva tentato di far ammazzare Giovanni De Stefano – fu ucciso con 20 coltellate il 26 agosto 1976. Paolo De Stefano era legato a Raffaele Cutolo per i grandi affari nel traffico di droga.
Ma perché Mico Tripodo venne proprio in provincia di Caserta e perché era protetto da guardaspalle pignataresi parenti stretti di “don” Vincenzo Lubrano? Per capire le dinamiche pignataresi bisogna conoscere quelle della mafia siciliana, di “Cosa Nostra”, dei “corleonesi” di Luciano Liggio, Totò Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano. Il collegamento tra i pignataresi e i Tripodo è Totò Riina (alleato di ferro dei Lubrano-Nuvoletta). Da latitante, il 16 aprile 1974, in una villa tra Cinisi e Carini adattata a cappella, Mico Tripodo fu il testimone di nozze (meglio: “compare d’anello”) al matrimonio di Totò Riina con Ninetta Bagarella. Tra i presenti alla cerimonia religiosa (e mafiosa) Luciano Liggio. Per capire certe cose, bisogna guardare al quadrilatero Sambatello (Reggio Calabria)-Corleone-Pignataro Maggiore-Fondi. Se nei dintorni di Pignataro Maggiore Mico Tripodo era protetto dal clan Lubrano, vuol dire che l’aveva raccomandato il compare Totò Riina. Ci piacerebbe sapere quali sono attualmente i rapporti tra i boss pignataresi (alleati di Totò Riina) e i Tripodo di Fondi (compari di Totò Riina).
Ma ora fermiamoci qui. E aspettiamo la risposta del Viminale sugli affari a Fondi della famiglia Turino. Ma se il senatore Stefano Pedica sollecita il ministro dell’Interno facciamo prima, visto che già sono passati due anni. Rivolgiamo quindi un appello agli amici pignataresi che fanno riferimento all’Italia dei Valori, a cominciare dal consigliere comunale di maggioranza Gerardo Bovenzi: perché non chiedete al senatore Pedica di inoltrare un sollecito al ministro dell’Interno?
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it