PIGNATARO M. – Che cosa è più rischioso, sul piano giudiziario, sparare un colpo di pistola in faccia a qualcuno o scrivere un articolo? La nostra domanda è ovviamente provocatoria; ma se i nostri pochi, affezionati lettori, avranno la pazienza di accompagnarci nel ragionamento che seguirà tra poco scopriranno che – incredibilmente – si tratta di un paradosso solo fino a un certo punto. Lo scenario è, come spesso avviene, quello di Pignataro Maggiore, famigerata città tristemente conosciuta quale “Svizzera dei clan”.
Partiamo dal colpo di pistola sparato mirando alla faccia e che per puro caso colpì “solo” alla gola il camorrista Michele Lettieri a Pignataro Maggiore, il 10 aprile 2014. Colpo sparato – con una pistola illegalmente detenuta – da Francesco Parisi, che era nell’occasione insieme con il cognato Raffaele Lubrano, entrambi gestori dell’aviosuperficie “La Selva” di Vitulazio nota come “l’aeroporto della camorra”, uno dei simboli del potere della famiglia mafiosa dei Lubrano. Secondo quanto ha riferito il quotidiano locale “Gazzetta di Caserta” in data 5 dicembre 2014, Francesco Parisi e Raffaele Lubrano sono stati condannati – con il rito abbreviato – rispettivamente alle pene di 5 anni 8 mesi e 5 anni per tentato omicidio e detenzione illegale di pistola. Reati gravi, ma con condanne che sono rimaste al di sotto dei 6 anni.
Abbiamo sottolineato il tetto dei 6 anni non a caso. Potrebbe succedere, infatti, che un giornalista – a seguito di una querela per diffamazione – venga condannato a una pena superiore a quella inflitta ai suddetti Francesco Parisi e Raffaele Lubrano. La diffamazione a mezzo stampa, come è noto, è il reato previsto e punito dall’articolo 595 terzo comma del Codice penale che prevede una pena da sei mesi a tre anni di reclusione o, in alternativa, una multa non inferiore a 516 Euro. Se però la presunta diffamazione è commessa oltre che con il mezzo stampa anche attribuendo alla parte offesa un fatto determinato, si entra nella fattispecie prevista e punita da un’autonoma aggravante contemplata dall’articolo 13 della legge numero 47 del 1948 con una pena da uno a 6 anni di reclusione e una multa (cumulativa e non alternativa) non inferiore alle vecchie 500.000 lire. Insomma: per un articolo, un giornalista potrebbe essere condannato alla pena massima di (nientemeno) 6 anni ci reclusione; punito quindi più severamente di quanto lo siano stati i più volte citati Francesco Parisi e Raffaele Lubrano per tentato omicidio e detenzione illegale di pistola.
Non a caso reca il sottotitolo “Istruzioni per un mestiere pericoloso”, il libro di Caterina Malavenda, Carlo Melzi D’Eril e Giulio Enea Vigevani “Le regole dei giornalisti” (Società editrice “il Mulino”, pagine 178, Euro 15). Come si sottolinea nella presentazione del libro, “in un Paese come il nostro si è soliti pensare che non vi sia alcun controllo, che ognuno possa scrivere ciò che vuole, senza rischiare severe sanzioni, come nelle democrazie più serie, né la vita o il carcere, come nei Paesi a democrazia sospesa. Eppure anche qui da noi la vita può essere dura per coloro che non hanno un padrone e rispondono solo al lettore”.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it