Giorgio Natale parla della ricorrenza di Sant’Antonio Abate e del rito caratteristico del falò

Giorgio Natale parla della ricorrenza di Sant’Antonio Abate e del rito caratteristico del falò

PASTORANO – Egr. Direttore,
con piacere apprendo che anche quest’anno a Pantuliano-CE- verrà celebrata la ricorrenza di S. Antonio Abate con il caratteristico falò. La festa di Sant’Antuon’, comune a molte zone d’Italia,  è un indelebile ricordo che mi lega ai paesi dell’ex mandamento di Pignataro Maggiore. Al Santo del Fuoco, originario della Tebaide, creatore del monachesimo cristiano e protettore degli animali domestici è associata la credenza, specialmente nel Veneto, che la vigilia della ricorrenza, in una notte magica,  gli animali delle stalle  parlino. Nel mondo contadino del nord Italia “la sera del 16 si tagliavano a metà sei cipolle coltivate nella zona, in modo da ottenerne dodici, corrispondenti ai mesi dell’anno. Venivano poi scavate sino a prendere forma di “barchette”, o di piccole scodelle, nelle quali era versato un cucchiaio di sale. Erano quindi allineate sul davanzale di una finestra prima dello scoccare della mezzanotte. Il mattino seguente si accertava la reazione del sale nei dodici minuscoli contenitori, il primo corrispondente a gennaio, il secondo a febbraio, e così via. I gusci in cui il sale si era sciolto si riteneva coincidessero con i mesi piovosi; quelli in cui il sale era rimasto integro, con i mesi secchi.

Tra le molte ritualità che caratterizzavano la vigilia di sant’Antonio abate, vi era quella dall’accensione un po’ ovunque dei falò (nel bresciano, a Gambara, Gottolengo, Fiesse, Lonato, Rino di Sonico) per allontanare simbolicamente i rigori dell’inverno. Si credeva che se la fiamma saliva dritta verso il cielo, l’annata agricola sarebbe stata buona. Un tempo tali falò erano anche motivo di gara fra borgata e borgata, paese e paese.

Quando i roghi si spegnavano, e i canti e le danze attorno al fuoco erano terminati, gli anziani raccoglievano le braci, “‘l föc de sant’Antóne”, da mettere nel focolare domestico come buon auspicio e per ottenere la benedizione del patrono.

La tradizione del fuoco nella vigilia si vuole risalisse ad alcune leggende relative alla vita del santo, grande protettore delle campagne. Alcuni studiosi ritengono affondi in ritualità precristiane che si celebravano all’inizio del nuovo anno per propiziare la crescita del sole, e quindi il maggior numero di ore di luce.

In questo periodo gli antichi romani celebravano, infatti, feste purificatrici, fra cui le “Feriae Sementinae”( Feste della semina), durante le quali i buoi venivano inghirlandati di fiori e condotti in parata.”… “Ifuochi” di S.Antonio possedevano anche proprietà apotropaiche. A Campagna, comune del salernitano, la gente custodisce i tizzoni dei “fucanoli” per proteggere le case dalle calamità. Stesso destino è riservato alle ceneri della “focura” di Novoli, nel leccese. In Abruzzo, i tizzoni delle “farchie” vengono benedetti insieme agli animali domestici. Mentre, a Mamoiada (Nuoro), intorno ai falò è consuetudine consumare un dolce “beneaugurate”, il “pabassinu”, a base di mosto cotto, uva passa, noci e mandorle. Nell’aquilano, il 17 gennaio, si prepara il propiziatorio “cicerocchio”, a base di chicchi di mais, aglio e peperoncino””

 

 

Coi grandi falò scaccia inverno, l’ancestrale paura

 

che il buio vincesse la Lux,  che il freddo uccidesse la Gran Madre terra, che la morte della natura diventasse permanente, quando le città ed i villaggi “erano comunità d’uomini”, quelle manifestazioni (epifanie direbbe un dotto) collettive per esorcizzare, per invocare il trascendente, per avvicinarsi al magico( LA FESTA), rafforzavano l’identità, i legami, ed aumentavano l’autostima della comunità.

Una piccola riflessione  personale, come spunto di eventuale approfondimento, per interessati più esperti di me. Avendo avuto degli scolari rumeni scoprii  che nella loro terra, all’inizio della primavera, si celebra il MORTISOR. Tale ricorrenza ricorda l’uccisione del drago, che aveva mangiato il sole e teneva prigioniera una fanciulla bellissima, da parte di un

cavaliere(S.Giorgio?). Nel rituale gli animali, gli alberi e le fanciulle da marito si adornano di nastrini bianchi e rossi che sono simbolico-propiziatorii richiami alla luce, al calore, al sole ( alla ciclicità del tempo e delle stagioni) ed ai mitemi degli indo-europei. Ricordo anche che prima dell’invenzione dei fiammiferi l’accensione del fuoco non era  semplice come adesso…

P.S.Non sono riuscito a trovare notizie circa l’usanza pantulianese di bersagliare i forestieri di passaggio “cu’ i cetrangul” (citrus aurantium, melangolo?) ” u jurno ‘e Sant’Antuon’ “…

Distinti saluti

Giorgio Natale

Brescia

Commenta con Facebook