PASTORANO – La nota di Giorgio Natale sulle curiosità della festa di Santantuon’:
Gentile redazione,
spero che qualche lettore possa soddisfare una mia vetera curiosità sul singolare modo di celebrare Santantuon’- S. Antonio Abate a Pantuliano, dove c’è l’antichissima cappella di “Sant’Antonio”, tra la casa canonica e l’angolo SE della più recente parrocchiale dedicata a S.Giovanni Evangelista. Nei miei ricordi d’infanzia la “Cappella di S. Antonio” era un luogo quasi sempre buio, con una finestrella a Sud (velata dal ramo di un limone del “cortile del prete”) usato come ingresso-transito per la parrocchiale che aveva un portale più impegnativo da aprire e chiudere. Con piacere ho constatato che c’è stato un bel restauro conservativo degli antichi e policromi affreschi, mentre il pavimento, rifatto, non mi sembra, filologicamente, in linea. Gli altri anni avete riportato le iniziative per il 17 gennaio a Pantuliano, quest’anno invece non ho visto niente: L’usanza si va perdendo?
L’altro giorno, sul Corriere della Sera e su un quotidiano di Brescia, dove vivo, ho visto commemorare la figura di SantAntuon’ (come viene chiamato in napoletano, penso, per distinguerlo da S. Antonio da Padova, che, poi, di Padova non era) ed ho appreso che nel dialetto della Leonessa è citato in una quindicina di proverbi. Due a caso: Sant’Antone del campanèl, fìm troà ‘n òm (fammi trovare un uomo)bèl ma’ bèl» , oppure «Sant’Antone del campanèl, fìm troà ‘n bèl ósèl (uccello)», espressione ridanciana delle ragazze da marito della Valle Sabbia, ma non solo.
SantAntuon’, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta, nacque nel 251 presso Eracleopoli nel Medio Egitto. Dopo la morte dei genitori distribuì i suoi averi ai poveri e nel 270 si ritirò nel deserto della Tebaide, dove cominciò l’esistenza di penitente. Diede vita a varie comunità anacoretiche e sostenne i martiri nella persecuzione di Diocleziano. Morì presso Afroditopoli nell’anno 356. La fama del santo che da eremita aveva sconfitto il “fuoco della lussuria” si diffonde anche come guaritore della malattia del “fuoco di S. Antonio”(La medicina distingue l’ergotismo, causato da un fungo parassita delle graminacee, e l’herpes zoster). Secondo una leggenda del Veneto (dove viene chiamato San Bovo o San Bò, da non confondere con San Bovo di Voghera), la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.
Il lungo periodo che prelude alla primavera era contrassegnato nell’arcaica religione romana da cerimonie lustrali di purificazione per uomini e animali (Santantuon’ è raffigurato con un maialino col campanello, richiamato dai precitati proverbi delle ragazze da marito bresciane) e di propiziazione per la natura. A queste remote tradizioni alcuni studiosi collegano le cerimonie che si svolgono nella festa di sant’Antonio Abate, fondatore del monachesimo orientale e per questo soprannominato il Grande e «padre dei monaci». Chiarisce l’antropologo che «la diffusione dell’uso cerimoniale del fuoco, quindi, può caricarsi di caso in caso e di luogo in luogo, di significati connessi al Santo o all’occasione calendariale: rimane fondamentale, nell’efficacia di questo operatore rituale, il suo rompere le tenebre, e in qualche caso rompere anche il freddo della notte invernale, per generare uno spazio imprevisto di condivisione e di socialità. Per le festività più importanti, la presenza di fuochi che si richiamano da una collina all’altra rendeva visibile la condivisione di un culto, disegnava, nella notte, una vera e propria geografia della devozione. E accanto a ogni fuoco acceso, c’erano gruppi di giovani che coglievano l’occasione per stare insieme, per rubare al buio un po’ di luce, e alla notte o al sonno, l’allegria. L’altra connotazione interessante di queste festività è la coincidenza con l’inizio del Carnevale, riscontrabili in diversi paesi e comunità rurali. «Una stagione nella quale il mondo contadino riponeva le speranze di divertimento: balli e licenza alimentare, avrebbero in molti casi proprio a partire da Sant’Antonio, fatto la loro legittima comparsa nelle serate di veglia, fino allo scoccare del mercoledì delle ceneri». Ho notato che, in tutta l’italia, come costante dei riti di Santantuon’, assieme ai falò conici ci sono anche le arance, forse perchè rosse come il fuoco o perché ricordano il sole: E qui vengo al mio quesito. A Pantuliano, c’era ancora la strada bianca ( a vrecce), il 17 gennaio, i giovani ed i ragazzi, armati di cesti di c’trangul’ (arance amare-citrus aurantium) ed arance più edibili, bersagliavano i passanti forestieri, che naturalmente non gradivano. Molti cercavano di patteggiare la “punizione”, diversi cercavano vie alternative, altri, sulle rare moto o macchine s’affidavano alla velocità, alcuni davano origini a diverbi ed impari scontri che comunque li vedevano soccombere. Ora, indipendentemente dal giudizio di “civilizzati” e di persone “socialmente corrette”, per curiosità antropologica ed etnologica, articolo così il mio quesito:
1)A Pantuliano c’è ancora memoria del lancio dei c’tranguli?
2)Quando nacque e/o cessò?
3) Quali le origini culturali e/o i reconditi significati?
In attesa di riscontri porgo distinti saluti.
Giorgio Natale Pignatar-Pantulianese o Pantulian-Pignatarese attualmente a Brescia.