PIGNATARO M. – La sopraggiunta morte in circostanze misteriose nel 2004, aveva sottratto la sua condotta imprenditoriale al giudizio complessivo della magistratura. A distanza di otto anni, però, continuano ad arrivare conferme sul ruolo che aveva Dante Passarelli negli affari illeciti del clan dei “casalesi” e, nello specifico, in quelli della fazione che faceva capo a Francesco Schiavone detto “sandokan”. Elementi interessanti, in tal senso, sono contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare emessa ai danni dell’imprenditore caseario Mandara, nella quale sono riportate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Vargas.
Affiliato al clan fin dal 1989 e successivamente alla fazione Schiavone, Vargas, nell’ambito degli investimenti fatti dai “casalesi” nel settore caseario e, più in generale, agroalimentare, ha rivelato che Dante Passarelli, l’imprenditore proprietario dello zuccherificio Ipam, “era il factotum degli Schiavone”. Non a caso, secondo il pentito, quando nel 1994 il clan La Torre di Mondragone volle colpire gli Schiavone, organizzò un attentato proprio ai danni dell’imprenditore casertano. In quel periodo, infatti, la fazione che faceva capo ai Bidognetti voleva affrancarsi dal clan e si alleò con i La Torre e gli Esposito di Sessa Aurunca (il clan cosiddetto dei “Muzzoni”). Per questo, allorché la cosca mondragonese organizzò l’attentato contro Passarelli a Casal di Principe, i Bidognetti fornirono il proprio appoggio logistico.
Di fronte a quell’attacco, proprio Walter Schiavone avrebbe affermato: “Hanno colpito direttamente me”. Passarelli, infatti, – sempre secondo Vargas – “era il factotum degli Schiavone”. Per questo “walterino” convocò una riunione con lo stesso Vargas, Salvatore Cantiello, Oreste Caterino e Giuseppe Misso; e insieme pianificarono un attentato al caseificio di Mandara. L’imprenditore finito in carcere era socio di Augusto La Torre e doveva essere colpito per mandare un messaggio alla cosca mondragonese, che aveva ‘osato’ mettersi contro Sandokan e i suoi. Soltanto a seguito di quegli episodi, i due clan trovarono un accordo.
Insomma, sembrerebbero pienamente confermati – per l’ennesima volta – i legami tra l’impresa economica dei Passarelli (anche dopo la morte del patriarca Dante) e il clan dei “casalesi”. Circostanza di non trascurabile importanza, soprattutto per Pignataro Maggiore. Gli eredi dell’imprenditore, infatti, da qualche anno gestiscono la “Commerciale Europea”, società che commercializza lo zucchero con il marchio “Kerò”. Finita già al centro di provvedimenti di sequestro, lo zuccherificio avrebbe segnato un accordo tra i “casalesi” e il clan Lubrano-Ligato, nonostante il tentativo del plenipotenziario (oggi pentito) della cosca calena, Giuseppe Pettrone, di estorcere denaro all’imprenditore che stava realizzando l’opificio, Francesco Boccardi. La prova di questo accordo sarebbe una telefonata (intercettata) fatta da un esponente malavitoso di Calvi Risorta – legato alla famiglia Passarelli – al defunto boss Vincenzo Lubrano, nella quale parlavano della realizzazione dello stabilimento.
Le inchieste giudiziarie e i sequestri successivi hanno ulteriormente confermato l’esistenza di una linea di continuità patrimoniale tra Dante Passarelli e i suoi eredi. Nel febbraio di quest’anno la Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato valido il sequestro di beni per un valore di 20 milioni di euro, disposto su impulso della Dda di Napoli, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, accomunando – di fatto – l’attività imprenditoriale del padre con quella dei figli. Quindi, il fatto che la società godesse delle “attenzioni” dei clan locali e che la stessa sia associata alle attività illecite di uno dei “factotum” del clan, lascerebbe pensare che l’opificio rappresenterebbe una delle “cattedrali” del potere degli Schiavone nell’Agro Caleno.
d.d.