VITULAZIO – Arriva una lettera sulla querelle don Pietro – Dirigente Scolastico. Gli autori sono due genitori che preferiscono rimanere anonimi. Poiché la lettera mette in risalto alcune cose che non avevamo chiarito precedentemente e visti i numerosissimi commenti che la questione sta scatenando, abbiamo deciso di fare alcune precisazioni in merito alla vicenda.
Ne abbiamo fatto un articolo apposito che trovate in Primo Piano e nella sezione dedicata al Comune di Vitulazio. Ci sono anche alcuni riferimenti a questa lettera che vi stiamo proponendo:
“Gentili direttore e lettori di Caleno24ore,
a differenza dei molti commenti apparsi in coda al vostro articolo dal titolo “Scontro tra autorità…”, in questo nostro breve intervento, vorremmo provare a “leggere le carte a disposizione”, per contribuire a chiarire qualche idea che evidentemente chiara non deve essere del tutto (in qualche caso, per nulla): gli interventi, infatti, partono tutti da una ricostruzione unilaterale dei fatti per poi scivolare repentinamente in affermazioni molto più somiglianti a sfoghi personali per motivi non chiari che, qui e lì, vengono, però, fuori. Ciò riguarda sia l’articolo, sia la lettera del dirigente ma anche qualche (quasi tutti) commento. Cominciamo con una considerazione: la ridda di giudizi scaturisce interamente dalla versione del dirigente, persona stimabile ma non per questo esente da possibili errori, il quale, a sua volta, si fida ciecamente, così sembra evincersi dalla lettera, del racconto di qualche insegnante (Una? Quante?). Ma andiamo avanti. Fin dal momento della lettura del testo, per esempio, ci siamo chiesti, se verso una persona ritenuta rispettabile (primo rigo della lettera) ci saremmo comportati in questo modo oppure se, per meglio comprendere e chiarire, non ci saremmo, magari, rivolti all’interessato. Se è degna di rispetto, magari questa persona saprà anche capire il proprio errore e, magari, emendarsi, se di errore si dovesse essere trattato. Dalla lettera ciò non traspare. Restiamo nel dubbio: il dirigente avrà, magari, provato a chiarire con il parroco prima di esporlo al ludibrio pubblico mediante missiva. Il rispetto lo richiede, lo impone, quasi. O no? In assenza di notizie, che forse i cari amici redattori di caleno24ore avranno, non comprendiamo, inoltre, il titolo dato all’articolo che, nel solco del più arrembante giornalismo dei nostri giorni, grida subito allo scontro tra autorità, anche se dalle notizie avute dallo scritto, più che di scontro si tratterebbe di un’azione unilaterale del dirigente: insomma, non si capisce cosa abbia fatto il parroco di così scontroso. Noi lettori restiamo in attesa.
Veniamo poi, ad un termine usato ed abusato: la laicità. Leggiamo (loro lettori vorranno perdonare la lunghezza della citazione che evidentemente è necessaria) da Wikipedia: Il termine “laico” venne usato nella storia della chiesa per indicare il “volgo” ossia il “popolo”, che non avendo preso i voti nelle basiliche, doveva restare aldiquà dell’iconostasi (balaustra), che divideva gli officianti dai semplici fedeli. Per estensione l’aggettivo poteva anche indicare “coloro che, al contrario dei chierici, non sapevano né leggere né scrivere oppure non conoscevano il latino. Il termine “laico” nell’accezione moderna ha significato di “aconfessionale”, ossia di slegato da qualsiasi autorità confessionale, ecclesiastica (o non ecclesiastica), e quindi da qualsiasi confessione religiosa (o non religiosa). (…) Negli ultimi anni il termine “laico” viene invece utilizzato in maniera impropria per indicare un generico agnostico o ateo. Tale uso è semanticamente scorretto, in quanto laico ha significato di svincolo dall’autorità confessionale, ma non inficia la pratica di una particolare credenza religiosa: per cui si possono distinguere “laici credenti” da “laici non credenti”. L’abuso del termine in sede politica, in funzione di sinonimo perfettamente sovrapponibile ad “anticlericale” o “ateo”, ha generato l’utilizzo del termine spregiativo “laicista”, con un significato simile e opposto all’uso del termine spregiativo “clericale” per indicare persone che si autodefiniscono “laiche” e si comportano come anticlericali, ma “laicista” è anche colui che si professa laico senza esserlo. Quest’ultima parte ci porta dritti verso una domanda che forse, visti i toni della lettera e di alcuni commenti, è il caso di fare: laico vuol dire veramente anticlericale? In altri termini, il fatto che la scuola sia laica vuol proprio dire che non si debbano manifestare in essa credenze religiose? “Laico” vuol dire aperto verso tutti oppure chiuso nei confronti di qualcuno? Forse è il caso di schiarirsi le idee: come la mettiamo altrimenti con gli spettacolini di Natale che si faranno in molte scuole? Sono tutti da bandire? O magari, visto che “qualcuno” ci si riconosce, possono essere ammessi anch’essi?
Tutto questo ci rimanda al “pluralismo”, invocato e rivendicato nella lettera. Leggiamo stavolta dal vocabolario Sabatini Coletti nel quale esso è così descritto: 1 Concezione secondo la quale la realtà è formata da una pluralità di principi ugualmente primi. 2.Concezione e condizione politico-sociale che, opponendosi al totalitarismo, si fonda sulla tolleranza, la convivenza di idee diverse e la collaborazione tra individui e gruppi differenti. Non è che forse, nel nome di questa collaborazione pluralista, anche il parroco possa entrare in una scuola e proporre le sue idee (ammesso che l’abbia fatto), trattandosi in fondo di una scuola frequentata da una maggioranza sedicente cattolica? È pluralista estromettere qualcuno? Tutto ciò, lo ribadiamo, sempre leggendo le carte e non prendendo le parti di chicchessia. Ci viene solo una riflessione allarmata: in un tempo in cui la deriva diseducativa della società si tocca ogni giorno nelle aule e nelle piazze (chiedano i lettori agli insegnanti e ai genitori; ascoltino cosa hanno da raccontare!) non sarebbe forse il caso di nuove alleanze piuttosto che queste barricate spacciate per pluralismo? In questo senso, anche l’ora di religione diventa un’utile alleata. Come si legge nei programmi ministeriali per l’insegnamento della religione cattolica, derivanti dal concordato, tanto vituperato (A ragione? A torto? Ma è un fatto e ce lo dobbiamo tenere), l’ora di I.R.C. ha la funzione di introdurre alla lettura della cultura italiana che, volenti o nolenti, piaccia o non piaccia, è intessuta di cristianesimo da almeno duemila anni. L’ora di religione, si prefigge, per fare un esempio concreto, di mettere un nostro giovane nella condizione di comprendere chi fosse quel “David” di Michelangelo che tutti vengono ad ammirare in Italia ma che le nostre nuove generazioni (solo loro?) non sanno più riconoscere nella sua origine biblica. Confondere l’ora di religione con il catechismo è un errore di supeficialità. In quest’ottica e nell’ottica multietnica, essa sarebbe addirittura da consigliare a quanti, di altra cultura e religione, arrivano in Italia perché ciò aiuta sicuramente l’integrazione contro quei ghetti unietnici che si stanno invece creando nelle nostre città. Per completare le notizie, si ricorda che nell’ora di religione (ovviamente svolta nel migliore dei modi), vengono studiate ed approfondite anche le altre religioni e filosofie di vita (ebraismo, islamismo, buddismo, induismo, agnosticismo ed ateismo, fino ad arrivare all’increscioso fenomeno delle sette e dei finti santoni e cartomanti che tanti danni compiono nel nostro mondo).
Un’ultima considerazione vogliamo dedicare a quanti si sono sentiti coercizzati dal parroco (che evidentemente deve essere molto potente!): ma che fede è se nasce dall’obbligo? Delle due l’una: o è fede e a quel punto si va in Chiesa spontaneamente; o non lo è affatto e a quel punto non esiste coercizione che tenga: perché andare? Ci sembra di cogliere sempre e solo dalla “lettura delle carte”, una certa confusione anche in questo ambito: auguriamo a quei genitori che hanno mandato i loro figli al ritiro piuttosto che a scuola di averlo fatto per adesione convinta, altrimenti sarebbe un orrore esistenziale. Cosa pensare, però, se tali genitori avessero mandato quei figli per convinzione? A quel punto sarebbe la platea scolastica ad aderire convintamente ed il dirigente potrebbe (dovrebbe) accettare nel nome dei quel pluralismo che dice di professare.
Tutto ciò che è stato scritto in questa riflessione vuole essere nelle intenzioni di chi scrive, un contributo a chiarire le idee, nella speranza che si aprano gli occhi e le menti sui veri problemi dei nostri figli sempre più risucchiati dal buco nero del fatuo e dell’effimero e sempre più in difficoltà di fronte alla vita che li interpella: forse è il caso che noi adulti, piuttosto che rivendicare porzioni di potere, contribuissimo a far crescere nei nostri figli il potere della decisione che evidentemente si fortifica in presenza di più presenze autorevoli quanto più diverse tra loro. Forse è questa la laicità.
Due genitori di un’alunna di questa scuola.”