PIGNATARO M. – Lo scrittore Roberto Saviano, nella sua rubrica “L’antitaliano” sul settimanale “l’Espresso”, in data 24 dicembre 2014, e sulla propria pagina Facebook, il 28 dicembre2014, hadedicato ampio spazio al “caso Palmesano”. Titolo dell’articolo: “Storia di un cronista in terra di camorra”; sommario: “Enzo Palmesano ha fatto il suo mestiere nelle condizioni più difficili. Ha scelto di rimanere in Campania per raccontare quello che succedeva. Trovandosi contro non solo i boss, ma anche i propri editori”.
Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’articolo di Roberto Saviano: “Voglio raccontare la storia singolare di un giornalista campano. Di un giornalista che si è sempre occupato di criminalità organizzata, quando erano in pochi a farlo, quando non conveniva, quando si era soli ed era ancora più pericoloso. Quando in Campania c’era chi diceva che la camorra era solo una banda di contadini con il fucile, quando a interessare la cronaca nazionale era solo la Sicilia. Voglio raccontare la storia di un giornalista che è rimasto in Campania, in terra di guerra, in terra di camorra e ha scritto per quotidiani di cui non condivido la linea editoriale, ma sui quali è stato capace di fare lavoro di inchiesta, spesso in contrasto con direzione e proprietà.
Voglio raccontare di un giornalista la cui storia dimostra quanto sia difficile essere giornalisti in Campania, quanto sia esponenzialmente più difficile essere giornalista in territori egemonizzati dalle organizzazioni criminali, dove tutto è piegato alle loro logiche. Voglio raccontare la storia di Enzo Palmesano, missino, militante del Movimento sociale sin da giovane, che spesso si è definito “fascista di sinistra”. Enzo Palmesano ha sempre scritto ciò che accadeva nella sua terra, nella mia terra, anche se forse il suo nome sarà più spesso associato al passaggio da Msi ad An e alle scuse ufficiali per antisemitismo considerato finalmente un crimine dal partito che lo aveva storicamente sostenuto e giustificato. Si ricorderà il suo nome legato proprio a quel passaggio epocale, tardivo ma epocale. Enzo Palmesano è stato, tra l’altro, anche l’ispiratore della prima mozzarella kosher prodotta nel 2002 da un’azienda campana. Ma non è di Movimento sociale e di mozzarelle che voglio parlare: voglio raccontare l’inchiesta denominata “Operazione Caleno” della Dda di Napoli e in particolare gli stralci che riguardano Enzo Palmesano che scriveva per il “Corriere di Caserta”, quotidiano locale dal quale fu licenziato per volontà del boss Vincenzo Lubrano di Pignataro Maggiore attraverso la mediazione di Francesco Caschella (condannato per questo), nipote acquisito del boss. Quindi un boss che condiziona la linea editoriale di un quotidiano. Un boss che decide chi è dentro e chi è fuori, chi può scrivere e chi no, sancito da una sentenza.
Enzo Palmesano, in quegli anni, scriveva sui quotidiani locali pur essendo arrivato nel 1996 a dirigere il “Roma”, quotidiano napoletano, fondato da Achille Lauro, foglio locale tradizionalmente di destra a metà tra il mattinale di Questura e il gossip. Nella sua breve direzione, Palmesano aveva provato a trasformare il “Roma” in un quotidiano diverso, che avesse un respiro più ampio, ma fu subito allontanato dopo un aspro confronto con Italo Bocchino, presidente del consiglio di amministrazione.
Il “Corriere di Caserta” (oggi “Cronache di Caserta”), insieme a “Cronache di Napoli”, è un quotidiano locale dalla storia controversa. Appartiene al gruppo Libra, il cui proprietario Maurizio Clemente è stato condannato per estorsione a mezzo stampa, cioè utilizzava i suoi giornali per scopi intimidatori. “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta” sono poi diventati famosi – loro malgrado – per essere stati portatori di messaggi dei clan, per aver infangato la memoria di Don Peppe Diana, per aver veicolato ogni sorta di informazione potesse essere utile ai clan. Enzo Palmesano è la dimostrazione che, benché sia difficilissimo, è possibile mantenere la propria professionalità in qualunque contesto, ma è anche la dimostrazione che a lungo andare sono altre le logiche che prevalgono e la professionalità spesso non è considerata un valore positivo.
In uno stralcio dell’inchiesta che riguarda, tra le altre cose, anche la cacciata di Palmesano dal “Corriere di Caserta”, è possibile leggere queste parole: «Il giornale soffre della presenza di quel cronista (Enzo Palmesano ndr) scomodo e non arginabile, sordo ad ogni richiamo, testardo e tenace, che ha fatto del clan Ligato-Lubrano e dei suoi protettori il bersaglio preferito dei propri articoli». La tenacia è vista come valore negativo e il lavoro giornalistico come sofferenza per la vita di un quotidiano. Contraddizioni che avvengono solo dove le leggi sono capovolte, dove a comandare non è lo Stato, ma qualcosa di estremamente più potente. Enzo Palmesano si firmava con pseudonimi femminili per tutelare la sua vita e quella della sua famiglia, ma a lungo andare la sua identità viene scoperta e il boss Vincenzo Lubrano pretende il suo allontanamento.
Una parte importante della stampa locale serve a creare e saldare alleanze criminali. Lo ha dimostrato di recente anche il rapporto di Gian Marco Chiocci, direttore del quotidiano romano “Il Tempo” con la cosca Carminati-Buzzi, rapporti per i quali il direttore del “Tempo” è indagato per favoreggiamento. L’uso dei giornalisti è fondamentale per condizionare una parte dell’opinione pubblica, anche solo locale, e addirittura per indirizzare le indagini”.
Fin qui l’articolo dello scrittore di “Gomorra”.
Successivamente, Roberto Saviano è tornato sull’argomento con un messaggio pubblicato sulla propria pagina Facebook. Ecco il testo integrale del messaggio: “I boss decidono la linea editoriale di alcuni giornali locali. Il gruppo editoriale Libra – che edita “Corriere di Caserta” (oggi “Cronache di Caserta”) e “Cronache di Napoli” – prendeva ordini dal clan. Questo secondo la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che ha condannato Francesco Cascella in primo grado a due anni di reclusione per il reato di violenza privata, con l’aggravante di camorra dell’articolo 7, per aver determinato l’allontanamento del giornalista Enzo Palmesano dal “Corriere di Caserta”.
La storia è questa ed è raccontata nell’inchiesta della Dda di Napoli denominata “Operazione Caleno”. Enzo Palmesano, giornalista di Pignataro Maggiore, scriveva per il “Corriere di Caserta” e i suoi articoli erano un racconto quotidiano sul potere del clan. Venne licenziato d’improvviso per volontà del boss Vincenzo Lubrano, capo del clan di Pignataro Maggiore e oggetto delle inchieste di Palmesano. Don Vincenzo, infatti, si era rivolto a un suo nipote giornalista sportivo in tv, Francesco Cascella, il quale aveva portato la richiesta a Gianluigi Guarino, all’epoca direttore del giornale, che ne assecondò la volontà.
Un boss che decide chi è dentro e chi è fuori, chi può scrivere e chi no, scritto nero su bianco nelle carte di una sentenza.
Enzo Palmesano è la dimostrazione che, benché sia difficilissimo, è possibile mantenere la propria professionalità in qualunque contesto, ma è anche la dimostrazione che a lungo andare sono altre le logiche che prevalgono e la professionalità può non essere considerata un valore positivo.
Il “Corriere di Caserta”, insieme a “Cronache di Napoli”, è un quotidiano locale dalla storia controversa. Il suo proprietario, Maurizio Clemente, è stato condannato per estorsione a mezzo stampa, cioè utilizzava i suoi giornali per scopi intimidatori. “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta” sono poi diventati famosi – loro malgrado – per essere stati portatori di messaggi dei clan e per aver infangato la memoria di Don Peppe Diana”.
Vogliamo concludere – noi di “Pignataro Maggiore News” – sottolineando che la sentenza cui ha fatto riferimento pure Roberto Saviano è considerata negli ambienti giudiziari di enorme rilevanza, di portata addirittura storica. Una decisione di grandissima importanza per chi ritiene che quello del giornalista sia un mestiere per uomini “scomodi” e con la schiena dritta. Secondo noi, solo così si può essere davvero giornalisti nella famigerata Pignataro Maggiore, città tristemente conosciuta come “Svizzera dei clan”.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it